Andrea Schianchi, La Gazzetta dello Sport 31/7/2014, 31 luglio 2014
OSVALDO, IL CATTIVO RAGAZZO CHE HA CAMBIATO 9 SQUADRE IN 8 ANNI
La parola «tranquillità» non fa parte del suo vocabolario. Nove squadre in otto anni, dal 2006 a oggi; quattro figli da tre donne diverse; liti, risse, polemiche, gomitate in faccia agli avversari, cartellini gialli e rossi, squalifiche e punizioni esemplari. Diciamo che Pablo Daniel Osvaldo, finora, non si è fatto (e non ci ha fatto) mancare nulla. Dove c’è lui, c’è vita. Nel senso che non si corre il rischio della noia, e qualcosa da fare si trova sempre: lo applaudi perché lo hai visto esibirsi in una rovesciata da urlo o lo insulti perché ha combinato una sciocchezza delle sue. Non c’è niente di scontato ogni volta che mette piede in campo, e anche questo è uno specchio del carattere.
Avanti e indietro Torna in Italia per indossare la maglia dell’Inter e, soprattutto, per dimostrare che non è più (o non solo) un Bad Boy, un Cattivo Ragazzo. Se ci riuscisse, sarebbe la sua giocata più imprevedibile. Osvaldo, tranquillo, non lo è mai stato. Da ragazzo ha cambiato tre squadre (Lanus, Banfield e Huracan): mica male per uno che era poco più che adolescente. E quando da Buenos Aires è sbarcato in Italia, la storia è filata via sugli stessi binari. Acquistato dall’Atalanta, ceduto al Lecce, girato alla Fiorentina, comprato definitivamente dal Bologna, rivenduto all’Espanyol, preso dalla Roma, sbolognato al Southampton, rilanciato dalla Juventus e ora l’ultima tappa: Inter. Mettiamola così: nel rapporto di coppia Osvaldo bada più alla passione che alla fedeltà. Ai tifosi interisti consigliamo di non affezionarsi troppo: non è mai rimasto nella stessa squadra per più di due anni.
Momenti d’oro L’irrequietezza di cui è prigioniero non gli fa gustare nemmeno i momenti belli. Pensiamo a quello che accadde il 2 marzo 2008, Osvaldo era alla Fiorentina e sfidava la Juve a Torino. A una manciata di secondi dalla fine segnò il gol del definitivo 3-2 per la Viola e che cosa fece? Si tolse la maglia per esultare e l’arbitro Farina gli mostrò il secondo «giallo»: espulso. Erano vent’anni che la Fiorentina non vinceva a Torino, ma Osvaldo non riuscì a godersi il trionfo fino in fondo. Tradito dal solito eccesso di passione. Si fece perdonare all’ultima giornata, quando realizzò, con una stupenda rovesciata, il gol che consegnò alla Fiorentina il biglietto per la Champions League.
Punizioni Con la maglia della Roma il periodo di maggior continuità: 55 presenze e 27 gol. Però una testa calda come Osvaldo, a Roma, non poteva non andare incontro a qualche problema. Nel novembre del 2011 rifilò un pugno in faccia al compagno di squadra Lamela, colpevole di non avergli passato il pallone. Nel maggio del 2013, al termine della finale di Coppa Italia persa contro la Lazio, uscì dal campo insultando l’allenatore Andreazzoli e non si presentò per la premiazione. Per quel gesto di mancato rispetto verso avversari e compagni, si giocò la convocazione in Nazionale per la Confederations Cup. Il Codice Etico applicato alla lettera. Dalla Roma se ne andò con queste parole: «Non potevo più restare e subire minacce, cattiverie, scritte e insulti sotto casa. Non ho fatto nulla per meritarmeli». Prese l’aereo per l’Inghilterra, destinazione Southampton. «Qui sto bene, c’è feeling con l’ambiente». A gennaio prese a sberle il compagno José Fonte e la società lo sospese per due settimane. La Juve gli offrì l’occasione della redenzione. Sbarcò a Torino con la bombetta in testa e dichiarò amore eterno per la maglia bianconera. Ma per Osvaldo eternità e fedeltà sono concetti un po’ vaghi. E difatti adesso eccolo all’Inter...