Gabriele Beccaria, La Stampa 30/7/2014, 30 luglio 2014
COME SIAMO DIVENTATI “INFORGANISMI” (SENZA ACCORGERCENE)
«I tablet non calcolano e gli smartphone non telefonano». Quanti paradossi nella tecnologia, che dall’uso «friendly» ha virato verso l’emotività diffusa, terremotando i territori del nostro io.
Questi paradossi li racconta Luciano Floridi nel suo ultimo saggio, «The Fourth Revolution», appena pubblicato in Gran Bretagna dalla Oxford University Press. Se Copernico ha dato una scossa alle nostre pretese di essere al centro di tutto, se Darwin ha abbattuto il piedestallo biologico su ci eravamo sistemati e se Freud ha fatto a pezzi gli antichi stereotipi di mente e personalità, è arrivato il momento - dice il professore - di riconoscere una nuova realtà ancora più spiazzante: i computer e gli smartphone ci hanno inferto altri sonori schiaffi, scaraventandoci nella Quarta Rivoluzione.
Il mondo, infatti, è diventato un’«infosfera» - un habitat artificiale affollato di dati e plasmato da esperienze condivise - e ne siamo stati ingoiati. Ci troviamo - un’altra volta - in ruoli di comprimari o, meglio, secondo il neologismo di Floridi, in quello di «inforganismi». L’intelligenza ha preso le forme di una proprietà emergente, collettiva, sia umana sia elettronica, di neuroni e di bit. Personaggi visionari come Shannon e Turing avevano previsto la svolta, oltre mezzo secolo fa, ma ora il futuro è arrivato. E - aggiunge Floridi, professore di Filosofia ed Etica dell’Informazione alla University of Oxford - dobbiamo cercare di capire e adeguarci alle metamorfosi dell’«onlife», la vita costantemente connessa.
L’high tech, infatti, corre così tanto che tutto il resto è in ritardo. Compresa ciò che lui definisce la «cultura condivisa», per non parlare delle norme e delle leggi. E allo stesso tempo vacillano le nostre emozioni, il lato semisegreto che mettiamo così volentieri a disposizione di sistemi immensamente grandi, come i social network. Una parte di noi è virtuale, ma restiamo apprendisti ingenui. Spesso impreparati e pasticcioni.
Anche nei riferimenti morali si aprono crepe vistose e non è un caso che Floridi faccia parte (unico italiano) del comitato per il diritto all’oblio di Google: «Pensiamo di rendere noto un documento entro l’anno, sperando - scherza - che le nostre ambizioni non siano eccessive!». E, ironie a parte, spiega che lo scontro in atto - tra paladini della trasparenza assoluta e difensori della privacy - racchiude una situazione meno manichea di ciò che si vorrebbe: «Lo dico da filosofo: le cose sono complicate. Pensiamo al fatto che la sedimentazione dell’informazione è un processo che abbiamo sempre vissuto. Fatti e persone finivano in archivio e lì venivano dimenticati. Oggi, invece, basta cliccare “search” e tutto viene rigurgitato. Internet è una rete a strascico e le cose vengono a galla sulla stessa linea». La realtà a cui non ci siamo ancora abituati - sottolinea - è «una distesa piatta».
Lo dimostra un esempio ricorrente: l’incubo da colloquio di lavoro, quando il proprio curriculum accademico e professionale si mischia alle foto sbracate dell’ultimo party e alle confidenze amorose remote e recenti. «Rimuovere i links, come vorrebbe qualcuno, non mi trova d’accordo. Se il fine è condivisibile, lo strumento resta inefficace, perché si presta ad abusi e a discriminazioni».
Accade così, a proposito di paradossi, che esploda il neo-fenomeno della porno-vendetta, quando il partner abbandonato (quasi sempre maschio) diffonde online immagini «hard» della ex. Tanto che negli Usa sono comparsi i primi contratti prematrimoniali che includono clausole specifiche sull’illiceità della pratica. E intanto - altro paradosso - la tecnofilia si accompagna alla scientofobia. «La tecnologia vuole vendersi e lo fa nei modi più attraenti possibili - sottolinea Floridi -: tablet e smartphone ci servono per chattare e per giocare, esaltando il lato sociale e ludico. La scienza, al confronto, appare “fredda”, perché non si vende, parla a se stessa ed è perfino un po’ snob. È poco “user friendly”, mentre l’hi-tech è facilissima da invitare a cena».
Floridi si dichiara pessimista e ottimista allo stesso tempo, ma - conclude - proprio la logica globale dell’«infosfera» (che solo adesso iniziamo a decifrare) potrà trasformarci in meglio. Come? «Dalla Quarta Rivoluzione può nascere un’altra mentalità, fondata sui principi della tolleranza e dell’attenzione, nel senso anglosassone di “care”, grazie alla quale sentirsi ospiti del Pianeta, mentre l’“altro” diventa chiunque e qualunque cosa». Ecco, finalmente, un vantaggio palpabile di essere un po’ meno umani «old style» e un po’ più «inforganismi».
Gabriele Beccaria, La Stampa 30/7/2014