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 2014  luglio 31 Giovedì calendario

SESSO, MERCE E LIBERTA’

Il tema generale di questo dialogo è «il corpo delle donne fra libertà e sfruttamento». Affronteremo quindi sia la questione dell’uso del corpo femminile nei media, sia fenomeni spesso direttamente associati – a torto o a ragione, a seconda delle opinioni – all’idea di mercificazione del corpo, cioè la prostituzione e la pornografia, fenomeni che, al di là di come la si pensi, hanno una notevole importanza e pervasività nella nostra società. Valentina Nappi sul suo sito ha pubblicato un testo, in cui sosteneva che il problema della mercificazione del corpo della donna si risolverebbe ponendo fine alla disparità di accesso al sesso occasionale, accesso che sarebbe penalizzante per gli uomini. Una disparità in cui le donne, infatti, sarebbero in una posizione di forza, grazie al «potere sessuale» femminile, potere che «sfrutta» il desiderio maschile e contro cui lei come pornostar intende combattere, proponendo un’accessibilità universale al sesso occasionale pari per uomini e donne. In quello stesso testo, come primo passo per mettere in pratica questa idea, Valentina Nappi offriva una masturbazione gratis a qualunque uomo gliela chiedesse. Una disponibilità – precisava – non per carità, ma per giustizia. Valentina Nappi, ci vuole spiegare meglio questo punto di vista?

Valentina Nappi: La masturbazione è il gesto sessuale più universale, e dovrebbe essere quello più diffuso perché permette di dare piacere senza la necessità di preservativi, anticoncezionali e altre misure di protezione. Il bello della masturbazione è che puoi masturbare chiunque senza porti alcun problema. La masturbazione reciproca dovrebbe diventare normale, come il prendere un caffè insieme. Ovviamente io non posso offrire un caffè a chiunque, non posso spendere le mie giornate offrendo caffè, però se capita lo faccio volentieri. Detto questo, è innegabile che fra uomini e donne ci sia un’asimmetria evidente, perché per le donne il sesso ha uno status speciale, non è considerato un’attività come qualunque altra, come invece dovrebbe essere. Da questo status speciale, le donne ricavano un «potere» che è il presupposto della mercificazione. In un contesto di assoluta parità, in cui le donne offrissero sesso liberamente senza sfruttare il loro «potere», non esisterebbe alcuna mercificazione.

Maria Latella: Posso chiederle esattamente che cosa intende per potere sessuale esercitato da una donna?

Nappi: La questione è molto più generale, ha a che fare con le gerarchie comunitarie. Dico «comunitarie» per assumere come evidente termine polemico il comunitarismo, ad esempio quello di Michael J. Sandel. La mia idea è che l’origine di ogni potere risieda nel senso di comunità. A mio avviso, all’interno di un gruppo (dalla squadra sportiva a compagini molto più ampie), tutto quanto concorre alla costruzione di un senso di comunità è inevitabilmente legato al potere. Faccio un esempio per spiegarmi meglio: nel film Jersey Boys, l’ultimo di Clint Eastwood, dedicato alla storia dei Four Seasons, c’è una scena in cui uno dei protagonisti, Tommy De Vito, il più anziano del gruppo, presta la macchina a Frankie Valli perché questi possa portare fuori una ragazza incontrata in un locale. In quella scena, De Vito non dà subito le chiavi a Valli, ma fa un giochetto di tira e molla, di quelli che a volte si fanno con i bambini e che spesso fanno le donne con gli uomini. Qualcuno potrebbe dire che quello di De Vito fosse un modo per cementare lo spirito di gruppo, il senso di comunità. Ma si ravvisa anche un elemento cruciale del potere: l’esibizione del poter dare oppure non dare a qualcuno qualcosa di cui questi ha bisogno o che desidera fortemente. Spesso lo stesso effetto si ottiene imponendo un’attesa. Al liceo c’era una mia amica che mi diceva: «Questa settimana hai fatto sesso con tre ragazzi diversi, non puoi farlo ancora con qualcun altro», e io rispondevo: «Ma scusa, se aspetto un mese che cosa cambia?». Tutto è dovuto a svariate regole non scritte, che stabiliscono i comportamenti che una donna deve adottare al fine di...

