Paolo Conti, Corriere della Sera 1/8/2014, 1 agosto 2014
IL MUSEO DEI BRONZI È COSTATO 32 MILIONI MA INCASSA 840 EURO AL GIORNO
La «Gioconda» di Leonardo da Vinci assediata al Louvre. La ressa di fronte all’icona. Un classico estivo, da anni è così. Lo spiega bene Sandrina Bandera, sovrintendente e direttore della Pinacoteca di Brera di Milano: «L’abbinata Leonardo da Vinci-Gioconda è oggettivamente mitica, suscita un sentimento quasi di religiosità intorno all’opera, impossibile parlare ormai di un semplice “quadro”». Tutto questo avviene in Francia, nel museo più visitato del mondo (9,3 milioni di ingressi nel 2013, erano 5,1 milioni, poco più della metà, nel 2001). Il capolavoro soffocato dalla massa, lo sappiamo tutti, non è mai un sintomo di crescita culturale. Come afferma sorridendo Claudio Strinati, per undici anni sovrintendente per il Polo museale romano, «sono in tanti a voler “vedere” la «Gioconda», ma sono in pochi a correre a Parigi per “guardarla” davvero».
Però basta un salto in Italia per toccare con mano il baratro che ci divide da una politica museale che ha prodotto a Parigi il balzo 5,1 milioni-9,3 milioni al Louvre. Prendiamo un’altra icona, quei Bronzi di Riace che oggi Vittorio Sgarbi vorrebbe trasportare dal Museo nazionale archeologico di Reggio Calabria a Milano nel 2015 per accogliere i visitatori dell’Expo. Le due opere, a febbraio, sono state protagoniste (il video era ieri su Dagospia ) di un blitz del fotografo Gerald Bruneau che ha «truccato» i Bronzi con veli bianchi da sposa, tanga leopardati e boa di struzzo viola. Trasformandoli (giudizio di Dagospia ) «in emblemi di cultura queer e gay». Il tutto dopo essersi inserito in un gruppo di giornalisti e fotografi organizzato dalla Regione Calabria. «Chiaramente — precisa la sovrintendente ai Beni archeologici di Reggio Calabria e responsabile del museo Simonetta Bonomi — senza concordare con me i contenuti del servizio, le cui immagini ho visto per la prima volta adesso».
Il Museo nazionale archeologico di Reggio Calabria è rimasto chiuso per restauri dal 2009 al dicembre 2013, quando venne riaperto dall’allora ministro Massimo Bray dopo quattro anni di lavori costati 32 milioni di euro col progetto esecutivo affidato ad ABDR Architetti Associati (Maria Laura Arlotti, Michele Beccu, Paolo Desideri, Filippo Raimondo). Le cifre per i Bronzi parlano da sole. Il sistema statistico del ministero per i Beni culturali (il Sistan) mette in fila gli ultimi numeri ufficiali. Nel quadrimestre gennaio-aprile 2014 i visitatori paganti sono stati appena 21.407 raggiungendo quota 57.405 calcolando i non paganti (i ragazzi e gli anziani con più di 65 anni di età, che in quel periodo entravano gratuitamente, eravamo prima della revisione delle tariffe decisa dal ministro Dario Franceschini). Incassi complessivi: 100.901 euro. La sovrintendente Bonomi ha meritoriamente deciso per un orario privo di riposo settimanale, dalle 9 alle 19 tutti i giorni senza soste. Quindi dividendo quei 100.901 euro per 120 giorni di apertura si arriva a 840 euro al giorno. I musei (tranne le Sovrintendenze speciali) non godono di autonomia finanziaria, gli introiti finiscono nell’amministrazione centrale del ministero per i Beni culturali. Ma siamo lontanissimi non solo dalla possibilità di ripagare i 32 milioni spesi per il restauro del museo ma anche dalla prospettiva di assicurare gli stipendi dei 45 dipendenti (negli anni Novanta erano addirittura 120).
Afferma però la sovrintendente Simonetta Bonomi: «Forse stupirò qualcuno, ma mi ritengo soddisfatta dei risultati. Abbiamo appena calcolato qui a Reggio Calabria i dati finali del semestre gennaio-giugno 2014 e, tra paganti e non paganti, siamo a quota 98.672. Nel 2010, quando i Bronzi erano ricoverati a palazzo Campanella durante i restauri, nello stesso semestre ci fermammo a 46.994 e nel 2009, ultimo periodo di apertura del museo prima della cantierizzazione, sempre in quel semestre chiudemmo a 63.305. Ripeto, qualcuno non capirà, ma mi auguro di mantenermi su questa quota, di non superare mai i 240.000 ingressi, perché le visite ai Bronzi di Riace hanno limitazioni di tempo e quindi il museo soffre spesso per l’inevitabile usura causata dai numeri, soprattutto delle scolaresche. Difficile mantenere pulita e in ordine una struttura simile».
Fin qui i Bronzi. Ma resta un nodo di fondo. L’Italia abbonda di capolavori assoluti. Un elenco, certamente arbitrario, potrebbe includere per esempio lo «Sposalizio della Vergine» di Raffaello e il «Cristo Morto» del Mantegna, entrambi a Brera a Milano, così come «La Tempesta» di Giorgione alla Galleria dell’Accademia a Venezia. Lasciando da parte gli Uffizi (cosa mai scegliere?) eccoci ai Caravaggio nelle chiese di Roma (il ciclo di San Matteo nella cappella Contarelli a San Luigi dei Francesi, la «Conversione di San Paolo» e la «Crocifissione di San Pietro» nella cappella Cerasi a Santa Maria del Popolo, la «Madonna dei Pellegrini» a Sant’Agostino), «La Crocifissione» di Masaccio al museo di Capodimonte, l’«Annunziata» di Antonello da Messina a Palermo nella Galleria regionale Siciliana a palazzo Abatellis. Di file o resse, nemmeno l’ombra.
E tra la Gioconda assediata e quasi l’indifferenza c’è sicuramente una via di mezzo. Per Sandrina Bandera «molto dipende dalla comunicazione. Noi abbiamo capolavori straordinari ma non abbiamo i fondi, per esempio, per rivolgerci a un’agenzia specializzata che appunto li “comunichi”». Ancora Strinati propone un parallelo tra il desiderio amoroso e quello per l’opera d’arte: «Come nei sentimenti, anche nell’arte scatta il meccanismo dell’aspirazione, della voglia. Nell’amore è l’altra persona che riesce a indurre il desiderio. Nell’arte c’è la pubblicità, la comunicazione. Io non ho soluzioni per il problema posto, cioè della mancanza di “desiderio” per indubbi capolavori come l’“Annunciata” di Antonello da Messina o la “Crocifissione” di Masaccio. So però che tutto dipende da quella molla...» Il desiderio, appunto.