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 2014  agosto 01 Venerdì calendario

GEPPI CUCCIARI


Vulnerabile. Come alla domanda su qual è il regalo più bello ricevuto da Luca, suo marito, e lei prende tempo, si ritrae sulla sedia, volta la testa di lato e tentenna, dico la verità o non la dico?, poi si arrende, con pudore, mentre gli occhi chiedono: avrai cura di quello che ti sto raccontando? Infine sorride, mentre una dolcezza tutta intima la riporta indietro a quel giorno preciso, sott’acqua, quando una squisita sensazione di vittoria si allargava dal cuore al petto al resto del corpo. «Mio marito ha insistito a che prendessi il brevetto per le immersioni, costringendomi a vincere la mia paura. Mi ha regalato la sensazione che ho provato quando sono riuscita a farlo: il controllo di me stessa e dei miei timori. Mi è servito a superare un limite, e quella lezione me la porto dietro per la vita».
La carriera
Geppi Cucciari in Bonaccorsi è l’attrice, conduttrice e autrice rapidissima e brillante che abbiamo conosciuto in tivù, al cinema e a teatro. Le sue battute fulminanti riescono a spiazzare con garbo qualunque interlocutore: impossibile arrabbiarsi per le sue frecciate, perché nascondono sempre una grande intelligenza, mai la deliberata premeditazione all’offesa. Soprattutto, le sue uscite non sono mai casuali, nascono ogni volta da una preparazione accurata. «La comicità è soltanto un condimento di contenuti che sei tu a decidere. Quanto più sei consapevole di ciò che vuoi comunicare e del pubblico che hai davanti, tanto più potrai modulare il linguaggio. Cerco di arrivare a un’ospitata il più pronta possibile. Se so che una sera ci sarà Veltroni, come mi è appena successo al Festival del cinema di Tavolara, anche se parleremo solo per un minuto mi documento quanto più posso, in modo che la battuta non sia mai fuori contesto. In questo sono stata influenzata dal basket, che ho praticato a livello agonistico fino all’A2: l’allenamento e la preparazione prima di una partita sono altrettanto importanti dell’incontro stesso».
La convivenza
Chiacchieriamo ad Alghero, sedute al tavolino di un bar dimenticabile, davanti a una sparuta insalata caprese che non fa onore alla tradizione culinaria sarda. «Amo i culurgiones ogliastrini, i ravioli di mia zia, i bucatini all’amatriciana quando sono a Roma, l’orecchia di elefante a Milano e il pesce in riva al mare. Adoro la pasta, ma ormai la mangio solo integrale», sospira. In cucina se la cava senza lode, ma le piace avere gli amici a cena, condividere i suoi spazi con le persone alle quali vuole bene. «Io e Luca prepariamo del pesce arrosto con patate, verdure al forno, antipasti». La convivenza non è senza contrasti. «Siamo diversi, mi prende in giro per il mio concetto di “preparazione”: ti sei preparata?, mi stuzzica. Io confondo la vacanza con un trasloco, lui è cresciuto praticamente in campeggio: questo può creare qualche disappunto». A Luca deve quei viaggi che da sola non avrebbe mai fatto. «Una volta siamo andati in Chiapas, in auto a San Cristóbal de Las Casas: voleva che respirassi la rivoluzione per strada». A Milano la loro giornata si apre con la colazione, «il primo che si sveglia la prepara», e l’intimità si cementa con il caffè di metà mattina, «un rito che mi ha regalato mia mamma».
Le radici
La famiglia è sinonimo di casa, nel senso più viscerale del termine, con quelle radici che per un sardo non possono che essere piantate nella terra e nella roccia, un luogo emotivo da cui è difficile emanciparsi, ma all’interno del quale, soltanto, c’è un riconoscimento completo. «A Milano non ho comprato nessun appartamento, sono ancora residente in Sardegna, a Macomer, e questo mi dà un senso di leggerezza. Casa, per me, non è una questione di millesimi, né può essere legata a una residenza geografica, semmai all’essere vicino a chi mi ama, e oggi il primo pensiero va a mio marito e al nostro progetto di vita insieme. Poi c’è un’altra casa, della famiglia che mi ha generato: quindi Macomer, dove vive mio padre, o Cagliari, dove c’è uno dei miei fratelli, o Oristano, dove abita una cugina alla quale sono molto legata. Credo di non essere mai stata lontana dalla Sardegna per più di un mese e talvolta, se pure torno per tre giorni, dormo in tre letti diversi, perché vado a stare un po’ da tutti». La sua «sarditudine» è anche questo. «Ovunque al mondo trovi una bandiera dei quattro mori che sventola. Il sardo non è soltanto fiero di esserlo, ma vuole condividerlo. Il senso della distanza e la lentezza del distacco te li porti dentro dalla prima traversata in Tirrenia su uno dei traghetti dedicati ai poeti: realizzi quanto è lungo e faticoso andare via, e poi tornare. Quando studiavo all’università, partivo in macchina e il viaggio durava sedici, diciotto ore».
La gratitudine
Milano l’ha adottata, e le ha offerto una possibilità di futuro alternativo a quello di notaio scritto nella laurea in giurisprudenza. «Capisco chi viene qui e dopo un anno se ne va: la vita in provincia è più facile; mio fratello è ingegnere, sua moglie lavora all’Inps, in pausa pranzo vanno al mare. Milano è una palla di energia rispetto alla scarsità desolante riservata ai nostri ragazzi in Sardegna: mi ha chiesto tanto, ma me l’ha restituito, e ora sono grata. All’inizio era difficile, faticavo a laurearmi e tutti a chiedermi: quanti esami ti mancano? Non do per scontata la varietà di ciò che sono riuscita a fare: cabaret, televisione, cinema... Una buona carriera è fatta di tanti no, come la vita. Mentre conducevo G’Day mi hanno proposto diverse altre cose, ma dissi di no a tutti perché volevo concentrarmi su quel progetto. Poi non l’ho più potuto fare e ho guardato fieramente altrove: per me G’Day non sarà mai legato al fatto che ho smesso di farlo, ma a che l’ho fatto».
I progetti
Di progetti potenziali ce ne sono ancora molti. Tanti quanto la curiosità e la determinazione di una professionista che ha voglia di misurarsi in sfide nuove. «Sono cresciuta guardando Saranno Famosi ... Per il musical che debutterà in autunno, La famiglia Addams , prendo lezioni di canto e di tango. Mi piacerebbe fare ancora del cinema, con i registi che ammiro: Virzì, Moretti, Piccioni, Lucini, i Manetti Bros.». Prossimo impegno: il 13 settembre, a Venezia. «Presenterò con Neri Marcorè il Campiello 2014, al teatro La Fenice. Adesso devo leggere i libri dei cinque finalisti. È importante che l’autore capisca che l’ho fatto: quella serata potrebbe cambiare la sua vita, almeno per un anno; a me no, a me può solo impreziosirla».