Latella: ...mantenere quel potere?

Nappi: Esatto, mantenere quel potere. Qualche tempo fa Frank Matano fece un esperimento, che era già stato fatto in America: un ragazzo bellissimo chiedeva a 100 ragazze se avevano voglia di fare sesso con lui, e praticamente tutte risposero di no. Persino ragazze veramente brutte, alle quali difficilmente sarebbe mai capitato nella vita uno così bello! Solo una, su 100 interrogate, disse «forse». Nell’esperimento al contrario, dove una ragazza carina ma non particolarmente bella chiedeva a 100 ragazzi se avevano voglia di fare sesso con lei, più o meno la metà rispose di sì. Ecco, in questo consiste il «potere sessuale» delle donne.

Latella: Credo sia necessaria una premessa. Noi stiamo parlando di sesso mentre aumenta esponenzialmente il numero di coloro che non lo praticano più, semplicemente perché non interessati. Stiamo continuando a parlare del sesso come se fosse, ancora, un elemento di trasgressione, mentre da almeno trent’anni il sesso non è trasgressivo per niente. Sull’adulterio John Updike ha costruito la sua fortuna di scrittore, sui rapporti multipli negli anni Sessanta sono stati scritti centinaia di saggi, di sceneggiature, di testi teatrali. Dunque, direi che il sesso non è più trasgressivo per niente. Il problema non è parlare del sesso o renderlo accessibile, il problema è come far tornare alla gente la voglia di fare l’amore, percheé per fare sesso oggi ci si impasticca, si sniffa cocaina, ci si ubriaca, tutto per alimentare quel desiderio che è molto, molto calato.

Nappi: Secondo me, invece, il problema non è se e quanto si fa sesso, ma il fatto che se ne parli, perché ad esempio a Dubai sicuramente si fa moltissimo sesso, ma non se ne parla affatto.

Latella: Forse se ne fa moltissimo proprio perché non se ne parla. Se c’è una cosa che ha bisogno del mistero, questa è il sesso. Noi in trent’anni, nella società occidentale, non abbiamo fatto altro che sbatterlo su tutti i video, in tutte le case alle 3 del pomeriggio. E lo abbiamo totalmente depotenziato.

Nappi: In tutti i video e in tutte le case abbiamo sbattuto simboli del potere, in realtà, non il sesso, che è un’altra cosa. Ci abbiamo sbattuto modelle che, intervistate, hanno dichiarato la loro eterna fedeltà ai «valori tradizionali», al sesso «mai senza amore» e all’ideale (fascista e anacronistico) di famiglia numerosa. Ovvero il sesso nell’ambito di quelle regole comunitarie di cui parlavo prima. Quanto a quel che accade a Dubai, non credo sia una situazione desiderabile. O no? Sarebbe, nel nostro caso, un tornare indietro. Durante il fascismo probabilmente si faceva più sesso di oggi, ma la donna era soltanto o moglie o prostituta. Il problema non è il sesso in sé, ma il rapporto tra la sua dimensione pubblica e quella privata. Io ho amici che sono totalmente disinteressati al sesso, però pubblicamente sostengono idee di emancipazione sessuale.

Insomma, bisognerebbe tornare all’idea del sesso come bere un bicchier d’acqua...

Nappi: Non direi «tornare», perché purtroppo il sesso «come bere un bicchier d’acqua» non c’è mai stato. Si tratta semmai di pervenire davvero a una società in cui trovare partner sessuali sia (anche per i maschi) facile come trovare persone con cui giocare a un qualche popolare gioco da tavolo. È disonesto intellettualmente affermare che sia già così o sia già stato così qualche anno fa.

