Tonia Mastrobuoni, La Stampa 30/7/2014, 30 luglio 2014
«TEDESCHI E DANESI HANNO GUADAGNATO DI PIÙ COL MERCATO UNICO EUROPEO»
Il mercato unico europeo è stato un grande successo, ma soprattutto per il Nordeuropa. Anzi, a ben vedere ha avuto lo stesso effetto della crisi dell’euro: polarizzare il continente, dividere la parte settentrionale da quella meridionale. È quanto rivela uno studio della fondazione Bertelsmann che ha messo a confronto i benefici dell’integrazione europea di quindici Paesi dell’Unione (ad eccezione del Lussemburgo) che hanno sottoscritto nel primo gennaio del 1993 l’intesa di libero scambio. Il verdetto è chiaro: la Danimarca e la Germania sono i partner che hanno maggiormente approfittato dell’abbattimento delle frontiere commerciali ed economiche.
Stando allo studio, i benefici maggiori sono toccati ai mercati più intrecciati con il resto del continente, ma per un’economia così proiettata sull’export come quella tedesca – il 60% dei flussi commerciali sono diretti verso la Ue – è chiaro che l’adozione dell’euro e la scomparsa di valute in balia di frequenti svalutazioni come la lira o il peso o la drachma, sono stati dettagli importanti. D’altra parte il primato della Danimarca mette anche a tacere chi sostiene che l’unico segreto del successo della Germania post-unificazione sia stata l’adozione della moneta unica.
Nel Paese scandinavo il beneficio si è tradotto in un aumento del Pil pro capite di 500 euro all’anno, in Germania di 450 euro. Nel paese di Angela Merkel, in altri termini, il mercato unico ha fruttato un incremento annuo del prodotto interno loro di 37 miliardi di euro. Al terzo posto della classifica dei “profittatori” la fondazione Bertelsmann elenca l’Austria (280 euro pro capite), poi seguono la Finlandia (220 euro), appaiate il Belgio e la Svezia (180 euro), i Paesi Bassi (130 euro) e Francia e Irlanda (110 euro).
In fondo alla classifica dei beneficiari, i quattro Paesi della fascia mediterranea che i perfidi commentatori britannici hanno racchiuso da anni in una sigla poco lusinghiera, i Pigs, cioè Portogallo (20 euro), Italia (80 euro) e Spagna (70 euro). E la Grecia? Tra i Paesi analizzati è un’eccezione drammatica. Sino al 2008 anche il suo prodotto si è sempre arricchito grazie all’appartenenza all’area europea di libero scambio, ma dopo la crisi dei debiti che l’ha precipitata in una lunga agonia finanziaria ed economica, Atene ha smesso di trarre vantaggi dal mercato unico. Secondo Bertelsmann da allora la Grecia ne è di fatto stata esclusa. «Se paragoniamo – si legge nello studio – i valori del 1992 con quelli del 2012, osserviamo che in tutti i Paesi ad eccezione della Grecia l’integrazione europea ha garantito un aumento dei redditi pro capite».
Lo studio sostiene anche che bisognerebbe andare avanti con l’integrazione europea, allargandola al mercato del lavoro e dei servizi. «Il terziario rappresenta ora il 70% del Pil europeo, ma solo il 20% degli scambi tra Paesi». Bertelsmann suggerisce che si proceda ad una maggiore integrazione dei servizi e che si adottino norme che consentano di riconoscere ovunque qualifiche o diplomi. Importante, infine, facilitare il collocamento lavorativo da un Paese all’altro migliorando l’informazione e introdurre legislazioni più semplici sulle assicurazioni sociali e lavorative. Altri settori che nasconderebbero un enorme potenziale di crescita, se si procedesse ad una maggiore convergenza tra Paesi membri, sono quello delle poste e dei trasporti, l’edilizia, l’ingegneria e l’architettura.
Tonia Mastrobuoni, La Stampa 30/7/2014