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 2014  luglio 30 Mercoledì calendario

“CHI VUOLE RESTARE AL LAVORO A VITA RUBA UN POSTO ALLE NUOVE GENERAZIONI”

[Intervista a Marianna Madia] –
«Se in Italia è difficile fare le riforme? La verità è che ogni volta che si toccano certi interessi sembra che venga giù il mondo. Ma abbiamo tenuto serenamente».
Ministro Madia, il decreto legge che riforma la pubblica amministrazione sta per essere votato dalla Camera. Quanti compromessi avete dovuto mandar giù?
«Il mio bilancio è molto positivo. Temevo che in Parlamento si potessero manifestare forze che si facevano portatrici delle tante resistenze e dei tanti interessi particolari che sono stati toccati. Invece in Commissione c’è stato un dibattito molto onesto, che ci ha permesso di migliorare il testo anche in punti in cui oggettivamente era poco equilibrato. Abbiamo mantenuto l’impianto, senza snaturarlo, e migliorandolo. Su nodi spinosi - segretari comunali, avvocati dello Stato e pubblici, Camere di Commercio, incentivi per i dirigenti - abbiamo trovato soluzioni eque. È importante che si sia potuto discutere in modo concreto e non paralizzante».
Sì, ma adesso in Aula a Montecitorio si annunciano mille emendamenti...
«Appunto, abbiamo discusso per una settimana, giorno e notte, in Commissione; mille emendamenti sono un’esagerazione. Valuteremo se mettere la fiducia».
Poi ci sarà l’esame della legge delega. Non teme imboscate parlamentari?
«Il ddl delega è calendarizzato in Senato, spero in una approvazione entro la fine dell’anno per varare dall’inizio del 2015 i decreti delegati. L’esito del confronto sul decreto mi rende più ottimista. È stata davvero una bella discussione, anche considerando le resistenze molto forti di interessi particolari, che hanno premuto sia sul governo che su singoli parlamentari. I rappresentanti di questi interessi ce li siamo a volte ritrovati proprio davanti la porta della Commissione...».
Lobbisti? Di chi?
«Tantissimi, non posso citarli tutti».
Davvero non avete «mollato» su nulla?
«Macché. Sui distacchi sindacali dimezzamento era, e dimezzamento è rimasto. Sulla mobilità obbligatoria nel pubblico impiego, resta la regola che non saranno i sindacati a gestirla. Abbiamo solo inserito una deroga per le madri con figli che hanno meno di tre anni e per chi usufruisce della legge 104 e ha un disabile a carico».
Tuttavia la riforma non genera risparmi di spesa, e la cosa non è piaciuta a Renzi...
«I capisaldi della riforma erano l’equità e il cambiamento della pubblica amministrazione. Non volevamo fare cassa. Ma ci sono norme che producono risparmi significativi».
E sull’età di pensionamento dei «pubblici»? State sfasciando la riforma Fornero?
«Nessuna deroga, nessun pensionamento generalizzato a 62 anni. Abbiamo solo applicato una misura che già esiste nel privato. Quando il dipendente pubblico raggiunge il massimo dell’anzianità contributiva possibile, cioè i 42 anni e sei mesi prescritti dalla legge Fornero, l’amministrazione può unilateralmente dire al lavoratore di andare in pensione d’ufficio».
Uno degli obiettivi della riforma era liberare posti per i giovani. Par di capire che non ci sia da aspettarsi granché.
«C’è comunque una forte inversione di tendenza. Abbiamo varato norme giuste, che hanno generato grandi proteste. Pensiamo ai professori, oppure ai magistrati, con l’abolizione dell’istituto del trattenimento in servizio per tutti. Prima l’amministrazione concedeva a tutti il “trattenimento in servizio”, che in teoria era discrezionale . E se si considera che i trattenimenti erano già compresi nei limiti assunzionali, quella persona che rimaneva in servizio rubava un posto a un giovane».
E poi gliene rubava un altro da pensionato, in qualità di consulente.
«Infatti. Per questo ora c’è il divieto assoluto di continuare per i pensionati ad avere lavori nella pubblica amministrazione. Al massimo si può restare un anno, e a titolo gratuito».
Sicura che non riusciranno a trovare una scappatoia?
«Violerebbero la legge. Sfido le amministrazioni a farlo».
Roberto Giovannini, La Stampa 30/7/2014