Rita Sala, Il Messaggero 31/7/2014, 31 luglio 2014
«IL VALLE TORNI ALLA LEGALITÀ»
IL CASO
«Nella lotta in difesa della cultura penso sia importante la cultura dell’arte, la cultura della solidarietà, ma anche la cultura della legalità». Con questa frase il premio Oscar Nicola Piovani, sceso per un attimo dal podio durante le prove che sta facendo a Palermo (dopodopani dirigerà al Teatro di Verdura un concerto di sue musiche) esprime la sua posizione sull’imminente epilogo del “caso Valle”. L’antico teatro romano, occupato da oltre tre anni, sta infatti per riconquistare la libertà ed essere riconsegnato alla Soprintendenza per i necessari restauri e gli obbligatori adeguamenti. Il neo-assessore alla Cultura, Giovanna Marinelli, sia pure sottolinenando l’importanza del dialogo e l’apporto non trascurabile offerto dall’esperienza degli occupanti per il mantenimento della funzione pubblica dello spazio, non deroga sui tempi di sgombero. «Ho fatto agli occupanti una proposta positiva che contiene una scadenza. È auspicabile che l’esperienza sia inglobata all’interno della struttura del Teatro di Roma, quindi in un contesto legale e riconosciuto. La scadenza di oggi però rimane. Attendiamo risposte e speriamo in un esito positivo del dibattito interno agli occupanti». Il ministro Franceschini (lo ha dichiarato l’altro giorno al “Messaggero”) «appoggia e condivide» questa posizione.
LEGALITÀ
Tornando alla dichiarazione di Piovani sul necessario ripristino della legalità, non va dimenticato che molti artisti di primo livello si sono espressi, di fronte all’incancrenirsi dell’occupazione, in modo netto. Carlo Cecchi, ad esempio: «In nessun Paese civile si lascerebbe un teatro fra i più antichi, fra i più belli, nelle mani di un piccolo gruppo di persone. Inoltre si vuol far credere che tutti i teatranti siano dalla parte dell’occupazione, mentre non è così».
Innegabile il fatto che i primi giorni di occupazione sembrarono a tutti, artisti e pubblico, una ventata di novità. Ma il protrarsi delle cose e il mancato intervento delle istituzioni ha consentito agli occupanti di sclerotizzare oltremisura una posizione almeno discutibile. Sono vissuti nell’illegalità, gestori diretti di un bene che, secondo i loro stessi principi, dovrebbe essere assegnato secondo pari opportunità di accesso.
«Capiamo tutti - ha ossercato Maurizio Scaparro - lo spirito civile della frase “bene comune”. Non è stato invece comprensibile il lungo silenzio di Roma Capitale, finalmente rotto. Ora il Ministero e il Comune richiamano alla legalità e alla necessaria tutela di un luogo che è patrimonio del Paese».
Sulla legalità ha insistito anche Antonio Calenda: «Su questo principio ho sempre fondato ogni idea e ogni azione del mio fare teatro. Ritengo la legalità. per chiunque, una condizione inalienabile». E Massimo Romeo Piparo, patron e direttore del Sistina: «Chi ha pagato, al Valle? E a fronte di che cosa? Esisteva per gli occupanti uno stato di esclusività o di emergenza tale da giustificare il fatto che siano stati lasciati là dentro più di tre anni? Perché al Sistina, se in una sola sera di spettacolo non ottempero agli obblighi di legge, arriva la chiusura immediata del teatro?».
Gigi Proietti, maestro di ironia, a suo tempo si espresse così: «All’inizio l’occupazione mi incuriosì. Poi, col passare del tempo, gli occupanti mi sono sembrati la Nazionale brasiliana, dove i giocatori si chiamano Rarà, Nanà, Sasà, e non sai mai il loro vero nome. E a un certo punto uno si chiede: perché non siamo tutti occupanti?».
Michela Cescon, che ha frequentato il Valle durante l’occupazione, è d’accordo che si torni alle regole: «Il Valle - dice - deve riandare alla comunità e dunque al pubblico, agli attori, ai registi. Deve riavviare nella legalità, secondo le regole che tutti rispettiamo, un processo occupazionale importantissimo, anche tenendo conto della difficile situazione che sta vivendo il circuito teatrale romano».
CONSEGNA DELLE CHIAVI
Per oggi, giorno della consegna delle chiavi, gli occupanti pensano a uno spettacolo non stop. «Chiara la disponibilità al dialogo manifestata da più parti - dicono - Tuttavia la tempistica proposta dall’Assessorato per questa delicata transizione e la mancata definizione dei passaggi verso la nascita del Teatro Partecipato complicano il percorso e la chiarezza di un possibile accordo. Invitiamo le istituzioni di questa città a dare un segnale concreto affinché il dialogo non rimanga solo una promessa e diventi un impegno reale: la disponibilità a fissare da subito gli incontri nei quali compiere il passaggio di transizione tra la situazione attuale e il futuro Teatro Partecipato. La storia complessa, ricca e innovativa della nostra esperienza è patrimonio di tutti e necessita una cura e un tempo idonei per far maturare il discorso appena iniziato».
In altre parole: si chiede altro tempo.