Come dicevamo in introduzione, uno dei fenomeni più tradizionalmente associati all’idea di mercificazione del corpo femminile è quello della prostituzione. Su questo, Valentina Nappi, in coerenza con le idee espresse prima sulla disparità di accesso al sesso libero, equipara addirittura la prostituzione all’usura, perché in entrambi i casi si sfrutta il bisogno dell’altro grazie a un proprio «potere». È un’idea profondamente in contrasto sia con il senso comune sia con le legislazioni di molti paesi, per le quali la prostituta è in realtà la vittima del rapporto.

Nappi: Io credo che le vere vittime siano gli uomini. Le donne, nella maggior parte dei casi, scelgono di fare le prostitute. E molte di loro – basta parlarci per scoprirlo – sono molto consapevoli di questo loro «potere», e parlano spesso di «spennare il pollo». Le prostitute sfruttano il desiderio maschile, sfruttano il bisogno dell’altro. Non forniscono un servizio che sono in grado di offrire in virtù di un particolare studio o allenamento o in virtù di particolari doti naturali: è pura usura, perché sfruttano solo il differenziale di accesso al sesso occasionale tra chi ha la vagina e chi ha il pene. Non è che uno va a prostitute per avere un servizio particolare, ci va semplicemente per fare sesso. Questa sì che è una forma di mercificazione.

Latella: Io distinguerei tre aspetti della questione, che spesso si tengono insieme, ma che invece è utile separare. Il primo è il fenomeno della prostituzione in senso stretto, ossia il rapporto prostituta donna-cliente uomo: rientra nella storia dell’essere umano e ha caratteristiche che si sono mantenute simili nel succedersi dei secoli e a tutte le latitudini. La prostituta che sta per strada a Milano e quella nei quartieri a luci rosse di Amburgo offrono un servizio analogo, talvolta utile alla società perché aiuta ad allentare le tensioni sociali: a loro si rivolgono persone che hanno difficoltà a relazionarsi con le donne, uomini che hanno bisogno di fare sesso in maniera compulsiva e via elencando differenti condizioni e motivazioni. Rispetto a questo primo aspetto, si può discutere dell’opportunità che le prostitute paghino le tasse, anche considerato l’immenso giro di denaro che fa capo al settore. La seconda questione riguarda le condizioni in cui le prostitute si trovano a operare: molte non hanno scelto liberamente di fare quel lavoro, sono ricattate dalla criminalità organizzata, sostanzialmente prive della libertà. Questa non è prostituzione, questa è schiavitù. E noi giriamo la testa dall’altra parte. Il terzo aspetto è quello che chiamerei la prostituzione collettiva, l’atteggiamento che estende in maniera abnorme il do ut des tipico della prostituzione. Un fenomeno che negli ultimi trent’anni, e non solo in Italia, è andato diffondendosi insieme al concetto «greedy is good», l’avidità è buona. Nel nostro paese lo abbiamo visto applicarsi con particolare intensità e ciò spiega anche l’elevato tasso di corruzione che mette l’Italia in testa alla sgradevole classifica dei paesi occidentali più corrotti. Che cos’è se non disposizione mentale alla prostituzione quella di venire meno ai propri doveri di amministratore pubblico e farsi corrompere per approvare una delibera? Che cosa è se non prostituzione, quella del politico che usa il proprio potere per costruirsi un patrimonio di case, conti all’estero, barche, beni di cui altrimenti non avrebbe mai disposto? È un fenomeno recentemente evocato anche da papa Francesco. Il papa ha parlato di «avidità senza limiti» e mi pare evidente il legame tra questa ossessione per il possesso di beni e la mercificazione del corpo delle donne: è come se si fosse perso totalmente il senso della gerarchia delle cose importanti e dei valori, riconoscendone sostanzialmente un solo. Il denaro, le cose.

