Luigi Grassia - Alessandro Barbera, La Stampa 31/7/2014, 31 luglio 2014
ALITALIA, GLI AZIONISTI TROVANO UN’INTESA E RISPONDONO A ETIHAD
Messi sotto pressione dall’ultimatum del numero uno di Etihad James Hogan (accordo con la compagnia araba entro oggi altrimenti non se ne fa più niente), ieri gli azionisti di Alitalia e il governo hanno trovato fra loro, nel giro di poche ore, un accordo tappabuchi che si era fatto attendere per parecchi giorni e che adesso dovrebbe rassicurare i futuri soci di Abu Dhabi. In sostanza sono comparsi magicamente sul piatto parecchi milioni di euro che finora mancavano, soldi necessari a chiudere tutti i conti con la passata gestione (con la quale Etihad non vuole avere niente a che fare).
Invece non sembra che non ci siano schiarite sul fronte sindacale: la Uil e le sigle autonome dei piloti e degli assistenti di volo continuano a non accettare il contratto unico di settore mentre la Cgil continua a dire di no ai tagli di personale. E non è chiaro se l’uno o l’altro di questi rifiuti possa spingere gli arabi a far saltare la trattativa.
Oggi l’Alitalia comunicherà a Hogan la risposta ufficiale con una lettera, e questa lettera dovrebbe rappresentare (in teoria) l’ultima parola della compagnia, dopodiché anche Etihad dovrebbe esprimere il suo parere ultimo e definitivo. Perché non si può andare avanti all’infinito.
Ieri mattina ha sbloccato la situazione (almeno sul fronte finanziario) un vertice a Palazzo Chigi fra il ministro dei Trasporti Lupi, i dirigenti di Alitalia e i soci. E fra oggi e domani un consiglio di amministrazione della compagnia dovrebbe deliberare un aumento di capitale più generoso di quello finora programmato. La ricapitalizzazione cresce a 300 milioni, rispetto ai 250 deliberati dall’assemblea di venerdì.
Naturalmente per deliberare un aumento di capitale non basta un consiglio di amministrazione, bisogna convocare l’assemblea dei soci.
Il contributo del socio Poste Italiane sale a 70 milioni, e dovrebbe essere superato anche il dubbio sulla destinazione di quei soldi. Le Poste volevano mettere tutto il tesoretto nella «newco», cioè nella nuova Alitalia senza i gravami del passato che rinascerà con Etihad dalle ceneri della vecchia Alitalia, che continuerà ad avere un’esistenza virtuale con tutti i suoi debiti e i suoi contenziosi legali irrisolti. Ma Etihad vuole rassicurazioni dagli attuali azionisti proprio sul versante «old», vuole la garanzia che lci siano risorse sufficienti a tappare le voragini pregresse. E gli altri soci contavano che l’azionista Poste condividesse quel fardello. È passata l’ipotesi un po’ bizantina della «midco», ovvero di una società di mezzo tra l’attuale Alitalia e la nuova compagnia. Al governo italiano la soluzione piace, ma nessuno sa se convincerà anche la Etihad. Secondo quanto si apprende da fonti finanziarie, è stata concordata un’ulteriore scappatoia, per cui se Etihad (per motivi fiscali o tecnici) respingesse la soluzione della midco, le Poste si impegnerebbero a versare quanto stabilito nella old company.
Dai vecchi soci altri soldi
L’aumento sale a 300 milioni
L’aiuto di Colaninno e Benetton. L’esecutivo: abbiamo fatto il possibile
Alessandro Barbera
Intesa Sanpaolo verserà circa ottantacinque milioni di euro, Unicredit cinquantasette, Poste settanta. E poi la Atlantia dei Benetton, la Immsi di Roberto Colaninno, forse Pirelli e uno o due nuovi soci minori. Per gli azionisti di Alitalia è arrivato il momento di aprire il portafogli. La lettera di James Hogan - diffusa martedì sera con abilità da un misterioso socio - ha ottenuto l’effetto voluto: accelerare la ricerca della soluzione possibile. I protagonisti del romanzo più travagliato della storia dell’aviazione civile ieri mattina si sono incontrati di persona o via telefono nello studio del sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio a Palazzo Chigi. Etihad invocava l’intervento diretto e immediato del governo, e l’ha ottenuto. L’aumento di capitale per la costituzione della nuova società, deliberato per 250 milioni di euro, arriverà a 300. Di più, in così poche ore, non è possibile andare: Etihad ha scritto di attendere una risposta entro oggi. Non è detto che al socio arabo basti, la controparte italiana è convinta che debba bastare. Dice una fonte di governo: «Le condizioni per chiudere adesso ci sono. C’è l’impegno di tutti, la struttura societaria individuata è coerente, più in là non è possibile andare». Una risposta indiretta alla ipotesi, vagheggiata da alcuni, che immaginava il governo impegnarsi in un prestito-ponte contro il quale si sarebbero scagliati Bruxelles e i concorrenti.
