Andrea Bassi, Il Messaggero 31/7/2014, 31 luglio 2014
RIFORME BLOCCATI 546 DECRETI ALCUNI SONO FERMI DA DUE ANNI
IL CASO
ROMA C’è voluto meno tempo per raddrizzare la Costa Concordia, metterla in sicurezza, agganciarle i cassoni per farla galleggiare e rimorchiarla fino al porto di Genova. Novecentoventinove giorni fino ad oggi. Un’impresa che il mondo ha guardato con una certa ammirazione ed un pizzico d’invidia. Qualche giorno dopo che la nave da crociera guidata dal comandante Francesco Schettino aveva urtato gli scogli del Giglio, il governo guidato da Mario Monti, per provare a dare una raddrizzata alla nave Italia, aveva battezzato il suo primo provvedimento per lo sviluppo e la competitività, chiamato quasi scaramanticamente «Cresci-Italia». Novecentodiciannove giorni, solo dieci in meno di quanti ce ne sono voluti per compiere l’impresa della Concordia, non sono bastati per approvare il decreto attuativo dell’articolo 64 comma due di quel provvedimento. C’era da mettere attorno a un tavolo il ministero degli Affari regionali e il Coni, e poi ottenere il via libera del ministero del Tesoro, per decidere come spendere 23 milioni di euro per ristrutturare impianti sportivi o costruirne di nuovi in tutta Italia. Niente da fare. Un caso? Mica tanto. Secondo l’ultimo monitoraggio (al 28 luglio scorso) della Presidenza del consiglio, i provvedimenti attuativi di leggi già approvate ne mancano all’appello, tra governo Monti, Letta e Renzi, ben 715. Colpa soprattutto dell’arretrato dei due precedenti governi, come ha twittato un paio di giorni fa il ministro per le riforme, Maria Elena Boschi, per fare il punto sullo stato dell’arte. «Dagli 889 ereditati siamo passati a 543 in cinque mesi. 45 decreti negli ultimi cinque giorni», ha cinguettato. E poi l’hashtag #italiariparte.
LE CONTROMISURE
In realtà, a seconda se nei conteggi si includono anche i decreti attuativi ormai superati da altre norme, il totale è leggermente più alto. Quelli arretrati totali sarebbero 1.155, quelli arretrati da attuare in tutto 546. Lo stesso ministro al quale Renzi ha chiesto, prima di ogni consiglio dei ministri, di fare il punto sui decreti attuativi non adottati indicando pure i responsabili. Ma il problema è che la montagna da scalare non solo è alta, ma lievita ad ogni provvedimento che il governo adotta. Quello sulla Pa, non ancora convertito in legge, per esempio, ne porta in dote altri sei. Per non parlare del decreto competitività, sempre che riesca a diventare legge. E senza contare, come detto, l’arretrato. Il decreto sull’Irpef del governo Renzi ha ben 38 provvedimenti di attuazione previsti, di cui fino ad oggi 14 adottati, mentre per altri undici sono già scaduti i termini. E Renzi, va detto, è un fulmine rispetto al ritmo dei precedenti governi. Al decreto del Fare di Letta mancano all’appello il 52% delle norme attuative. Allo Sviluppo di Monti ben il 64%. Per l’ex sindaco di Firenze colpa della burocrazia che fa viaggiare il governo con il freno a mano tirato. Ma anche di quelli che lui considera dei bizantinismi. Come la necessità dei cosiddetti «concerti», il parere degli altri ministeri su ogni atto, soprattutto quello dell’Economia. Con il problema che se anche spesso vengono messi dei termini per l’emissione del parere, queste dead line sembrano scritte sull’acqua. I provvedimenti per i quali i termini sono scaduti si contano a centinaia. Tanto che nella prima bozza del decreto sulla Pa, Renzi aveva imposto una norma che rendesse «perentori» invece che semplicemente «ordinatori» questi termini. Dal testo finale il comma è scomparso e da molti è stato letto come una prova di forza della burocrazia. Ma il governo ci ha messo una pezza nel disegno di delega, dove ha introdotto dei super-poteri per Palazzo Chigi sull’attuazione con un potere sostitutivo dei ministeri.