Loredana De Cesari, Il Tempo 1/8/2014, 1 agosto 2014
CALDAROLA: «CONCITA L’INIZIO DELLA FINE. LEI È LETTORE-REPELLENTE»
«Ho smesso di leggere l’Unità quando Concita De Gregorio è diventata direttore. È lettore-repellente». Peppino Caldarola ha diretto l’Unità dal ’96 al ’98, quando il giornale era nelle mani del Pds poi Ds.
Caldarola, di chi sono le responsabilità della chiusura dell’Unità?
«Le responsabilità sono principalmente della cosiddetta nuova Unità . Quando il giornale è rinato, nel 2001, è stato azzerato il debito pregresso e il numero dei giornalisti molto ridotto. Non c’è stata una grande capacità imprenditoriale. La direzione di Furio Colombo è stata ottima. Poi, dopo lo slancio iniziale, il giornale ha ripreso a perdere copie. I nuovi azionisti non sono stati bravi negli anni, a risollevare i conti e a mettere mano a vere ristrutturazioni».
Quindi?
«Ha fatto più disastri la nuova proprietà in pochi anni che il partito in 80 anni».
Altri fattori?
«È una testata pesante, un giornale d’appartenenza che si richiama a valori vetusti. Può andar bene per una generazione anziana come la mia. I giovani cercano idee nuove e snelle».
Le lacerazioni interne al partito hanno avuto ricadute negative sul giornale?
«Certamente. Il partito era diviso come mai prima e i lettori questo lo percepivano».
A chi è rivolto il suo pensiero in queste ore?
«Ai tanti lavoratori che resteranno senza lavoro. Considero la chiusura del quotidiano una grande perdita. Per me doppia: da una parte c’è la testata storica che muore e dall’altra ci sono famiglie senza futuro».
Lei è stato direttore negli anni in cui il partito era proprietario dell’ Unità. I segretari premevano sulla linea editoriale?
«Ogni volta che cambiava un segretario, il giornale cambiava pelle. Durante una Festa dell’Unità, ricordo di aver replicato aspramente a D’Alema che dal palco aveva detto: "I giornali devono restare in edicola". Per questo motivo mi sono beccato una marea di fischi. C’era da aspettarselo: D’Alema non ha mai amato giornali e giornalisti. Ma di pressioni vere e proprie non parlerei: eravamo tutti compagni ed era facile andare d’accordo».
Renzi ha detto: «Riapriremo l’Unità, è un pezzo importante della sinistra». Cosa ne pensa?
«Che a dirlo sia Renzi mi fa ridere. È l’uomo meno di sinistra che abbia conosciuto. Non è un comunista e credo che possa incidere molto poco sulle sorti dell’ Unità . Le sue sono solo parole. Neanche troppo belle. Non dimentichiamoci che le crisi dell’ Unità sono avvenute sempre col centro sinistra al governo: la prima volta coi Ds e la seconda - oggi - con il Pd».
Come potrebbe salvarsi dalla chiusura?
«Con una cordata d’imprenditori che investa seriamente in un nuovo progetto. In fondo sono rimasti 25 mila lettori senza un punto di riferimento».
Come valuta la proposta di Daniela Santanchè di acquistare l’Unità ?
«Irricevibile. L’onorevole Santanchè è riferimento della destra italiana e quindi quanto di più lontano dall’ Unità. Poi, non ha soldi. Una proposta mediatica e null’altro».
Quando la situazione è diventata agonizzante?
«Con la direzione di Concita De Gregorio. Un’operazione d’immagine voluta da Veltroni. Non basta piazzare un volto televisivo per vendere copie. Concita è lettore-repellente. Infatti, non ho più comprato l’Unità da quando è arrivata lei. Mi hanno raccontato anche dei suoi modi molto autoritari in redazione. Non mi è simpatica».
Solo questioni di simpatia?
«No. Non mi erano simpatici neanche Colombo e Padellaro ma li reputo direttori brillanti. Antonio Padellaro, per dire, è un direttore eccellente e il successo de Il Fatto lo dimostra. Non ero d’accordo su tante cose ma lo leggevo con interesse».
Qual è stato l’errore?
«Mandare via Padellaro. Sebbene la sua linea non fosse condivisa dai dirigenti Pd, bisognava tenerla. Fare il direttore è un mestiere e lui lo sa fare».
Chi ha voluto il cambio di direttore?
«Senza dubbio il segretario del Pd di allora, Veltroni».