Nappi: Siamo sicuri che una volta ci fosse meno corruzione o si tratta della solita retorica?

Latella: Ho più anni di lei, Valentina, e sono cresciuta nell’Italia in cui, fino agli anni Ottanta, la piccola come la grande borghesia aveva chiaro il senso delle regole. Se mio padre mi avesse mai visto parlare con uno condannato per qualsiasi reato mi avrebbe preso a schiaffi per strada e rimandato a casa. Fino all’inizio degli anni Ottanta una diffusa riprovazione sociale impediva di invitare a cena un condannato, non si andava alle feste o al ristorante con chi aveva inchieste per corruzione, era un mondo totalmente diverso.

Nappi: Ma mi chiedo: che rapporto c’è tra il presunto decadimento degli ultimi trent’anni e il senso di comunità?

Latella: Bella domanda. Mi verrebbe da dire che il principio del «ciascuno si faccia i fatti propri», «tu pensa ad arricchirti e gira la testa dall’altra parte, che io penso ad arricchirmi e giro la testa dall’altra parte» ha prodotto il venir meno del senso di comunità. E questo vale nei confronti di fenomeni come la corruzione, ma anche per altre questioni che vanno ricondotte al senso di far parte di uno stesso paese, di una stessa comunità. Penso al libro di Hillary Clinton, Ci vuole un villaggio per crescere un bambino, e invece all’indifferenza che si registra anche nei piccoli centri di fronte ai ragazzini tredicenni ubriachi il sabato sera.

[...] L’altro fenomeno, citato in apertura, che spesso si associa, a torto o a ragione, all’idea di mercificazione del corpo femminile, e? la pornografia. Valentina Nappi, non si potrebbe rivolgere anche alla pornografia l’accusa che lei ha fatto alla prostituzione, ossia in qualche maniera di sfruttare il desiderio e il bisogno sessuali maschili per guadagnare? Un’altra forma di «usura», per usare il termine che ha usato lei?

Nappi: La pornografia dovrebbe fornire spunti tecnici (e in parte così è stato, visto che molte pratiche oggi comuni sono tali anche grazie alla pornografia) e non rimediare all’impossibilità di soddisfare un bisogno. Semmai aiutare a soddisfarlo, renderlo più fantasioso, più divertente. Ciò è particolarmente importante proprio perché, ahimé, la maggior parte delle persone fa sesso sempre nello stesso modo. Per questo non parlerei di «usura», soprattutto oggi che si trova gratis in rete qualsiasi film dopo un’ora dall’uscita. Ovviamente, come tutti gli strumenti, anche la pornografia si può usare in tanti modi. Non dovrebbe essere considerata un surrogato, ma un di più.

Viviamo oggi in una società che ha, almeno parzialmente, sdoganato la pornografia. Anni fa è esistito in America un movimento di femministe, con in testa Andrea Dworkin, che si scagliavano contro la pornografia. Oggi anche il movimento delle donne ha accettato il fenomeno e quel che si tenta di fare è distinguere un porno mainstream e un porno «alternativo», oppure ancora un porno maschile e uno femminile, o addirittura femminista. Recentemente è nato in Italia un collettivo di donne, che si chiama Le ragazze del porno, alcune delle quali hanno alle spalle anche esperienze di attivismo nel movimento femminista, che sta cercando attraverso un crowdfunding di finanziare un progetto di cortometraggi pornografici realizzati da loro stesse. Queste donne sembrano dire: noi siamo donne e il porno ci piace – quindi non è vero che il porno piace solo agli uomini – però vogliamo farlo a modo nostro. Ha senso questa distinzione oppure no?

