Terry Marocco, Panorama 31/7/2014, 31 luglio 2014
IL MINISTERO DEI BENI SINDACALI
Lo aveva già raccontato magistralmente Federico Fellini nel suo Prova d’orchestra: i sindacati sono i padroni dei nostri teatri, delle nostre orchestre. E non solo nei musei, nelle gallerie d’arte e dentro al ministero dei Beni culturali, dove i sovrintendenti dicono: «Siamo i loro ostaggi». Gli ultimi esempi sono stati la difficoltà, con l’arrivo dell’estate, di tenere aperte alcune sale della Pinacoteca di Brera a Milano, nonostante 114 custodi, e la scandalosa vicenda dell’Opera di Roma, dove uno sciopero improvviso ha fatto saltare a metà luglio la Bohème a Caracalla.
Carlo Fuortes è da meno di un anno sovrintendente dell’Opera di Roma. Ha scelto la linea dura. Uomo di ghiaccio, dicono i suoi, chi arretra è perduto. E così spiega: «Vale più il diritto di scioperare di pochi o il diritto di lavorare di molti? Mi sono trovato davanti a una situazione paradossale, 70 persone che scioperavano ne hanno messe in crisi 500». Una minoranza di dissidenti, appartenenti alla Fials e alla Cgil, ha bloccato la Bohème e, per scongiurare una pietosa figura mondiale, Fuortes ha voluto rimborsare i biglietti. Uno scherzo da 200 mila euro: con uno sciopero di un giorno si manda in fumo il lavoro di 20 giorni. «E non posso sostituire i 25 che scioperano, altrimenti terrei un comportamento antisindacale». Dopo timori di liquidazione, si è poi arrivati a un accordo che prevede un referendum tra i lavoratori sul piano industriale.
«Abbiamo fabbriche della musica il cui personale è pensato per una produttività due, tre volte superiore, ma le nostre fondazioni liriche non potrebbero produrre di più anche con virtuosissimi dirigenti» spiega il critico musicale Giordano Montecchi, autore dello studio sui teatri lirici ospitato nella recente pubblicazione dell’Istituto Cattaneo su La cultura che conta a cura di Marco Santoro (Il Mulino). Nel suo studio è interessante notare come (dati 2010) il teatro di Mannheim, città tedesca di 313 mila abitanti, ha un budget di 50 milioni di euro, quasi come quello dell’Opera di Roma, ma in un anno produce un migliaio di spettacoli e vende 353 mila biglietti. A Roma, 2,8 milioni di abitanti, gli spettacoli sono 161 e i biglietti 120 mila. «Il sindacato c’è anche all’estero, ma lì i lavoratori producono tre volte tanto». Da noi l’esempio virtuoso lo danno i 28 «teatri della tradizione», ovvero strutture più agili (per esempio senza un’orchestra stabile) dove c’è meno burocrazia, meno sindacato e bilanci in pareggio.
Ma nei templi della lirica le cose vanno diversamente. Solo pochi esempi: il coro percepisce un’indennità quando canta in lingua straniera, ossia per i 21 minuti dell’Inno alla Gioia di Ludwig van Beethoven si viene pagati di più. Come se un giornalista chiedesse un aumento ogni volta che fa un’intervista in inglese. Oppure: per un assolo un musicista percepisce l’indennità di costume. Poi c’è l’indennità di Sesta corda, che scatta quando si suona un certo pezzo di Antonín Dvorák, o l’indennità di trasferta, valida anche se ci si sposta di pochi metri. Cronache marziane.
Non si sta meglio nei musei. Qui la parola magica del sindacato è «custodi». È lì che si esercita il potere: con i custodi si aprono e si chiudono le porte a piacimento. Le assemblee organizzate a Pompei hanno bloccato il sito per giorni. E con l’arrivo delle vacanze, tra ferie e turnazioni, Brera fatica a tenere aperte tutte le sale. Come farà durante l’Expo? Eppure di custodi ne ha 114: il Cenacolo di Leonardo, capolavoro immenso ma pur sempre una stanza, ne ha 12. La Pinacoteca di Berlino, tre volte più grande di Brera, ne ha solo 15 in tutto e la Kunsthaus di Basilea apre e chiude con cinque custodi.
