Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  agosto 01 Venerdì calendario

ARGENTINA IN DEFAULT, CODE AI BANCOMAT PER RITIRARE I SOLDI


LA CRISI
NEW YORK Nuova udienza di tribunale per il default argentino. Il giudice newyorkese Thomas Griesa ha convocato in aula per questa mattina (le ore 17 in Italia) i rappresentanti del governo di Buenos Aires e degli hedge funds che reclamano il pagamento delle note di debito in loro possesso. In mancanza di un accordo tra le parti, il venerando giudice ha bloccato il rifinanziamento dell’intero debito sovrano argentino negli Usa, e il Paese sudamericano si trova ora per l’ottava volta nella sua storia in una situazione di default, ovvero di incapacità di onorare le note di debito che ha emesso. Finanza internazionale, diritto e politica, sono intrecciate in questa storia in un groviglio talmente fitto da confondere il confine tra i campi. Al centro del caso c’è il default da 100 miliardi dichiarato dal governo argentino nel 2001. In due successive riprese il nuovo esecutivo è riuscito a far digerire al 93% dei creditori internazionali la pillola amara di un taglio del 70% del valore dei titoli in loro possesso. Il 7% restante è finito nelle mani di alcuni fondi americani che l’hanno racimolato a prezzi da saldo, probabilmente molto meno del 170 milioni dichiarati. Ma il valore nominale delle obbligazioni originali è di 1,5 miliardi di dollari, e gli hedge fund li vogliono tutti.
LA BATTAGLIA

I loro legali hanno preso diverse porte in faccia nel sistema giudiziario statunitense, fino a che non hanno imboccato l’aula dell’83enne giudice Griesa, dove hanno trovato un togato ancora più determinato di loro nella rincorsa del debitore in fuga. Griesa ha forzato l’impasse attuale bloccando i 539 milioni di dollari che la Tesoreria argentina aveva depositato su una banca newyorkese per pagare gli interessi in scadenza sull’intero debito sovrano. E quando la scadenza è arrivata mercoledì notte senza un accordo, sono arrivate le sanzioni. Prima Standard & Poor’s ha dichiarato un default selettivo di una grossa fetta di bond, e stamattina il gruppo degli assicuratori che hanno stipulato polizze a protezione dei quei bond si è riunito per dare un secondo giudizio di insolvenza. Ben diversa è l’opinione a Buenos Aires, dove la presidentessa Kirchner e il suo ministro dell’economia Axel Kicillof dipingono la vicenda agli occhi dei propri elettori come un atto di estorsione, e pensano al ricorso alla corte internazionale dell’Aja.
IL DIBATTITO

Per la verità anche in Usa il dibattito si sta tingendo di tinte fosche: da una parte il Wall Street Journal che dileggia il governo Kirchner che «preferisce ironizzare su un nostro giudice piuttosto che far fronte ai suoi doveri»; dall’altra l’economista Joseph Stiglitz: «Ci sono già tante bombe che esplodono ogni giorno intorno al mondo, e ora l’America ne sta gettando una sull’economia globale». La vertenza di un manipolo di irriducibili speculatori rischia di destabilizzare ancora una volta un paese già socialmente e politicamente instabile, e di complicare decisamente i rapporti diplomatici con Washington, dove la Casa Bianca ha già denunciato nervosismo per la vicenda.
Nel frattempo gli argentini sono tornati ad assembrarsi davanti ai bancomat con la frenesia di prelevare i propri risparmi. L’indice di borsa mercoledì è caduto del 7%, l’inflazione oscilla tra il 14% comunicato dal governo e il 40% stimato dagli analisti, e il nervosismo degli investitori stranieri è palpabile, come la rabbia che serpeggia per le strade della capitale.