Nappi: Mah, io penso che ormai non si possa più parlare di porno mainstream, di industria del porno. Ormai la cosiddetta industria del porno non fattura quasi nulla. Chiunque oggi con cinquemila euro di budget può fare un video da distribuire in tutto il mondo, un video allo stesso livello tecnico e con gli stessi performer di quelli delle principali case di produzione americane. Girare un porno all’altezza di quelli commerciali è davvero alla portata di tutti, il punto è che molti – dato che già si guadagna poco – preferiscono realizzare video «pop» e non di ricerca. Vorrei però fare una domanda alla dottoressa Latella: com’è la sua vita sessuale?

Latella: Come dicevo prima, credo che il sesso vada coltivato nel mistero quindi non ho nessuna risposta da darle.

Nappi: Secondo me nulla va coltivato nel mistero.

Latella: Beh, questi sono fatti miei e ognuno coltiva quel che gli pare, nel mistero o meno. Sono invece d’accordo a proposito di queste distinzioni: è vero che fare distinzioni tra porno mainstream, porno alternativo eccetera non ha molto senso. È tutto bullshit. A me pare che la questione sia più semplice: di soldi ne girano sempre di meno e anche nel mondo del porno, immagino, ciascuno s’arrabatta come può. La crisi economica è serissima e magari uno pensa di guadagnare qualcosa inventandosi un porno fumetto: in fondo, e storicamente, il porno e il sesso non sono mai in crisi. Ciò detto, non starei lì a fare tante elucubrazioni intellettuali. Stiamo parlando di un business. Punto.

Abbiamo parlato di prostituzione e di pornografia. Ma la mercificazione del corpo delle donne passa anche dall’uso che ne fanno i media, i giornali, la pubblicità. Ci sono due modi possibili di criticare tutto questo: esiste da un lato una critica bigotta, perbenista, moralista, che se la prende con l’esposizione di immagini di nudo o sensuali in sé; poi c’è una critica che invece si concentra sul carattere truffaldino di determinate immagini, ossia sull’idea che associare la bella donna a un whisky o a una macchina non dice nulla delle caratteristiche del prodotto che si sta pubblicizzando.

Latella: Io non mi concentrerei solo sulla pubblicita?, parliamo dei media in generale, dei giornali, dei settimanali di gossip che mettono in copertina dei quarti di bue spacciandoli per showgirl sconosciutissime. La pubblicità usa il corpo della donna per vendere dei prodotti, ma il primo «prodotto» che usa il corpo delle donne per vendere sono proprio i giornali, nella loro versione online. Lo sappiamo: le donne nude in homepage fanno crescere il numero di visitatori e i siti dei maggiori quotidiani italiani devono rispondere prima di tutto alla domanda: quanti stanno cliccando? Perciò, lo fanno tutti. Il risultato purtroppo è mantenere in vita fenomeni che sono esclusivamente mediatici. Showgirl che non fanno niente in tv da anni, ma che continuano a farsi fotografare in spiaggia. Esistono in quanto stanno in bikini. Può sembrare ingenuo e certamente lo è, ma quando dirigevo il settimanale A provammo a sottrarci a questo logica illogica: lanciammo la campagna contro i senza talento, spiegando che non avremmo mai messo in copertina una serie di showgirl perché secondo noi anche una copertina va meritata. Queste non avevano altro merito se non quello di essere belle e popolarissime grazie a un astuto circuito autoreferenziale: un giornale ti mette in copertina perché sei l’amante di un potente, per lo stesso motivo ottieni campagne promozionali di grandissime aziende, la tv ti chiama, e a quel punto sei sulle copertine di tutti i settimanali di gossip e non. Senza aver dimostrato di saper fare niente. Era il nostro modo per segnalare che l’assenza di meritocrazia in Italia era lampante anche nel mondo dello spettacolo. Dalle gemelle Kessler a Loretta Goggi, nella tv del passato dovevi saper ballare, cantare, imitare. Negli ultimi trent’anni non è più stato così: bastava essere un corpo e non aver sbagliato il letto, o i letti. La campagna contro i senza talento di A portò al giornale un grande sostegno dei lettori e di molte persone del mondo dello spettacolo: da Carlo Verdone a Cristiana Capotondi, per citare solo due dei molti che ci diedero una mano. Fu citata anche dal Financial Times. Nessun giornale italiano invece scrisse una riga, né scelse di fare a meno di certe presunte showgirl. Certo non le mettevano in copertina perché avevano delle cose da dire o perché c’era una notizia: metà delle notizie erano finte – finti fidanzamenti, finti abbandoni. Sembrano frivolezze, ma è anche così che si intossica un paese.