Ieri sera i vertici di Alitalia hanno lavorato fino a tardi per scrivere la risposta che stamattina sarebbe stata recapitata sul tavolo di Hogan. Una prima bozza è stata condivisa dai soci nel pomeriggio e discussa fra gli avvocati delle banche e di Poste. Dentro ci saranno tutte le risposte ai quesiti arabi: la garanzia del sì dei sindacati, le ragioni per le quali l’Europa non boccerà l’operazione, una spiegazione dettagliata di come verrà risolto il caso Toto, l’ex patron di AirOne finito nei guai per alcune scatole societarie irlandesi alle quali erano intestati i contratti di leasing per i nuovi aerei Alitalia. Un pasticcio legale nato nel 2008 con l’operazione dei capitani coraggiosi e del quale Etihad non vuole nemmeno sentir parlare.
In queste ore gli advisor si stanno preoccupando anche di risolvere tutti i problemi legali che potrebbero sorgere il giorno dopo l’eventuale sì degli arabi. Ad esempio: che accadrebbe nel caso in cui, per una qualche ragione, la soluzione chiesta e ottenuta da Poste per non caricarsi sulle spalle i vecchi debiti non dovesse funzionare? Poste accetterà comunque di entrare come socio nella vecchia Cai, assumendosi l’onere come tutti gli altri di farsi carico dei debiti del passato? Le banche spingono perché la società pubblica accetti, quest’ultima insiste nel ricordare che è azionista solo da un anno, e dunque intende partecipare all’aumento protetta da una «midco», una società cuscinetto intermedia fra la nuova Alitalia e la vecchia. Dettagli legali, che non dovrebbero in ogni caso impedire ad Etihad di accettare.
La novità rilevante è che dopo giorni di pressing da parte delle banche e di Poste, alcuni dei vecchi azionisti ancora su piazza avrebbero accettato di versare qualcosa di più per l’ennesima ricapitalizzazione. Non è ancora noto chi metterà quanto, ma ieri sera erano state raccolte adesioni formali per circa 290 milioni di euro, almeno ottanta in più di quelli che verseranno nel loro insieme i tre grandi soci. C’è da chiedersi come è possibile, dopo tante perdite, che ci sia qualcuno ancora disponibile a investire nella fornace Alitalia. Due le ragioni. Perché la compagnia targata Etihad, per quanto ridimensionata perfino rispetto ai programmi del progetto franco-olandese, promette ben altri orizzonti rispetto al bagno di sangue degli ultimi cinque anni. E perché, se l’accordo con gli arabi saltasse davvero, le probabilità che Alitalia questa volta fallisca sono altissime. Gli arabi accetteranno? Gabriele del Torchio è convinto di sì. Fra oggi e domani sono già in calendario la convocazione del consiglio di amministrazione e dell’assemblea dei soci che aggiorneranno l’entità dell’aumento di capitale.
Twitter @alexbarbera
IL CONTENZIOSO CON TOTO
L’eredità di Toto
pesa fino a 100 milioni
Francesco Spini
Aveva cominciato col far concorrenza alla prima Alitalia, quando ancora era la compagnia di bandiera. Con la sua AirOne è finito ad essere il perno del «Piano Fenice». Ora, per Carlo Toto, arriva la terza parte nella infinita commedia di Alitalia: quella dell’ostacolo che rischia di far saltare l’intesa tra i vecchi soci di Cai (tra cui c’è pure lui con lo 0,41%), le banche e gli arabi di Etihad. Sul tavolo ballano meno di 100 milioni di possibile contenzioso e riguardano tre fronti: la fornitura degli aerei ad Alitalia, contestazioni del Fisco alla vecchia AirOne e cause di lavoro.
Il litigio tra Toto e l’Alitalia parte poco tempo dopo l’operazione che, nel 2008, segnò l’operazione dei «capitani coraggiosi» con la vendita di AirOne all’Alitalia per la bellezza di un miliardo e rotti, inclusi 600 milioni di debiti. Insieme alla vendita Toto stipula con la compagnia un contratto per la fornitura in leasing di 71 aeromobili Airbus tramite la Aircraft Purchase Fleet Limited con sede a Dublino. Nel 2010 il contratto viene rivisto e le consegne si riducono a «soli» 14 aerei. La mancata consegna degli aerei è costata a Toto di 7 milioni nel 2011 e 12 milioni nel 2012 di penali nei confronti di Airbus. Ma non è l’unico aspetto che oggi pesa sull’accordo con Etihad. Al termine di una verifica fiscale in Alitalia, la Finanza contesta violazioni tributarie per 33 milioni di euro. Sarebbero violazioni commesse tra il 2002 e il 2008, quando Alitalia era ancora un semplice concorrente e dunque del tutto ascrivibili al gruppo Toto. A completare il quadro del pregresso che Hogan vuole assolutamente lasciare agli altri soci è un gruppo di cause di lavoro intentate da ex dipendenti di AirOne che lamentano disparità di trattamento una volta giunti nel nuovo gruppo.