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 2014  luglio 31 Giovedì calendario

L’ULTIMO PENTITO DI ENOLA GAY


LA STORIA
NEW YORK Si è spento lunedì nella sua casa in Georgia il 93enne Theodore Van Kirk, il maggiore dell’Air Force americana che la notte del 5 agosto del ’45 si levò in volo dalla base di Tinian nelle Marianne a bordo della fortezza volante B 29, insieme agli undici compagni che componevano l’equipaggio. La mattina dopo appena prima dell’alba, la pancia del bombardiere, di cui Van Kirk era navigatore, lasciò cadere Little Boy, una bomba all’uranio di 4,500 chili sulla città giapponese di Hiroshima, uccidendo 140.000 persone.
Di quella spedizione il maggiore era l’ultimo testimone in vita; ora la memoria di quel tragico volo resta custodita solo dalla presenza del bombardiere, custodito nel Museo dell’Aviazione di Washington. Il colonnello Tibbets che guidava la missione e pilotava l’aereo, gli aveva dato il nome di battesimo: Enola Gay, prendendo il prestito quello della sua adorata mamma, la quale a sua volta lo aveva ricevuto dal titolo di un romanzo inglese della fine dell’800. Tibbets aveva scelto il B29 sulla linea di montaggio della fabbrica Lockheed in Nebraska. Era l’unico della squadra a sapere che la modifica appena apportata al portellone sulla pancia era necessaria per scaricare la bomba più potente mai costruita.
LA MISSIONE
Allo stesso modo il colonnello scelse di persona molti dei membri dell’equipaggio incluso Van Kirk, che era stato suo compagno di volo per decine di missioni durante la guerra. Solo all’arrivo presso la base di Wendover in Utah, il pilota rivelò agli altri aviatori che per i prossimi mesi si sarebbero allenati per il lancio dell’atomica.
L’ordine di volo arrivo dall’ufficio ovale della Casa Bianca dove sedeva il presidente Truman alle 2:15 di mattina, e il decollo dell’aereo fu filmato per ordine del direttore del progetto Manhattan, il maggior generale Leslie Groves, che era preoccupato di trasmettere le immagini ai posteri. Le immagini mostrano il colonnello Tibbets sorridente, che si sporge dalla cabina di pilotaggio per un saluto a beneficio dell’obiettivo. Dopo sei ore di volo Enola Gay era in posizione sopra il bersaglio. La bomba fu armata solo mezz’ora prima del lancio, che avvenne appena 15 secondi dopo l’orario previsto.
«Cominciammo a contare: mille e uno, mille e due, come ci avevano istruito - avrebbe raccontato molti anni dopo Van Kirk, quando il trauma di quella giornata fatale che a lungo gli aveva chiuso la bocca e la mente iniziava a diradarsi - Non avevamo nessuna certezza che sarebbe esplosa». Quarantasei secondi dopo avvenne la detonazione, a 600 metri di altezza sul cielo della città. L’aereo fu investito da due onde d’urto e faticò a riprendere la rotta di fuga che lo riportò alla base, mentre 80.000 persone morivano sul suolo giapponese al primo impatto di Little Boy. Sei giorni dopo il Giappone si arrese, dando avvio alla fase finale della guerra.
LE POLEMICHE
Theodore Van Kirk tornò a casa da trionfatore: «Non avevo mai visto tante divise e mostrine insieme come quelle che ci aspettavano al nostro arrivo». Ma nel tempo il dibattito su quella missione e sull’uso delle armi atomiche prese una piega diversa e iniziò a pesare con imbarazzo per il Paese e per l’equipaggio dell’Enola Gay che l’aveva eseguita. Altri suoi colleghi, come il colonnello Tibbets, hanno difeso dal primo giorno con veemenza l’imperativo morale della bomba che mise fine alla guerra più disastrosa mai combattuta. Van Kirk scelse invece di tacere. Tornò sui banchi di scuola per una laurea, e poi una specializzazione in ingegneria chimica che gli valse l’impiego in una fabbrica della Dupont in California. Il figlio Thomas confessò che fino all’età di 10 anni era rimasto all’oscuro delle gesta militari del padre, e che ne era venuto a conoscenza per puro caso rovistando nella soffitta della nonna, dove aveva trovato vecchi ritagli di giornale.
Solo dopo il pensionamento, e dopo essere tornato a vivere sulla costa atlantica vicino alla figlia, il maggiore accettò di raccontare la sua storia. Van Kirk sentiva il peso morale che il lancio di Little Boy aveva lasciato a lui e al mondo, ma aveva trovato il modo di riconciliare la memoria con la coscienza: «Nessuna bomba può essere definita morale - disse a Time nel 2005 - Lo erano forse quelle di Coventry, o quelle cadute su Dresda o su Nanchino? Quando si è in guerra, una nazione ha il dovere di fare quanto possibile per accorciarla con il minor numero di morti possibile. Il Giappone era irriducibile, e il conflitto rischiava di durare ancora molto a lungo senza una soluzione finale».