Nappi: Oggi la gente pretende di parlare di sesso nei media senza essere interessata alla tekne sessuale, che attiene appunto ai rapporti di causa-effetto fra stimoli sessuali e reazioni, innanzitutto psicologiche, di chi è esposto allo stimolo: è come parlare di musica nella pubblicità senza capir nulla di psicoacustica. Bisognerebbe prima capire e poi pensare a soluzioni. In tale ottica, io mi chiedo: che differenza c’è tra usare le donne nude e invece usare i cuccioli di cani e gatti per attirare i visitatori?

Latella: Ecco, appunto, si mette sullo stesso piano un cucciolo e il corpo di donna. Le cose più cliccate online sono i gattini, poi subito dopo alcune cosiddette soubrette che non fanno uno spettacolo da decenni, che sono sempre lì sulle solite spiagge, con il solito perizoma, delle cose un po’ patetiche tutto sommato...

Nappi: Io mi chiedo perché una persona dovrebbe essere attratta da un giornale in cui c’è una donna seminuda quando su internet ci sono, per esempio, i miei film porno gratis. La ragione sta nel fatto che quello che si vende in realtà è un simbolo. Quello che questi giornali mettono in mostra non è il sesso, ma simboli di potere: la showgirl bella, che fa le vacanze non so dove, attira non tanto perché è figa, ma perché è figa più tante altre cose e quindi si è interessati a quel che fa questa persona. Qualche volta scherzando ho detto: se le donne fossero tutte sessualmente promiscue, e per sessualmente promiscue intendo sessualmente oneste – ossia pro-stitute, nel senso etimologico di «colei che si espone» – probabilmente il gossip non avrebbe ragione di esistere: chi sarebbe più interessato alla vita sessuale o sentimentale di un’altra persona? Il gossip non esisterebbe se vi fosse una vera normalizzazione della rappresentazione del sesso. Tale normalizzazione non c’è. Ad esempio, sui siti porno non si trova la pubblicità di case automobilistiche o di marchi della moda. Se le case di produzione pornografiche sono in crisi, è perché noi a differenza di tutti gli altri settori, non possiamo mettere la pubblicità sui nostri siti. Possiamo pubblicizzare soltanto altro porno, ma le persone non comprano più il porno perché possono averlo gratis, quindi il cerchio si chiude.

[...]

I Post Scriptum che seguono sono stati scritti autonomamente dalle due autrici dopo il dialogo.

Post scriptum di Maria Latella

Un confronto con una pornostar? Quando MicroMega mi ha proposto di dialogare con Valentina Nappi su un ampio ventaglio di temi, dall’immagine della donna in Italia all’uso e abuso del corpo femminile nei media e in pubblicità, dalla pornografia alla prostituzione, ho reagito con curiosità.
Alcuni degli argomenti sono oggetto del mio interesse da anni: lo svilimento dell’immagine femminile, per esempio, il velinismo che per trent’anni è stato il modello imposto se non quasi il modello unico. Di altri temi, invece (la pornografia, per esempio), so veramente poco e non amando l’opinionismo pret-à-porter avevo qualche perplessità a ingaggiare anche su questo un confronto. Poi, la curiosità ha avuto la meglio. Se un giornalista non è curioso, non è un giornalista.
Lo scambio con Valentina Nappi partiva, oltre che dalle nostre storie diverse, anche dall’appartenere a diverse generazioni e dal coltivare opinioni che, come avete letto, si dichiarano distanti sin dalle prime righe. D’altra parte, non credo che lo scopo del dialogo proposto da MicroMega fosse portare me sulle posizioni di Valentina Nappi o Valentina Nappi sulle mie. È il confronto tra una giornalista e una pornostar, ma non solo. È il confronto tra due donne che guardano con occhi diversi all’Italia sotto i nostri occhi. E forse la più disincantata è proprio la giornalista.

