Lorenzo Salvia, Corriere della Sera 1/8/2014, 1 agosto 2014
DALLA TAV NAPOLI-BARI AL VALICO DEL FREJUS CON LO «SBLOCCA ITALIA» PRONTI 3,7 MILIARDI
Ci hanno provato tutti i governi, perché il settore delle infrastrutture è capace da solo di far girare il vento dell’economia. Ma con pochi risultati visto che a più di dieci anni dalla prima mossa si aspetta ancora un decreto sblocca Italia per far ripartire i cantieri. Il primo tentativo è del governo Berlusconi con quella legge Obiettivo che fissava l’elenco delle infrastrutture strategiche, messo nelle mani dell’ingegnere e ministro Pietro Lunardi. Sul piatto c’erano in dieci anni 125 miliardi di euro (erano altri tempi). Anche se buona parte di quei soldi è poi rimasta sulla carta. Cinque anni dopo, con il governo Prodi, tocca ad Antonio Di Pietro farsi carico della questione. Il nuovo ministro delle Infrastrutture lancia una ricognizione su tutti i cantieri aperti per una valutazione dei fondi disponibili. La risposta? Per completare tutte le opere della legge obiettivo servono ancora 230 miliardi di euro. Adesso tocca al governo Renzi. Per il momento si tratta solo di una consultazione pubblica, per leggi e decreti bisognerà far passare l’estate. Ma la linea sembra diversa. Non solo grandi opere, sulle quali comunque si interverrà concentrando gli sforzi su quelle considerate strategiche. Ma anche piccoli interventi, come quelli indicati dai sindaci o il rifinanziamento del piano città. Perché nuove risorse sono difficili da trovare e bisogna ripiegare su quelle già stanziate ma rimaste incagliate tra un comma e un’autorizzazione. E perché la crisi ha spalmato i suoi effetti su tutto il territorio nazionale e forse dieci piccoli cantieri possono aiutare più di una grande opera.
La data era stata fissata da tempo nel calendario delle riforme: 31 luglio, decreto sblocca Italia, un pacchetto per far ripartire i cantieri di un Paese fermo. Ma il lavoro è stato più complicato del previsto, l’attenzione del governo è stata catturata da altre questioni. E alla fine, come previsto, nel consiglio dei ministri di ieri sera si è deciso di prendere tempo. Nessun testo approvato ma un semplice esame preliminare della linee guida con la scelta di sottoporre il tema ad una consultazione pubblica, cioè ai consigli e ai suggerimenti dei cittadini. Il tema è stato solo sfiorato durante la seduta, Matteo Renzi ha letto un indice di undici punti. Oggi è prevista una conferenza stampa ma in sostanza se ne riparlerà dopo l’estate. Anche perché approvare un decreto legge alla fine di luglio avrebbe segnato fin dalla nascita il suo destino: con un Parlamento bloccato sulle riforme e la pausa estiva alle porte, non sarebbe stato possibile convertirlo in legge entro i 60 giorni previsti dalla Costituzione. Sarebbe decaduto, affossando un’operazione sulla quale il governo punta parecchio per inseguire quella ripresa che finora non si è vista. Ma quali sono i piani del governo, al di là dei punti che saranno sottoposti alla consultazione pubblica?
Grandi opere
Viene prevista una nuova grande opera, l’alta velocità ferroviaria fra Napoli e Bari, con la creazione di un commissario straordinario nella persona dell’amministratore delegato delle Ferrovie: Michele Elia. Segue un elenco di altri cantieri, già avviati ma bloccati o per mancanza di finanziamenti o per problemi burocratici. Ci sono i valichi ferroviari del Frejus, del Sempione e del Brennero, l’autostrada Tirrenica, la statale Telesina vicino a Benevento, e via scorrendo la lista delle grandi incompiute d’Italia. In tutto il valore delle opere da sbloccare arriva a 43 miliardi di euro. Il punto è come sbloccarle.
Le risorse
Con il decreto legge che dovrebbe arrivare a settembre il governo metterà sul piatto 3,7 miliardi di euro per i prossimi sei anni. Ma soprattutto ha intenzione di stabilire una regola che consentirebbe al sistema di andare a regime: fissare l’obbligo di spendere ogni anno per le infrastrutture almeno lo 0,3% del Pil, il prodotto interno lordo. A spanne sarebbero altri 5 miliardi di euro l’anno. Fondi che servirebbero anche per il rifinanziamento del «piano città» e dei «6 mila campanili», gli interventi già lanciati in passato ma di fatto rimasti al palo, che dovrebbero prendere nuovo slancio sia dalle indicazioni dei sindaci sia da quell’idea di «rammendare le periferie» di cui ha parlato Renzo Piano e che tanto piace a Matteo Renzi.
Le semplificazioni
C’è poi un altro tentativo di semplificare le procedure burocratiche del settore. Ci sarà l’autorizzazione unica edilizia, che rende uniformi i diversi modelli che oggi vengono applicati negli 8 mila Comuni italiani. Ma resta in piedi anche l’ipotesi di una vera e propria deregulation . Se oggi si deve presentare al Comune una domanda di licenza prima di iniziare a costruire, con la riforma ci si potrebbe rivolgere direttamente allo sportello unico, con una autocertificazione che indica le caratteristiche essenziali del progetto e garantisce il rispetto del piano regolatore e delle altre norme urbanistiche. Da quel momento lo sportello unico avrebbe 30 giorni di tempo per fare le sue valutazioni ed eventualmente fermare i lavori che però, senza una risposta espressa, potrebbero partire secondo la regola del silenzio assenso.
Incentivi fiscali
Nel piano potrebbero entrare anche gli incentivi fiscali sulla casa, seguendo il modello adottato in passato in Francia: sarebbe possibile dedurre dall’imponibile un parte del prezzo d’acquisto delle case di nuova costruzione o completamente ristrutturate a patto di darle subito in affitto a canone concordato per un periodo di almeno otto anni. Nella logica della defiscalizzazione potrebbero entrare anche i nuovi incentivi per le auto, con la deduzione di una parte del prezzo d’acquisto per chi rottama un mezzo inquinante. Una parte del governo preme per queste due misure sostenendo che sarebbero anche in grado di autofinanziarsi, perché lo sconto fiscale sarebbe coperto dall’aumento del gettito generato dalla ripresa di due mercati adesso fermi. Ma non sarà facile convincere il ministero dell’Economia, specie dopo la presa d’atto delle difficoltà che ci sono sulla strada della ripresa. Le decisioni vere arriveranno dopo l’estate. In compenso il consiglio dei ministri di ieri ha approvato un documento sulla nuova Pac, la politica agricola comune. Da qui al 2020 ci sono a disposizione 52 miliardi di euro. Fondi dai quali il governo ha deciso di escludere banche, assicurazioni, società immobiliari e finanziarie che finora li potevano incassare direttamente.