Aldo Busi, Corriere della Sera 31/7/2014, 31 luglio 2014
BESTSELLERISTE CHIC E SCRITTORI VERI. TUTTI DESTINATI COMUNQUE ALL’OBLIO
Uno scrittore non ha bisogno di guardare una finale di Coppa del mondo... vista in diretta da un miliardo e ottocento milioni di umani e almeno dal quintuplo di altri animali quali mosche, zanzare, scarafaggi, cani, gatti, pappagalli, topi, peluche però in perfetta salute mentale... per sentirsi un moscerino azzoppato i cui voli possono tutt’al più destare l’interesse di un ragno in attesa di omologarlo nella comune ragnatela: basta esca una mattina a fare la spesa per sentire sé e la propria opera letteraria meno importanti di un vigile in divisa, e neppure tutto, basta il suo taccuino delle multe in mano.
Tuttavia, prima di guardare io stesso la partita tra Argentina e Germania per rendermi conto almeno approssimativamente del fascino plagiario che ha un simile evento su un quarto della popolazione mondiale e della mia ridicola insignificanza di scrittore, di cittadino, di uomo e di vecchio senza uno straccio di pensione malgrado i milioni pagati in non so più che balzelli, contributi, acronimi e pizzi di Stato vari, ho notato che i primi libri più venduti in Italia sono quattro polizieschi con cadavere e poi, su un canale satellitare straniero, ho visto un servizio su Venezia che, mi sono ricordato, avevo già visto un anno prima.
Dopo la parte sott’acqua sulla manutenzione degli argini che, secoli di palafitte a bagnomaria a parte, si sbriciolano per i moti ondosi di traghetti che non filano dritto e navi inchinantisi al dio Mammona del Mordi&Fuggi, interessantissima, avviene un incontro con quella tale Donna Leon, di origine statunitense, che sforza e sforna gialli in continuazione ambientati tra le calli e i callosi luoghi comuni da cartolina con gondola sempre in onda; il caso vuole che proprio un paio di mesi fa, in una ridente cittadina francese dove c’è un museo molto famoso, il Beaubourg o forse il Louvre, con libreria annessa, ne abbia preso in mano uno, Brunetti et le mauvais augure , ne abbia letto l’aletta e le prime dieci pagine a scrocco… Estate canicolare, una vecchia raggirata da un veggente, e si specifica «falso», un cancelliere ammazzato, trafic d’influence , che può significare tante cose, abuso d’ufficio, millantato credito, concorso esterno (?) in associazione mafiosa eccetera… E l’abbia rimesso giù con religioso rispetto verso i grafici della copertina e l’ometto del muletto che nel magazzino ne sposta e rimpingua la palette; tale Donna non vuole che le sue leonine opere vengano tradotte in italiano perché a Venezia, quindi in una specie di Italia sotto vuoto spinto, lei ci vive e pensa che la sua vita ne verrebbe sconvolta, niente di meno, perché chissà quali terribili segreti pubblici e privati rivela di Venezia, delle tenebre sul Mose e i suoi salmastri e, se ricchi, ricchissimi abitanti, scocciatissimi a causa di venti milioni di turisti l’anno che certo qualche voglia di sangue la tirano fuori anche alla più morigerata e linfatica beghina, che poi è anche più facile da pedinare e in più al contempo descrivi cinque chiese, tre edicole, un camposanto e qualche sparsa cappella, non saprò mai se di quelle che intendo io o che, e anche stavolta sei a posto con la foliazione di base.
