Carlo Antonio Biscotto, il Fatto Quotidiano 30/7/2014, 30 luglio 2014
«UBBIDISCI E AMMAZZA: MA IL MIO ESERCITO NON ERA COSÌ»
Breaking the Silence è una organizzazione di ex combattenti che hanno prestato servizio nell’esercito israeliano sin dall’inizio della Seconda Intifada e che si sono assunti il compito non facile di raccontare agli israeliani la realtà di tutti i giorni nei Territori Occupati. Fondata nel 2004 da ex militari, si propone di stimolare il dibattito sul prezzo che Israele paga costringendo giovani soldati a controllare quotidianamente la popolazione civile in Cisgiordania e a Gaza e di incoraggiare la società civile a valutare opzioni diverse da quella militare.
Direttore esecutivo dell’organizzazione è Yuli Novak, che dal 2000 al 2005 ha prestato servizio nell’Aeronautica con il grado di tenente e che ricorda spesso sulla pagine del quotidiano The Guardian quanto l’esercito è cambiato negli ultimi venti anni. “Ai miei tempi l’esercito israeliano era quello con il più elevato senso di moralità del mondo”, ricorda Yuli. “Oggi non è più così”.
Per Yuli – che oggi è una signora che si batte per la verità e per il diritto di Israele a esistere – il battesimo del fuoco fu nei cieli della Cisgiordania il 2 aprile 2002. Era stata appena lanciata l’operazione Defensive Shield e le forze israeliane avevano invaso la cittadina di Jenin in Cisgiordania. La squadriglia Hercules, di cui faceva parte, aveva il compito di illuminare il terreno per facilitare il compito alle forze di terra. “Capii per la prima volta cosa era la guerra e mi resi conti che i miei amici stavano rischiando la vita a Gaza e in Cisgiordania per proteggere lo Stato di Israele”.
Yuli ricorda che fu una esperienza tremenda, ma che riuscì a superare l’orrore e il senso di colpa perché era convinta che gli alti comandi non avevano avuto scelta e che avevano deciso di entrare in guerra per salvare Israele. “Confesso che se oggi fossi ancora in servizio e avessi l’ordine di bombardare Gaza, non potrei avere quella certezza. Il livello morale dell’esercito israeliano non è più quello di un tempo”, spiega Novak. Quando nel 2004 decise di entrare a far parte di “Breaking the Silence”, ebbe modo di ascoltare la testimonianza di decine e decine di soldati e ufficiali e ne rimase molto colpita. “Vi siete mai chiesti come è possibile controllare contro la loro volontà milioni e milioni di civili? - chiede Yuli Novak - con la paura e convincendoli che il loro destino è nelle nostre mani. Ed è questo quello che facciamo nei Territori Occupati”.
Ma quando Israele ha perso la sua innocenza? Difficile rispondere a questa domanda. Yuli Novak ci ricorda un altro episodio a suo modo illuminante. Nel luglio del 2002 l’aviazione israeliana sganciò una bomba del peso di una tonnellata sull’abitazione a Gaza di Salah Shehadeh, capo dell’ala militare di Hamas. Ovviamente una bomba di quella potenza non uccise solamente Shehadeh, ma anche 14 civili tra i quali otto bambini. Per Israele fu un vero e proprio trauma e, sebbene il ministero della Difesa insistesse sulle ragioni dell’operazione e sulla sua necessità, l’opinione pubblica si ribellò contro l’assassinio di civili inermi e innocenti e alcuni intellettuali e cittadini comuni inviarono una petizione alla Corte Suprema chiedendo di valutare la legittimità dell’operato delle forze armate. Pochi mesi dopo alcuni piloti dell’aviazione israeliana condannarono questi raid. Oggi – è la stessa Yuli Novak a ricordarcelo – al cospetto dei massacri di civili a Gaza, l’opinione pubblica israeliana rimane in silenzio.
Eccezion fatta per poche voci isolate – la solita Peace Now e pochi altri – intellettuali, cittadini, giornalisti, scrittori non muovono alcuna obiezione nei confronti delle decisioni del governo e del comportamento dell’esercito. “Non sono più certa che quanto stiamo facendo sia la sola cosa da fare”, commenta Novak. “Sette anni fa nel corso dell’operazione Cast Lead sganciammo molte bombe su aree densamente popolate della Striscia di Gaza. Oggi con Protective Edge l’aviazione si vanta di aver sganciato oltre 100 tonnellate di bombe su Gaza. Quella che era una eccezione, spesso condannata, oggi è diventata una politica”.
In uno dei suoi discorsi più celebri, il padre della patria Ben Gurion disse scherzosamente: “Saremo diventati un Paese normale quando uscendo di casa chiuderemo la porta a chiave”. Era un modo paradossale per sottolineare l’unicità dello Stato di Israele, di una comunità fortemente coesa, stretta intorno a valori religiosi e morali comuni. Israele è da tempo diventato un Paese fin troppo normale.
Carlo Antonio Biscotto