Maria Novella De Luca, la Repubblica 31/7/2014, 31 luglio 2014
IL NOME DEL PADRE
La ricerca delle radici. L’albero da cui si proviene, nel nome del padre, ma soprattutto della madre. Quali sono i diritti di un figlio adottato, o nato da una fecondazione eterologa, di conoscere la propria origine? Ed è giusto che l’anonimato di una “madre segreta” o di un donatore di gameti venga svelato per rispondere al bisogno di un figlio o di una figlia di riallacciare i legami di una storia interrotta? C’è un filo rosso che in questa estate mutevole congiunge tre fatti, sui quali in autunno il Parlamento sarà chiamato (non senza difficoltà) a scrivere o a riscrivere norme. E per tutte e tre le questioni il concetto contestato, auspicato o controverso è “l’anonimato”. La legge sulle adozioni, il cui testo di riforma è già in discussione alla Camera. La fecondazione eterologa, i cui temi più spinosi sono stati rinviati dal ministro Lorenzin all’Aula. Il caso sempre più doloroso delle provette scambiate all’ospedale Pertini di Roma, che con i suoi insanabili quesiti etici, giuridici, e morali mostra già un drammatico vuoto legislativo. Ma tutto ruota intorno al diritto- divieto per i figli delle tante nuove forme di famiglia, di spezzare il segreto sulla propria nascita.
Gli ex bambini delle “madri segrete” ad esempio, adulti che da anni si battono perché la famosa “legge dei cento anni” venga rivista o abolita. La legge italiana permette infatti che nell’assoluto anonimato una donna possa partorire in ospedale, consegnare il proprio figlio allo Stato perché lo dia in adozione, con la certezza che le sue generalità non saranno mai rivelate, se non allo scadere dei cent’anni dal parto. Nel dicembre scorso la Corte Costituzionale, dopo una lunga battaglia dei comitati per il diritto alle origini biologiche, ha chiesto al Parlamento di rivedere appunto l’articolo 28 della legge sulle adozioni, ritenendolo penalizzante nei confronti dei figli.
In commissione Giustizia, spiega il relatore Giuseppe Beretta del Pd, la discussione è già iniziata da tempo, ma le posizioni sono tutt’altro che vicine. «Non sono soltanto le forze politiche ad essere divise, ma anche tutte le associazioni che si occupano di adozioni. La preoccupazione è che togliendo il vincolo della segretezza, molte donne, oggi sempre più immigrate clandestine e irregolari, invece di partorire in ospedale scelgano l’aborto o addirittura scelte più estreme. Sull’altro fronte però ci sono i figli, il cui diritto alla conoscenza delle origini è ritenuto fondamentale dalla Corte Costituzionale... Dunque il nostro compito è cercare un punto di mediazione». E la mediazione potrebbe essere un testo che riforma l’articolo 28 della legge 184, in cui si prevede che compiuti i venticinque anni un figlio possa rivolgersi al giudice per contattare la “madre segreta”. E chiederle (sempre che si riesca a rintracciarla) se è disponibile ad un ripensamento, a rimuovere cioè il patto di anonimato e dunque a incontrare quel neonato abbandonato tanti anni prima in un momento di difficoltà.
Ma è proprio la parola “abbandono” che disturba una giudice di lunga e consolidata esperienza come Melita Cavallo, presidente del Tribunale per i Minori di Roma. «Non dobbiamo più definire questi bambini “abbandonati”, è uno stigma che si portano appresso per tutta la vita. Credo che sia giusto per un giovane accedere alle proprie origini, prima di tutto quelle sanitarie. E con cautela dovrebbe essere possibile anche per una madre revocare il segreto se vuole essere rintracciata».
La realtà però è assai più complicata, precisa con franchezza Cavallo. «Queste donne, sole e disperate, si presentano senza documenti, danno identità fasulle, e se sono migranti passano e vanno altrove. Ciò che a noi arriva sono informazioni scarsissime e frammentarie. E poi, in verità, nella mia esperienza su migliaia di adozioni, sono pochissimi i figli che si presentano chiedendoci di aprire le famose buste che custodiscono la loro identità. Dove raramente poi trovano ciò che cercano ». Eppure come racconta Monica Rossi, che oggi ha 40 anni, due bambini, ed è nata da “parto anonimo”, «rintracciare chi ti ha messo al mondo, un volto, una voce è un bisogno esistenziale insopprimibile, oggi il diritto tutela troppo le madri e per nulla i figli». Monica fa parte del “Faegn”, associazione “Figli adottivi e
genitori naturali”. «Ho due ottimi genitori adottivi e due splendide bambine. Eppure di mia madre dopo un ricorso al tribunale ho potuto sapere soltanto che è morta. Non il suo nome dunque, e nemmeno un luogo su cui portare un fiore». Un dolore che non si cancella. Per Monica Rossi il testo su cui sta lavorando la commissione Giustizia è un buon punto di partenza. «Deve essere consentito ai tribunali di rintracciare le madri segrete. Perché dopo tanti anni forse quella donna potrebbe essere cambiata e desiderare anche lei di ritrovare il suo bambino diventato adulto».
Forse sì. Forse no. Ed è un giurista come Stefano Rodotà ad indicare quanto la strada della caduta dell’anonimato sia un campo minato. «Sia nel caso del parto anonimo, sia nel caso di figli nati da fecondazione eterologa, penso che l’unico vero diritto da garantire riguardi i dati sanitari.
Salvaguardare cioè la tutela della salute. Ma su tutto il resto, ossia il nome e il cognome di chi ha chiesto esplicitamente di restare sconosciuto, bisogna avere estrema cautela. L’interesse del figlio deve essere bilanciato con quello della madre, e con quello del donatore o della donatrice di gameti, in caso di procreazione eterologa».
Rodotà spiega che passare dal silenzio al “diritto incondizionato di conoscere le proprie origini” potrebbe essere un passo troppo forte. A cominciare ad esempio dalla fuga dei donatori, come è avvenuto nei paesi dove è stata imposta la rintracciabilità anagrafica di chi aveva donato il seme o l’ovocita. Senza contare le delusioni ormai ben note, di adolescenti che dopo aver rintracciato i propri fornitori di gameti, si sono ritrovati di fronte dei perfetti sconosciuti per nulla inclini a diventare, effettivamente, padri o madri.
Eppure anche qui la situazione è controversa. Molti psicologi infatti consigliano ai genitori di raccontare ai propri bambini come sono nati, svelando il segreto di quel terzo protagonista che ha contribuito a farli venire al mondo. Ma esattamente come per le adozioni qui ci si dovrebbe fermare. Come ad un figlio non biologico si racconta che è nato dal cuore e non dalla pancia, senza bisogno di aggiungere altri dati sulle origini, lo stesso dovrebbe avvenire con l’identità dei donatori di gameti.
Avverte Rodotà: «I diritti vanno riconosciuti ma bilanciati. E sinceramente penso che sia per la fecondazione eterologa che per le “madri segrete” l’anonimato vada salvaguardato. Cercare dopo
25 anni una donna che ha fatto la scelta di affidare suo figlio allo Stato può essere vissuto come una violenza, quasi una colpevolizzazione per il gesto compiuto tanti anni prima». Difficile trovare una mediazione. Aldo, adottato a pochi mesi in un istituto del salernitano, con l’aiuto dei genitori ha rintracciato due anni fa, una sorella affidata ad una famiglia di Roma. «Di nostra madre sappiamo soltanto che era povera e sola. Quando ci penso provo una gran pena. Ma aver potuto conoscere mia sorella ha colmato in parte la notte della mia nascita».