Nel filmato si vede la giallista di fama interplanetaria, Italia esclusa, riverita e osannata da lettrici straniere di passaggio e in giro tra le bancarelle di un mercato con un’amica indigena che poi vedremo cucinare con una sapienza che farebbe trama e ordito di per sé anche nel sottoscala della Sellerio editore mentre uno spremitore di tasti mette tutto il piccante possibile nero su bianco e conia pure il titolo che acchiappa, Giallo zafferano , mettiamo, copyright permettendo; questa settantenne Donna arcimilionaria in royalties come credo nemmeno Simenon e Liala, di una fissità espressiva ineguagliabile, secca, rugosa, terrea, coperta da abiti scientemente modesti da «intellettuale pensosa come te la immagini», ha, per l’appunto, un successo strepitoso in qualsiasi lingua in cui è tradotta compresa, esistesse, quella salmistrata e pertanto viene poi anche servita a tavola dalla sua amica indigena cuoca sopraffina e non parla mai, a parte rivelare, muovendo labbra inesistenti con la tagliente meccanicità di un’iguana, un tormento ricorrente: il blocco della scrittrice statunitense anche più patentata di stanza a Venezia — o, mettiamo, a Capri, a Positano, a Ravello, a Taormina, nei luoghi peninsulari più deputati alla scrittura fina, a Busto Arsizio o a Casal di Principe mai.
Confessa, ella, forse sorridendo ma non si capisce bene cosa intendessero i muscoli buccali, che quando ha un dubbio filologico e quindi si deve documentare per andare avanti nella pagina (sempre dubbi su cosa mangerebbe il suo commissario veneziano Brunetti quel tale giorno in quel dato caso di assassinio) prende su il telefono e chiama la presente amica cuoca sopraffina, la quale le suggerisce, mettiamo, «Sarde in saor» o, si fa per dire, «Bigoli alla moda del Doge», moda, mona, una cosa così, ed ecco così rimosso il blocco in blocco e avanti di getto fino alla risoluzione e relativa digestione dell’omicidio lagunare nel menù del giorno.
Bestseller italiani e no, Donna americana che scrive a Venezia e finale di partita di campionato mondiale con i suoi multicolorati insetti eretti che sugli spalti esultano o piangono per una palla che entra o no in una specie di rettangolare retino per megacalabroni fissato al terreno e chiamano l’avvenimento «goal», cioè conseguimento di un obiettivo, un bersaglio centrato, un progresso dell’uno a danno dell’altro e quindi più che mai dell’umana specie tutta: sono rimasto così annichilito dalla mancanza di stupore e invidia di fronte alla consapevolezza di questa sacra e apocalittica ed effimera trinità che domina e sempre dominerà il mondo che mi sono addormentato come un angioletto più tranquillizzato del solito.
Sarò pure un moscerino azzoppato e insignificante e la mia storia, la mia opera, la mia lotta indefessa per non cadere in quella ragnatela non lasceranno traccia, ma neanche loro, però! Determinano ciò che più conta, l’attimo industriale presente, ma che vita di cellulosa gonfiata a fronte di tanto trionfo per niente e sul niente e sfruttando il niente! Insetto grosso mangia insetto piccolo, si sa e sta bene a tutti da che mondo è mondo, è la cosiddetta natura delle cose e di queste cose fatte di carne istintuale e niente più dette esseri umani e quindi non lettori nati. Il problema è che non stava e non sta e non starà mai bene a me, per questo ho scritto come ho scritto e vivo come vivo e, altro che cruccio, non lasciare alcuna traccia di niente in questo niente è pur sempre una consolazione. Come vorrei ora poter esprimere un unico desiderio recitando la semplice formula, «Scusate, è stato tutto un malinteso», e far sparire subito ogni traccia dei miei scritti dagli scaffali, dalle librerie, dalle cantine, dalle biblioteche, dai computer, dai depositi pronti al macero!
E lo so che una simile considerazione aumenta la forza contrattuale di ogni Prima Donna anche maschile del cartaceo letterario e che diminuisce ulteriormente la mia di involontario principe della Letteratura senza agente e senza mercato, lo so bene, ma che scelta avevo, visto che comunque chi tace acconsente e almeno io no?
Ah sì, e poi a volte come vorrei che qualcuno mi baciasse per trasformarmi in un rospo.