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 2014  luglio 30 Mercoledì calendario

QUANDO PER DEMOLIRE IL REGIME SI COLPISCONO I SIMBOLI DEL POTERE

La casa di Ismail Haniyeh trasformata in cumulo di macerie, lo studio televisivo di Al Aqsa polverizzato e il ministero delle Finanze ingoiato da una voragine sul terreno: Israele demolisce i simboli del potere di Hamas a Gaza per diffondere nella Striscia la convinzione che si tratta di un regime in dissoluzione.
Nelle notte in cui l’esercito israeliano colpisce più intensamente Gaza, l’obiettivo è Sheikh Radwan, il quartiere del potere di Hamas, l’unico nell’intera Striscia che ha una parvenza di città mediterranea con villette a più piani, piccole via alberate, moschee ben curate e palazzi con cortili interni. Ironia della sorte vuole che furono gli israeliani a realizzarlo all’inizio degli Anni 70, attorno al santuario sufi di Radwan ibn Raslan, nel tentativo di far uscire la gente dai campi profughi andando incontro alle ire dell’Olp e dell’Unrwa (l’Agenzia Onu per i rifugiati) che denunciarono i «trasferimenti forzati». Se Hamas ne ha fatto la propria cittadella è perché è ben delimitato - fra Shati, Rimal e Jabalia - contiene edifici in muratura con migliori strutture e servizi, e ha un forte valore emotivo perché fu la culla dell’Intifada, che partì proprio da Gaza nel novembre 1987. Non a caso è nel cimitero di Sheikh Radwan che i leader di Hamas uccisi dagli israeliani vengono sepolti: da Ahmed Yassin ad Abdel Aziz al-Rantissi. È questa idea di roccaforte di Hamas l’obiettivo del pesante bombardamento, da cielo e terra, che investe i palazzi di Hamas.
«Tutto è iniziato con i missili di avvertimento dei droni - racconta Ahmed, una della guardie della casa di Hanyeh - in genere ne lanciano uno, in questo caso sono stati tre, in rapida successione e poi è arrivata la bomba pesante». Un ordigno da mezza tonnellata che ha fatto implodere la palazzina di quattro piani del leader politico di Hamas, trasformandola in un cumulo di macerie, limitando i danni a quelle adiacenti. Abdel Salam, figlio di Haniyeh, parla di una «doppia esplosione a cui abbiamo assistito da lontano perché nessuno da tempo vi abitava più». Ma l’intento del generale Benny Gantz, capo di stato maggiore, in questo caso non era eliminare il nemico bensì demolirne il prestigio e la credibilità in un angolo di mondo dove le costruzioni attestano la forza che si possiede. Fu questo il motivo per cui nel 2002 l’allora premier Ariel Sharon ordinò l’assedio e la demolizione della Muqata di Yasser Arafat a Ramallah, lasciando al Raiss palestinese solo un’unica stanza nella quale i soldati scavarono anche un buco nel muro da dove potevano vederlo a occhio nudo. Sharon allora riuscì a demolire la credibilità del potere di Arafat, stroncando alla radice la Seconda Intifada, così come ora il successore Benjamin Netanyahu tenta di fare con Hamas, trasmettendo ai seguaci come ai civili della Striscia, il messaggio che il regime di Haniyeh è finito: può anche arroccarsi nel sottosuolo ma sulla superficie terrestre non c’è più.
La risposta di Hamas è nelle due bandiere palestinesi issate sulle macerie, con appoggiato in terra un ritratto del leader con la kefiah, per attestare la volontà di resistere. Ma è difficile nascondere l’entità delle altre demolizioni di Sheikh Radwan: il palazzo della tv Al Aqsa, voce ufficiale di Hamas, è stato demolito da più ordigni che lo hanno sventrato precipitando lo studio in una voragine di cenere, macerie e liquami fuoriusciti dalle fognature. A breve distanza stessa sorte per la sede della radio di Al Aqsa, con le grandi antenne trasformate in groviglio di metallo. «Ma Al Aqsa tv trasmette ancora» grida uno dei guardiani, dando le spalle all’area dove a essere inghiottita dal terreno è la sede del ministero della Finanze, forziere di Hamas. Ciò che colpisce è il silenzio di rabbia che accomuna gran parte degli uomini della sicurezza di Hamas, incaricati ora di sorvegliare le macerie con lo stesso rigore con cui prima custodivano edifici in gran parte vuoti.
Maurizio Molinari, La Stampa 30/7/2014