Alla National Gallery di Londra sulla sedia non li vedrete mai sonnecchiare: ogni custode ha il controllo di due sale, corrono tutto il giorno. A Brera, invece, sono due per sala. In Europa i custodi fanno un turno unico dalle 10 alle 19; da noi i sindacati ne vogliono due per un turno di 11 ore: si comincia alle 8, ma, dicono i sovrintendenti, a che serve un museo aperto a quell’ora? Serve a raddoppiare il personale.
«Finalmente alla fine della mia carriera sono approdato in un’isola felice, i Musei Vaticani: qui i sindacati non ci sono» si rallegra Antonio Paolucci, già sovrintendente del Polo museale a Firenze e ministro dei Beni culturali nel 1995. «Gran parte della mia vita l’ho passata a confrontarmi con loro su cose minime come lo spostamento di un custode, problemi insignificanti che diventavano sabbia nel motore della macchina della cultura». Secondo Paolucci i sindacati sono ovunque dentro il ministero ed esercitano un potere di interdizione: «Vogliono di continuo mettere una bandierina per far vedere che esistono, anche se poi tra di loro si detestano».
Difendono una categoria che è stata decimata, ma non vogliono sentire parlare di volontari nei musei. «I volontari possono collaborare, ma certo non prendere il loro posto. I custodi hanno il compito delicato di tutela del bene, ci vorrebbe una riorganizzazione del lavoro che garantisca un turnover e una migliore digitalizzazione» frena Claudio Meloni, coordinatore nazionale Cgil Mibact.
72 Panorama | 6 agosto 2014
In Calabria sono stati aperti siti e nuovi musei e i custodi sono una rarità, come racconta Francesco Prosperetti, da oltre dieci anni direttore regionale dei Beni culturali. «Nel giro di tre anni il personale diminuirà drasticamente, l’età media è 55 anni, dobbiamo cominciare a ricorrere a figure diverse. Se i volontari sono una prerogativa del Nord, qui avevo pensato di impiegare le decine di migliaia di disoccupati assistiti, ma sembra sia impossibile».
Siamo rimasti indietro di trent’anni, lamenta Michele Trimarchi, economista della cultura: «Abbiamo regole disegnate su un Paese che non esiste più. Un tempo la domanda era più ristretta e i budget illimitati. Oggi mi chiedo che senso abbiano i custodi con contratti a tempo indeterminato». La nostra iperburocratizzazione è ridicola e dannosa, osserva Cristian Valsecchi, segretario generale Amaci, l’associazione che riunisce i musei d’arte contemporanea: «È legittima la tutela dei lavoratori, ma il sindacato dovrebbe rinnovarsi riconoscendo l’eccessiva rigidità dei contratti anche dal punto di vista dei ruoli e delle mansioni. Occorrerebbero dei meccanismi che permettano di premiare chi se lo merita».
Purtroppo le cose non stanno così.
Prendiamo i 500 nuovi lavoratori entrati con l’ultimo concorso al ministero. Hanno dai 25 ai 40 anni, sono stati assunti per catalogazione, front desk, visite guidate anche in lingua straniera, allestimento mostre e anche per il lavoro di custodi. E invece si sono trovati a fare solo i custodi perché «il sindacato vuole farci morire sulle sedie e auspica un unico profilo di vigilanza» dice uno di loro. «Dobbiamo essere livellati con chi è dentro da anni e magari ha il diploma di geometra. Tutti livellati, ma verso il basso».
Il paradosso è che, se servono catalogazioni o visite guidate, ci si appoggia all’esterno. E chi viene chiamato e pagato (poco) per svolgere questi compiti? Spesso proprio i giovani che hanno partecipato al concorso senza vincerlo. Mentre i migliori stanno dentro, ma seduti sulle sedie. Cronache marziane.