Giampaolo Visetti, la Repubblica 31/7/2014, 31 luglio 2014
TRECENTO CHIESE DISTRUTTE. LA REPRESSIONE DI PECHINO ORA COLPISCE I CRISTIANI
Papa Francesco sta per compiere il suo primo viaggio in Asia e la Cina scatena la più spietata caccia ai cristiani dai tempi della “rivoluzione culturale” di Mao Zedong. Dall’inizio dell’anno nel Paese sono oltre 350 le chiese demolite e le croci abbattute, mentre decine di edifici religiosi sono sotto assedio da parte della polizia, con i fedeli asserragliati all’interno per impedire l’avanzata dei bulldozer. L’ultimo rogo, nel cuore della notte, ha distrutto la storica cattedrale cattolica di Jiangbei a Ningbo, nello Zhejiang. Ignota l’origine dell’incendio divampato dall’altare, ma la comunità cattolica della costa orientale teme si tratti dell’ennesimo attacco delle autorità. Epicentro della nuova ondata di persecuzione è Wenzhou, nello Zhejiang, la “Gerusalemme della Cina” scossa dall’offensiva contro le religioni che Pechino considera “straniere”. Nel mirino, in queste ore, sono in particolare le chiese protestanti, accusate di violare i regolamenti urbanistici: edifici troppo grandi e
croci troppo alte, nonostante le autorizzazioni dei funzionari. A scatenare la repressione, una visita del segretario locale del partito, Xia Baolong, amico del presidente Xi Jinping. Vedendo la nuova chiesa Sanjiang a Wenzhou, poi rasa al suolo, aveva osservato che era «sproporzionata». Un documento riservato del partito ordina ai funzionari di arginare i culti «importati dall’Occidente» e di promuovere le «tradizioni culturali cinesi, come confucianesimo e buddismo».
Da giorni, sempre a Wenzhou, centinaia di protestanti si scontrano con gli agenti armati di bastoni elettrici per difendere la Chiesa della Salvezza, decisi a impedire il sequestro della croce che svetta sul campanile. Il timore è che la caccia ai cristiani aperta nello Zhejiang, dove alla crescita dei valori religiosi corrisponde il boom economico degli ultimi trent’anni, sia destinata a diffondersi in tutta la nazione. La direttiva del partito intima di «cancellare i siti di culto eccessivi» e di frenare «le attività religiose troppo popolari».
Meno croci illuminate e più stelle rosse: la nuova leadership teme che il vuoto scavato dalla sfiducia verso i funzionari corrotti e dalla rabbia per le crescenti disparità sociali non venga più colmato dalla fedeltà all’ideologia comunista, ma dai valori cristiani importati da Europa e Usa. Per questo Xi Jinping, spaventato anche dall’avanzata del radicalismo islamico nella regione turcofona dello Xinjiang, da mesi finanzia la ricostruzione dei monasteri buddisti e in marzo ha visitato la città natale di Confucio, esortando i cinesi a rileggerlo dopo il bando di Mao Zedong.
Pechino, secondo i cattolici clandestini di Wenzhou, è convinta che il cristianesimo introduca in Cina anche il culto per libertà, sfera privata e rispetto dei diritti umani, costituendo una minaccia per la stabilità di un «regime di massa». Il partito comunista conta oggi nella nazione 80 milioni di iscritti, mentre entro il 2025 i cristiani cinesi sfioreranno i 250 milioni, superando i record delle comunità di Usa e Brasile. Solo a Wenzhou, il 15% dei nove milioni di abitanti sono cristiani.
L’ordine di «contenere all’interno» cattolici e protestanti viene eseguito nel momento in cui la diplomazia del partito si muove all’esterno per sondare la disponibilità del Vaticano ad uno storico disgelo dopo la rottura del 1951. Papa Francesco, fra il 13 e il 18 agosto, incontrerà i giovani dell’Asia in Corea del Sud e pensando ai perseguitati del Nord parlerà ai cattolici di tutto il continente, dove tornerà a gennaio per visitare Sri Lanka e Filippine. Un’attenzione particolare verso l’Oriente che scuote Xi Jinping, deciso ad «approfondire il messaggio lanciato da Roma». Il leader cinese è convinto che gli interessi interni, nell’era che vede la nazione giungere alla guida del mondo, vadano «armonizzati con le responsabilità globali». Difficilmente la comunità internazionale riconoscerebbe, per la prima volta, la leadership di una potenza intollerante, oltre che verso dissenso politico e libertà d’espressione, anche verso le religioni. Cristiani e buddisti secondo Pechino possono così legittimare il nuovo ruolo planetario di una “Cina pluralista” e assorbire il malessere dei poveri creati dal consumismo, purché non oltrepassino «la soglia di una tollerata minoranza».
Leader vicini a Xi Jinping assicurano che la «caccia ai cristiani» nello Zhejiang si limiterà dunque a «rendere meno evidente la fame di spiritualità dei cinesi», cercando nello stesso tempo di «aprire la finestra del dialogo» a cui si affaccia Jorge Mario Bergoglio. Sul tappeto c’è il delicato tema della titolarità delle nomine dei vescovi e quello dei cristiani sotterranei, su cui avanza la disponibilità al compromesso, ma pure la non ingerenza del Vaticano in questioni, come aborto selettivo e pena di morte, che Pechino considera interne. Mentre Papa Francesco si prepara all’incontro con l’Asia, simbolo del successo contemporaneo, Xi Jinping riflette così su come attenuare l’offensiva sfuggita di mano contro il cristianesimo in Cina, icona storica del «colonialismo culturale dell’Occidente» nonostante il rispetto dei cinesi verso grandi figure di missionari, come Matteo Ricci. È la sfida cruciale di fiducia e comprensione: oggi più decisive, anche per Pechino, di riarmo e crescita del Pil.