Stefano Cingolani, ItaliaOggi 31/7/2014, 31 luglio 2014
DALLA MANNAIA ALLE SOLE FORBICINE
Sul Corriere della Sera, Francesco Giavazzi s’interroga sul «mistero Cottarelli». E invita il commissario (non più super) a trovare un po’ di coraggio. Mai incitamento è stato tanto appropriato, anche se quello di Cottarelli è il segreto (o il mistero) di Pulcinella.
Il tormentone - Che fine ha fatto Cottarelli è da mesi e mesi un tormentone sulle pagine di Panorama dove abbiamo dato una spiegazione semplice come le cose vere.
Pescato da Enrico Letta al Fondo monetario internazionale con uno stipendio di 950 mila euro in tre anni e la promessa di avere carta bianca sulla spesa pubblica, Cottarelli è inciampato sulle slide di Renzi.
Dagli al leviatano - Nel marzo scorso, infatti, il commissario ha prodotto le sue diapositive e ha messo a soqquadro i sancta sanctorum del Leviatano: 83 mila esuberi nel pubblico impiego, tagli alla polizia, la chiusura degli uffici decentrati, per non parlare delle pensioni considerate troppo alte rispetto alla media europea. «Solo ipotesi tecniche», ha smentito Renzi e ha prodotto tutt’altro fuoco d’artificio pre-elettorale con le sue slide che culminavano negli 80 euro in busta paga.
Mannaia e forbicine - La mannaia di Cottarelli, forse, era quella di un tecnocrate che non tiene conto della politica, certo, si era già trasformata in forbicine prima delle elezioni, mentre adesso siamo alle esortazioni. Quest’anno è perduto, andrà bene se si risparmierà un miliardo.
Spending review assente - La revisione della spesa, però, è insufficiente anche per il 2015 come ha detto il vice direttore generale della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini nell’audizione alla Camera sul Documento di economia e finanza (Def), il 15 aprile scorso. Il flusso di uscite correnti dimostra che è un errore mettere tutto il peso sulle spalle di Cottarelli: il commissario può razionalizzare, per ricavare risorse vere da destinare alla crescita, occorre ben altro.
Baratro crescita zero - La crescita zero mette a rischio tutti i parametri, a partire dal debito pubblico. Secondo l’ultima rilevazione, lo stock di indebitamento delle Amministrazioni statali è aumentato in maggio di 20 miliardi, raggiungendo il nuovo massimo di 2.166,3 miliardi. Un peggioramento continuo dal 2012 quando è stata superata quota duemila.
I compiti di Renzi - Il governo Monti lo aveva fatto salire di sei punti portandolo al 126,4% del pil. Letta ha aggiunto un altro sei per cento. Renzi doveva arrivare quest’anno a 134,9 per poi scendere. Ma, se non corre ai ripari, rischia di toccare quota 140. Mentre a colorare di tinte fosche lo scenario c’è l’andamento dei prezzi al consumo. A giugno sono cresciuti di appena lo 0,2%. Il rischio deflazione s’è fatto serio anche in Italia e ciò rende più difficile ridurre lo stock del debito in rapporto al prodotto lordo. Soprattutto se la spesa è fuori controllo.
Stato e regioni - La colpa ricade sullo Stato centrale che si è indebitato per altri 20,9 miliardi nei primi cinque mesi dell’anno, mentre comuni e regioni hanno addirittura risparmiato 0,9 miliardi. Le entrate tributarie, pari a 31 miliardi in maggio, sono maggiori del 2,9 per cento rispetto allo stesso mese del 2013, nonostante la crisi. In altre parole, i contribuenti continuano a pagare e il governo non riesce a controllare i ministeri. Alla faccia della spending review.
Bonus irpef da coprire - Intanto, bisogna rendere permanente il taglio di 80 euro, impegno ribadito dal ministro dell’economia. Ci vogliono dieci miliardi che oggi non ci sono. Padoan, inoltre, deve trovare altri 6,7 miliardi per le scuole, i disastri idrogeologici e la disoccupazione giovanile. Finora sono previsti, a copertura di questi impegni, 2,9 miliardi dalla tassazione delle attività finanziarie, quattro dagli accordi bilaterali con la Svizzera e sette dalla mitica spending review. Ne mancano tre, però il governo conta di incassarne sei dall’Iva pagata sui debiti della pubblica amministrazione, un esborso di ben 69 miliardi che andrà ad aumentare una tantum il debito pubblico.
Cercansi riforme - E le riforme? Renzi vuole chiudere entro il mese quella del Senato anche se deve saltare migliaia di ostacoli (e non solo sotto forma di emendamenti) nell’aula di palazzo Madama. Per la pubblica amministrazione c’è un disegno di legge in prima lettura alla commissione della Camera. Campa cavallo. Stessa sorte per il decreto competitività, mentre la delega sul lavoro è all’esame della commissione lavoro di palazzo Madama. La probabilità che slitti tutto all’autunno viene data al 75%.
La manovra in arrivo - Così, tra ritardi, soldi che mancano e promesse che s’accavallano, prende corpo un’altra «manovra correttiva». Se ne parla a Roma, a Bruxelles stanno già facendo i conti: circola una cifra vicina ai 25 miliardi. Padoan continua a negarlo, ma è assediato dalle ipotesi più diverse (da una stangata sulle pensioni medio-alte ai tagli dei contributi per le ferrovie e le municipalizzate), mentre si percepisce l’insofferenza di palazzo Chigi verso il fortilizio economico di via XX Settembre.
Che succede tra Renzi e Padoan? - Prima si diceva: Renzi fa il poliziotto buono e Padoan quello cattivo, un gioco delle parti. Adesso il ministro viene ritenuto troppo cauto, seguace del paradigma tedesco, rispettoso della ragioneria. Se non fosse per il Quirinale che lo ha sostenuto fin dall’inizio e lo considera una garanzia anche verso Bruxelles, al suo posto, stando alle voci agostane, potrebbe finire Graziano Delrio, ma per fare cosa?
Stefano Cingolani, ItaliaOggi 31/7/2014