Post scriptum di Valentina Nappi
Nel dialogo con la dottoressa Latella sono emerse alcune costanti della dialettica intergenerazionale, costanti che si riscontrano nella totalità, o quasi, delle situazioni analoghe. Si tratta generalmente di occasioni in cui è netta la sensazione che il confronto – la mera possibilità del confronto – sia una sorta di concessione delle vecchie generazioni alle nuove.
È divenuta quasi una figura stereotipata quella della persona pseudo-autorevole che – con l’aria di chi, illuminato/a, mostra agli altri il vero bandolo della matassa di tutti i problemi della società – si... esibisce in esortazioni come «dobbiamo dialogare con i giovani», «facciamoli parlare», «sentiamo cosa hanno da dire»: tutte espressioni che evocano l’immagine di una cattedra sopraelevata i cui occupanti – quando lo decidono loro, of course – ti concedono, bontà loro, la parola.
Naturalmente, sono le vecchie generazioni a stabilire i modi e i tempi del confronto. Ad esempio, la «premessa» della dottoressa Latella aveva decisamente il sapore di una stipulazione paradigmatica unilaterale, un voler definire unilateralmente il campo di gioco dialettico e, soprattutto, il mood della discussione; inoltre, il fatto che a un certo punto abbia voluto troncare la discussione sembra corroborare l’idea che – al di là dell’arbitrio nel dettare i tempi, e quindi giocoforza anche il grado di approfondimento del discorso – il dialogo sia concesso – da parte di chi può concederlo ma anche non concederlo – a patto che non si travalichino certi limiti lessicali, argomentativi, «morali», logici e psicologici, che sono quelli delle vecchie – e non quelli delle nuove – generazioni: un po’ come se Pascoli si fosse confrontato con Tzara imponendo l’estetica, le tematiche, il linguaggio e i tabù «morali» della sua – di Pascoli – generazione.
Sembra – ed è un fatto di una gravità estrema – che addirittura sulla violenza fisica dei genitori sui figli sia in qualche modo avallato il paradigma «della tradizione»: è molto eloquente quel «mi avrebbe preso a schiaffi per strada» detto come se si stesse parlando di una buona abitudine da recuperarsi! Ma allora, a quel punto, se vogliamo recuperare la normatività della tradizione, perché non utilizzarla come argomentazione a favore della violenza degli uomini sulle donne?
Mi ha molto colpito, poi, l’idea del «tu questo non lo fai perché non l’ha fatto tuo nonno, non l’ha fatto tuo padre eccetera»: si tratta di una logica medievale, un invocare l’autorità della tradizione anziché quella della ragione per spiegare cosa è giusto fare e cosa no. E mi chiedo: se le persone di cultura ragionano così, cosa ci possiamo aspettare dal genitore e dall’educatore medio?
Ci sarebbe dell’altro, ma, visto che i termini della questione, il linguaggio eccetera devono essere quelli stabiliti dalla controparte generazionale, allora se permettete giro il culo e me ne vado!... ed è quello che fa la maggior parte degli adolescenti e dei giovani con genitori ed educatori «aperti (a loro modo, s’intende) al dialogo», specie quegli adolescenti che vorrebbero dire ciò che dico io ma non sono in grado di esplicitarlo, o che hanno a che fare con genitori ed educatori incapaci di recepirlo o comunque di considerarlo con serietà.