Giuliana Ferraino, Corriere della Sera 1/8/2014, 1 agosto 2014
FINK (BLACKROCK): DA PRIMAVERA IL CLIMA È PEGGIORATO L’ITALIA CI PIACE ANCORA E CI ESPANDEREMO
[Intervista a Larry Fink] –
DALLA NOSTRA INVIATA NEW YORK — «In primavera, durante il mio viaggio in Italia, incontrando i top manager delle grandi aziende e i banchieri, ho visto così tanto entusiasmo per il nuovo governo. Da allora l’umore nel Continente è cambiato, però resto ottimista sull’Europa e sull’Italia, dove vogliamo continuare a crescere: Renzi può davvero cambiare il Paese, ma deve avere coraggio», sostiene Larry Fink, 61 anni, nel suo ufficio di midtown a Manhattan, dominato da una grande mappa di Alighiero Boetti. Il co-fondatore e Ceo di BlackRock, la più grande società di investimenti e asset management del pianeta, con oltre 4.300 miliardi di dollari gestiti, ha fatto parlare molto di sé nei mesi scorsi, dopo uno shopping accelerato che ha portato BlackRock a custodire quote di rilievo nei principali istituti di credito, da Unicredit (5,2%) a Intesa (5%), da Mps (al 3,2% dopo essere arrivato fino al 5,7%) al Banco Popolare (6,8%), ma anche in Telecom Italia e altri gruppi quotati a Piazza Affari. E poi ha lanciato un segnale al Paese, facendo sbarcare i 150 manager più importanti del gruppo a Milano, dove si è tenuta la tre giorni di convention interna sulla leadership.
Cominciamo dall’Argentina, che ha fatto default per la seconda volta in 13 anni: quale sarà l’impatto sugli investitori?
«Non vediamo grandi ripercussioni sugli altri mercati emergenti. È importante osservare che l’Argentina rappresenta una quota molto piccola dei benchmark dell’industria, e che questo default non è il risultato di una crisi economica, ma di una battaglia legale. Per quel che riguarda l’Argentina, invece, se non lo risolve rapidamente, renderà difficile l’accesso ai finanziamenti esteri per il debito sovrano, potenzialmente anche per le società. Questo potrebbe trasformarsi in un forte vento contrario per la crescita economica e metter sotto pressione moneta e inflazione» .
E il resto del mondo come sta, visto con gli occhi dell’investitore?
«La settimana scorsa abbiamo tenuto la riunione del board a Londra (ci spostiamo da New York una volta all’anno) e, alla vigilia, abbiamo invitato a cena i vertici dei nostri 25 clienti più importanti, che sono i principali fondi pensione, le assicurazioni, e così via. Ho sentito maggiore preoccupazione rispetto a qualche mese fa. O meglio: c’è ottimismo nel breve periodo, meno sul medio. Nella prima parte dell’anno avevo trovato un grande entusiasmo per l’arrivo di Matteo Renzi al governo italiano con la promessa di cambiamenti, perché si cominciavano a vedere miglioramenti nell’economia greca, e le riforme in Spagna davano i primi risultati tangibili».
E adesso?
«Le grandi corporation fanno grandi profitti, come si vede dai risultati trimestrali; i mercati salgono, gli spread scendono, soprattutto perché c’è un’enorme liquidità in giro per il mondo. L’umore, però, è cambiato. Sono cresciuti i rischi geopolitici, e se fossi europeo anche io sarei molto preoccupato dalla questione ucraina. Ma osserviamo anche un continuo deterioramento della fiducia in Francia e, da tre mesi, anche in Germania. L’Italia? In primavera ho trovato entusiasmo, ma non sono sicuro che oggi si percepisca la stessa fiducia. Renzi deve avere più coraggio per riformare il Paese, come ha promesso. Noi, però, facciamo piani a lungo termine e continuiamo ad avere progetti ambiziosi per espanderci in Europa, Italia inclusa, dove vista la nostra crescita entro fine anno cambieremo gli uffici di Milano per allargarci. Ma cresciamo ovunque. Abbiamo aperto uffici a Edinburgo, ci espandiamo a Zurigo. Abbiamo assunto oltre mille persone in India, il cui mercato azionario è salito del 100% negli ultimi mesi» .
Crede che serviranno misure non-convenzionali da parte della Banca centrale europea per far tornare la fiducia in Europa ed evitare il rischio di deflazione?
«Mario Draghi finora è stato un leader formidabile della Bce, l’ultima dimostrazione è il voto all’unanimità dei governatori sulle importanti misure di politica monetaria varate da Francoforte. Sono sicuro che, se perdurerà la pressione dei prezzi verso il basso, Draghi agirà aggressivamente. Resta da vedere se la Bce sceglierà di acquistare i bond delle società o direttamente i titoli del debito sovrano».
L’Unione bancaria europea, che partirà a novembre, contribuirà a stabilizzare i mercati: basterà a tranquillizzare gli investitori?
«Le banche si stanno preparando e il momento è favorevole a raccogliere risorse sul mercato, molte lo hanno già fatto, mentre continuano a ridurre l’indebitamento. Penso che quando si completerà l’Asset quality review (l’analisi sulla qualità dei bilanci) ci sarà più fiducia tra gli investitori. La preoccupazione maggiore per certi istituti piuttosto oggi nasce dal Dipartimento di Giustizia americano».
Guardiamo agli Stati Uniti: nel secondo trimestre l’economia è tornata a crescere del 4%, ma la Federal Reserve mercoledì ha deluso i mercati, che si aspettavano meno vaghezza sui tempi del rialzo dei tassi di interesse. Che ne pensa?
«Mi aspetto che la Fed faccia più chiarezza sui tassi in ottobre, quando terminerà il tapering (la riduzione dell’acquisto di titoli sul mercato, ndr). Dopo la crescita negativa del primo trimestre, l’ultimo dato del Pil ci dice che l’economia americana cresce intorno al 3%. Potrebbe fare di più, ma Washington frena una ripresa più robusta. Abbiamo bisogno di una riforma fiscale e di una legge sull’immigrazione. La paralisi della politica contribuisce all’incertezza e frena gli investimenti delle aziende. Invece servono investimenti, a partire dalle infrastrutture, basta guardare come sono ridotte le strade di New York».
Come valuta la crociata del presidente Obama contro l’elusione fiscale delle grandi aziende che ha definito “disertori fiscali”?
«È solo rumore. Serve una riforma globale che riveda tutta la normativa fiscale. La responsabilità dei Ceo delle aziende è di massimizzare i guadagni degli azionisti».