Paolo Siepi, ItaliaOggi 31/7/2014, 31 luglio 2014
PERISCOPIO
Colpevoli – Volete sapere chi ha ucciso l’Unità? Mettetevi comodi_ Jena. La Stampa.
Bellissima l’idea di una fiaccolata davanti al Foglio a favore di Israele e contro l’eccidio dei cristiani. Non ho capito se poi segue barbecue. Maurizio Crippa. Il Foglio.
Per dimostrare di non essere razzista, Tavecchio ha chiesto a Pogba di pulirgli il parabrezza. Spinoza. Il Fatto.
Il governo c’è solo da qualche mese. Gli diamo il tempo che serve e, a settembre, ci ripresenteremo a chiedere, nero su bianco, quello che è stato fatto. Aprire i giornali tutti i giorni e leggere intere pagine dove anche noi, che siamo più navigati, non capiamo niente, mi sembra una roba assurda. Però voglio fare un appello al presidente della repubblica. Questo: «Presidente, la Costituzione è stata scritta da persone come Einaudi, non facciamola cambiare dall’ultimo arrivato che, seduto al bar con un gelato in mano, decide cosa fare. Su queste cose bisogna stare molto attenti». Diego Della Valle. Il Fatto.
Sono molto preoccupato. Come mi scrive Abravanel che è andato a trovare amici in Israele per dimostrare solidarietà, «Israele sta vincendo la battaglia, ma rischia di perdere la guerra». Ieri sera ho finito di leggere La Famiglia Moskat di Isaac Singer. Trascrivo una frase: «Was sind denn die Juden? Ein Volk, das nicht schlafen kan un dass die anderen nicht chlafen laesst» («chi sono dunque gli ebrei? Un popolo che non può dormire e che non lascia dormire gli altri», nda). Franco Debenedetti. Il Foglio.
Avevo trent’anni e un weekend di Pasqua andai a trovare Susanna Agnelli nella sua bella ma discreta villa all’Argentario. C’era un’allegra compagnia: il conte Alvise de Robilant (che molti anni dopo sarebbe stato assassinato in circostanze misteriose a Firenze, in odore di omosessualità) che si accompagnava a una bellissima ragazza venezuelana (l’ho vista di recente: uno sfacelo), una giovanissima Stella Pende che filava con uno dei figli di Susanna, Lupo Rattazzi. La Agnelli, allora sulla cinquantina, era simpatica e divertente. Tornata da non molto dal Sud America, dove era vissuta molti anni, non aveva ancora assimilato l’ipocrita politically correct italiano, era quasi naïf per il nostro mondo e raccontava storie esilaranti, dava giudizi sarcastici su tutto e su tutti, in particolare sui suoi parenti, il fratello Umberto e gli odiati cugini Nasi. Solo l’Avvocato, per il quale nutriva un amore senza riserve, adorante sorella minore, benché fra loro ci fosse appena un anno di differenza, godeva del privilegio assoluto di essere l’Intoccabile. Massimo Fini, Ragazzo. Marsilio, 2007.
Bruno Vespa, quando ha intervistato Maria Elena Boschi per Panorama, ne è uscito molto turbato, con la lingua di fuori: «Maria Elena Boschi assomiglia sempre di più alle nobildonne rinascimentali che lasciano beni e affetti perché rapite da una vocazione religiosa. Una Santa Teresa d’Avila che, scolpita dal Bernini per Santa Maria della Vittoria, a Roma, acquista sensualità nel momento in cui la trafigge la freccia dell’estasi divina». Rapita dal Vangelo secondo Matteo, «la bella avvocata toscana una vita privata non ce l’ha da quando Renzi l’ha portata al governo_ Si sveglia prestissimo, alle 8 è in ufficio, stacca tra le 9 e le 11 di sera. Single per necessità, sogna una famiglia, ma adesso non può permettersela». Una vita di stenti e di sacrifici, tutta votata al sacrificio. La nuova Teresa d’Avila, anzi, d’Arezzo, come l’originale, ha pure le visioni mistiche (da non confondere con le allucinazioni). Marco Travaglio. Il Fatto.
La disoccupazione altro non è che la differenza fra il salario a cui un datore di lavoro vuole assumere e quello a cui il lavoratore è disposto a lavorare. Riducendo questa differenza si riduce la disoccupazione. Negli Usa una famiglia con due figli a carico che guadagna meno di 12.500 dollari riceve dallo Stato un sussidio di 40 centesimi per ogni dollaro in più che guadagna. È «il credito di imposta per chi lavora» (earned income tax credit): sembra paradossale pagare di più chi guadagna di più, ma è il modo migliore per indurre la gente a lavorare e a lavorare legalmente. Luigi Zingales. L’Espresso.
È un’estate infedele, e in certi giorni di luglio pare ottobre. Questo perturba le coordinate in cui, da italiana, sono cresciuta. Luci e colori e venti e profumi cui non fai nemmeno più caso, tanto ti sono noti. Ma, se un anno mancano all’appuntamento, ne trai un sottile malessere – come se qualcosa non andasse come deve. C’è anche in noi forse, come negli animali, un istinto che preme per dirci quando partire e quando restare, e quando riposare? Ma quest’anno il mio barometro interiore non riconosce i segni consueti, e dà risposte disorientate. Spero che fra poco l’estate torni in sé, e picchi sulle tegole dei tetti, e nelle case, nell’ora della canicola, si chiudano gli scuri delle finestre, e si riposi. Aspetto il grande caldo che arroventa sotto i piedi la sabbia, e il mare che allora è oasi e sollievo. Aspetto il solleone, che in montagna combatte nel pomeriggio con brevi temporali rabbiosi, ma poi si lascia dietro un arcobaleno. Rivoglio la luce forte e le ombre nette e nere di un’estate italiana, e il profumo delle lenzuola asciugate al sole: a dirmi che niente lassù è cambiato, e che quel Sole, docile, percorre come Dio vuole il nostro cielo. Marina Corradi. Avvenire.
Martedì sera l’aria era profumata. Le acacie fiorite spremevano un liquoroso odore di primavera. Il dottore aprì la finestra che dava su piazza Bodoni e annusò. Non abitava più nell’appartamento di via Martiri, stava sopra al ristorante Cavallino. Non aveva aumentato i metri quadrati ma ci aveva guadagnato in vista: il molo, il lungolago, il giardinetto del ristorante. Andrea Vitali, Una finestra vistalago. Garzanti.
Mi fermerei anch’io a guardare le pagine a colori dei giornali esposti nell’edicola, ma mi vergogno; la presenza del giornalaio mi intimidisce e quando vo’ a comperare un giornale, non do nemmeno un’occhiata a quelli esposti, per non avere l’aria di scroccare. Achille Campanile, Cantilena all’angolo della strada. Rizzoli.
A Ginevra o a Lione chi prende un caffè si limita a fare quello che fa. In Italia fa anche un’altra cosa. Fa finta di fare quello che fa. Là il gesto è semplice. Qui è doppio. In Italia prendiamo il caffè due volte: una per davvero e una per finta, una per noi e una per gli altri. Saverio Vertone, Viaggi in Italia. Rizzoli.
I pacifisti basta guardarli in faccia. Ce l’hanno armata fino ai denti. Roberto Gervaso. Il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 31/7/2014