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 2014  luglio 31 Giovedì calendario

«MI DIPINGO DUNQUE SONO» COME RENDER CARA LA PELLE


Ora che siamo tutti tatuati - ho sul braccio destro il nome di Francesca, la donna della mia vita, e sul sinistro lo stemma della Juventus - ci vediamo quasi costretti a cercare le ragioni storiche e culturali di un fenomeno sempre più diffuso, quello del corpo utilizzato come veicolo di segni e immagini. Tracce indelebili che riferiscono dell’identità di chi li porta, con un registro simbolico preciso depositato nel tempo e mutabile a seconda del luogo.
Storia sociale dei tatuaggi di Alessandra Castellani (Donzelli, pagg. VI-152, euro 22) è un testo agile e documentato che va alla ricerca delle origini di questa moda contemporanea, trovandole addirittura in Caino: in Genesi il tatuato è uno che ha commesso un crimine. In genere nell’antichità le modifiche sul corpo non erano consentite e l’ideale di bellezza andava di pari passo con l’integrità. Questo per il mondo greco romano, mentre i cosiddetti barbari, popoli guerrieri e feroci, e gli schiavi potevano esibire simboli di aggressività. La svolta culturale si ha nel ‘700, quando l’esploratore inglese James Cook riferisce il termine onomatopeico tau-tau indicando lo strumento utilizzato dai tahitiani per incidere le carni. Esiste una mitologia sconfinata e una fascinazione esotica come segno di alterità per gente non civilizzata abituata ad andare in giro nuda e a «vestirsi» decorando il proprio corpo. I Maori neozelandesi appaiono tra i più bellicosi nell’esibire profondi solchi (i più coraggiosi anche sul viso) con profonde differenze fra tatuaggi maschili e femminili. Il Giappone invece svolge un ruolo diverso, quasi artistico nell’introduzione del colore, i soggetti sono più raffinati, anche se chi li porta spesso appartiene al mondo della criminalità. Un tatuaggio oggi molto in voga tra i giovani, quello della carpa, simbolo di determinazione e virilità, nasce proprio nel lontano Sol Levante.
Con la tratta degli schiavi è piuttosto ricorrente «importare» personaggi strani e misteriosi per esibirli nei circhi occidentali: i tatuati sono i freaks dell’800, e su questo argomento Cesare Lombroso aveva le sue idee, ovvero che «i devianti scrivono sulla pelle la propria concezione del mondo e il proprio crimine» poiché «la supposta anomalia fisica coincide con le tendenze immorali». Deriva forse da lì la colpevolizzazione borghese del tatuaggio, identificato come marchio di criminalità - perché si fanno in galera - o al meglio come rito legato al mondo dei marinai, e da qui deriva la credenza che i tatuaggi debbano sempre essere dispari: uno per la partenza, uno per l’arrivo e uno per il ritorno.
Resta da capire che cosa ha trasformato una condizione etica nel fenomeno attuale prevalentemente estetico che coinvolge strati sociali e fasce d’età dei più disparati. A partire dal secondo dopoguerra, con la nascita della nuova “categoria” dei giovani, tatuaggio equivale a ribellione e alternativa, pur con motivazioni molto diverse. Tra gli Hell’s Angels e le loro Harley Davidson e i «figli dei fiori» in apparenza non ci sono punti di contatto, eppure entrambi usano riempire il corpo con segni pienamente identificanti, comunque contro la società, si tratti di svastiche o di foglie di marijuana. Ad Haight Ashbury, quartiere della psichedelia di San Francisco, negli anni ‘60 vedevi in giro uomini e donne che esaltavano la naturalezza mistica del corpo dipinto: Lyle Tuttle è stata forse la prima star fra i tatuatori, è lui ad aver inciso il braccio e il petto di Janis Joplin.
L’aspetto più originale del saggio di Alessandra Castellani sta nel collegare quest’esperienza con la Body Art degli anni ‘70, la forma d’arte più trasgressiva delle neoavanguardie, in quanto agire sul corpo per tentare di trasformarlo è comunque il segnale di una non accettazione del limite. Le forme di deflagrazione linguistica più evidente passano dal punk, quando il simbolo viene completamente deideologizzato, nel mondo skinheads, tra gli omosessuali e le drag queen. Un fenomeno un tempo marginale è oggi diffuso senza limiti. I tatuaggi piacciono ai ragazzini e ai cinquantenni, a chi mette in atto una vera e propria ricerca sul significato di ciò che porterà addosso e a chi semplicemente sceglie l’aspetto decorativo e leggero. La morale di un tempo sembra perciò superata, anche se c’è chi sostiene, tra i professionisti del settore, che sarebbe meglio sapere se davvero corrisponde a una propria identità per la vita.