Diego Motta, Avvenire 1/8/2014, 1 agosto 2014
L’ULTIMA PREDA DEGLI AVVOLTOI DELLA FINANZA. ORA POTREBBERO FARE LO STESSO CON LA GRECIA
Hanno studiato la preda da lontano, cogliendone il cattivo stato di salute e il suo sostanziale isolamento. Si sono mossi per tempo, infilandosi nelle larghe maglie del diritto internazionale e sfruttando l’assenza di autorità internazionali. Infine, hanno colpito. I «fondi avvoltoio», secondo la definizione che ne ha dato il governo argentino, sono stati ancora una volta i protagonisti silenti dell’ennesimo agguato alla stabilità internazionale. È proprio questo quel che più stupisce: non si tratta di una prima assoluta.
«Negli anni Duemila, la Elliott Management, che controlla uno dei due hedge fund contro cui si è schierata Buenos Aires, la Nml Capital, aveva già vinto una causa contro il Perù», spiega Barbara Giani, analista di di Jci Capital Ltd, società di consulenza negli investimenti. Lo schema è definito: si comprano titoli del Tesoro a prezzi molto bassi, complice la fase di ristrutturazione del debito in atto, che impone agli Stati di rinegoziare al ribasso i patti con tutti i creditori. L’obiettivo, «a causa anche di un vuoto normativo, dovuto al fatto che non esiste per gli Stati una procedura di bancarotta come c’è per le imprese», è farsi rimborsare le obbligazioni comprate sotto costo (con ribassi fino al 70%, come in questo caso) al valore nominale. Come se si trattasse di titoli normali e non di emissioni fatte in seguito a intese internazionali, pensate proprio per evitare tracolli finanziari.
È possibile che gli hedge funds ci abbiano guadagnato? «Dal mio punto di vista era evidente come i fondi speculativi non volessero giungere ad alcuna soluzione» sottolinea Vincenzo Longo di Ig Markets, che parla di «grande responsabilità, al limite dell’incoscienza, da parte di chi ha sfidato di fatto un piano di ristrutturazione deciso da un governo sovrano».
Proprio, l’esistenza di percorsi alternativi, che in queste ore restano allo studio del mondo politico (e giudiziario) conferma che la teoria del ’tanto peggio, tanto meglio’ forse ha fatto comodo a qualcuno. «La volontà del Paese di pagare c’era, così come i fondi parcheggiati presso la Bank of New York» ricorda Longo. Che poi non esita a individuare un possibile nuovo obiettivo della speculazione internazionale, affamata di prede facili da distruggere. «Quanto sta accadendo dall’altra parte dell’oceano può essere un precedente per la Grecia, che ha avviato un percorso di ristrutturazione simile, anche se non uguale, a quello dell’Argentina ». Il paradosso, come spiega Barbara Giani, è che «oggi il Paese sudamericano si trova in default tecnico, nonostante sia perfettamente in grado di onorare le obbligazioni ristrutturate». Il tutto è possibile «perché i suoi fondi risultano bloccati dopo la sentenza del giudice Griesa che impedisce il pagamento delle cedole in caso non vengano onorati anche i pagamenti di chi non ha accettato la ristrutturazione del debito».
Alla fine di un contenzioso lunghissimo, nessuno sa dire con certezza chi possa averci guadagnato davvero, anche se l’abilità degli «avvoltoi» nel lucrare sul nulla è così consolidata che i dubbi rimasti sono pochi. Il silenzio di Elliott Management, società che conta su 300 dipendenti, è stato rotto da una sola dichiarazione, sibillina, rilasciata pochi minuti dopo l’annuncio della seconda bancarotta.