Marta Serafini, Corriere della Sera 1/8/2014, 1 agosto 2014
PRIMA TINDER, POI WHATSAPP NEL LABIRINTO DELL’AMORE SOCIAL
Trovarsi su Tinder, poi iniziare a conoscersi su Facebook, mettersi i like su Instagram e , infine, scambiarsi i numeri su WhatsApp.
L’amore ai tempi delle applicazioni ha suoi tempi e norme non scritte? Poche sono le certezze. Ma la ormai ventennale regola di «Harry ti presento Sally» che proibiva a uomini e donne di essere buoni amici, non basta più per districarsi nel labirinto delle relazioni digitali. Se poi si pensa che ormai ci affidiamo ad un algoritmo per trovare un’anima compatibile, non c’è da stupirsi che i codici di corteggiamento siano totalmente cambiati. L’offerta di terreni di gioco è vasta. Già scegliere in quale campo scendere non è faccenda semplice.
Si inizia dal più carino della festa, Tinder, quello di cui tutti parlano e che pochi ancora (almeno in Italia) conoscono. Questa applicazione per smartphone, ogni giorno, accende la fiamma per 10 milioni di persone (in gergo li chiamano match). Il funzionamento, per chi ancora non è avvezzo, è immediato: Tinder si associa ai profili Facebook, sfrutta la geolocalizzazione ed è perfetta so- prattutto per la fascia di età 25-32. Difficile, dunque, spacciarsi per quelli non si è, sia per aspetto esteriore che per storia personale. La scelta della foto del profilo, poi, rappresenta tutto l’inizio della storia. Il dogma è l’autoironia. Se infatti ci si lascia trasportare dal narcisismo e ci si presenta come giovani, belli e impegnati, in viaggio nei paesi del Terzo Mondo, generosi con i bambini locali, si rischia di finire come i malcapitati di «Humanitarians of Tinder», sito che mette alla berlina questo tipo di utenti. Scongiurata questa ipotesi, se l’algoritmo ha voglia, si entra finalmente in contatto sulla chat dell’applicazione. Bastano poche battute e il dono della sintesi, per capire se davvero c’è feeling, fosse anche per una semplice amicizia. Poi il corteggiamento scivola sulla chat di Facebook, in un ambiente un po’ più “intimo” mentre su Instagram abbondano i cuoricini di apprezzamento. Infine, se il software ha davvero fatto il suo dovere, l’appuntamento si finalizza su WhatsApp, “costringendo” i due protagonisti allo scambio dei numeri telefonici. Fin qui arriva la tecnologia. Poi, se la relazione resiste, sulla coppia, almeno per un breve periodo, cala un velo di privacy, fino alla comunicazione ufficiale del fidanzamento che avviene, ancora una volta, su Facebook. Con tanto di modifica dello status relazionale nel pannello delle impostazioni personali. Gli habitué di Tinder (che per ovvi motivi non amano parlare apertamente del loro terreno di caccia) spiegano come il meccanismo funzioni se viene rispettata una doverosa promessa. E cioè: se nello sfogliare il catalogo delle proposte, ci si imbatte in una vecchia conoscenza, mai e poi mai bisogna svelare il segreto. Né tantomeno metterlo in imbarazzo con battutine e colpi di gomito. Fare l’amore tecnologico, dunque, non è semplice. Se si entra in contatto con più persone contemporaneamente e su piattaforme diverse il rischio è di fare gaffe e di essere male interpretati. Ancora peg- gio che uscire per davvero con più partner nello stesso periodo. Per il sollievo della fascia di età 40-50 (e dei meno avvezzi alle finezze del galateo tecnologico), ci sono Meetic e OkCupid. Piattaforme più classiche e rassicuranti, dove ci si può nascondere dietro a uno pseudonimo.
In questi regni, è facile incorrere in una tipologia di utente piuttosto odiosa. E, cioè, lo snob. Costui è convinto di essere capitato lì per caso («solo per provare») e di non aver bisogno del computer per trovare compagnia. Altro ostacolo è poi la privacy. Dietro le promesse di assoluta riservatezza e rispetto dei diritti degli iscritti si nasconde un’altra realtà. Come emerso nei giorni scorsi, i gestori di questi portali non disdegnano, proprio come Facebook, l’utilizzo dei nostri dati per esperimenti sociali, con interventi sui profili e sulle immagini in modo da osservare le nostre reazioni. Il tutto senza alcun consenso e nostra insaputa. Nella vasta galassia degli appuntamenti online c’è chi sceglie piattaforme nate per altri scopi, come LinkedIn e Instagram, correndo però il rischio di essere frainteso se tenta l’approccio tra un colloquio di lavoro e il commento a una fotografia. Massima libertà si respira invece su Grindr e Brenda, applicazioni molto simili a Tinder, nate e pensate per la comunità gay. La vera regina è Grindr che nasce nel 2009, quando ancora gli etero pencolavano tra gli sms e le mail. Tanti la amano perché permette di entrare in contatto (e di chattare) con chiunque, facendo così crescere notevolmente le possibilità di un concreto lieto fine.
Attenzione, però, a pensare che tutto questo abbia il solo scopo di fare sesso. La faccenda è molto più complessa: spesso le applicazioni di dating servono semplicemente per trovare un amico. Una cosa non da poco in un’estate in cui piove di continuo e la leggerezza fatica a prendere piede.