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 2014  luglio 30 Mercoledì calendario

EDGAR WALLACE ERA UN GRANDE, LEGATO AL SUO TEMPO COME LA SVASTICA, I 78 GIRI, LA FALCE E MARTELLO, I FILM DI FLYNN, I SALTI NEL CERCHIO DI FUOCO

Morto a Hollywood oltre settant’anni fa, nel febbraio del 1932, Edgar Wallace è da più di dieci anni un autore fuori diritti, come Sir Arthur Conan Doyle e Zane Grey, e un po’ anche come Giacomo Leopardi e Dante Alighieri, le cui opere sono a disposizione di chiunque le voglia pubblicare. Nonostante ciò, e benché Wallace, da solo, valga minimo tre Agatha Christie, non si vedono molti suoi libri in giro, fatta eccezione per gli ebook della Newton Compton che trovate nelle librerie on line (costano due soldi, io li ho comprati tutti). Ed è un peccato che si ristampi poco, e soprattutto che non se ne parli mai, perché Wallace, senza esagerazione, o meglio esagerando soltanto un po’, è un classico del Novecento.
Giornalista e romanziere, autore di teatro e persino poeta, grande tabagista e consumatore di tè, Edgar Wallace è l’uomo che coniugò il poliziesco col bizzarro e col surreale, l’inventore di King Kong, l’autore del ciclo di Sanders del fiume e delle tenebrose avventure dei Giusti, le cui imprese anticipano certe trame crudeli di Friedrich Dürrenmatt. Tra le due guerre fu uno degli scrittori più popolari del pianeta. Un giorno ricco sfondato, un altro giorno assediato dai creditori, Wallace viveva come scriveva, generosamente e al di sopra dei propri mezzi, a volte licenziando trame ricche d’invenzioni, altre volte scrivendo storie sciagurate, indegne di lui e del suo talento. Ma qualunque cosa scrivesse, romanzi perfetti come l’Asso di fiori o robette insulse come le avventure di Mr Reeder, Wallace era sempre al centro della scena. Come Hemingway, come Emilio Salgari, come Malraux e Junger, Wallace apparteneva infatti alla schiera degli autori che rivaleggiano in popolarità con i loro personaggi. Diresse film muti e film sonori, cercò di farsi eleggere deputato, fondò e affossò giornali. Era il D’Annunzio del feuilletton: un marchio di fabbrica, una visione del mondo.
Scriveva storie grottesche, livide e irrealistiche, popolate di straordinari criminali in guanti gialli e d’eroi spietati come bambini, maestri di cospirazione e di travestimento. Libri che non per caso si vendevano come il pane nella Germania di George Grosz, di Nosferatu, di Metropolis e dell’espressionismo. Bertolt Brecht, in particolare, fu uno dei suoi fan e non è così azzardato dire che le commedie bizzarre, macabre e atroci di Brecht, costruite intorno a personaggi iperbolici, allegorie visionarie al centro di trame allucinate, dovessero molto anche alle storie di Edgar Wallace, ossessive e stralunate come fiabe sadomaso, inquietanti come brutti sogni. Brecht e Wallace (che naturalmente non si somigliavano neanche un po’ sotto il profilo ideologico, l’uno intellettuale sottile, l’altro scrittore opportunista e diffidente nei confronti delle idee) nutrivano tuttavia una stessa concezione della bellezza, che per entrambi era un impasto di letteratura a sensazione, populismo e grand guignol. Sia l’uno che l’altro, inoltre, sono passati di moda, e per la stessa ragione: perché il mondo che raccontavano, l’inferno del XX secolo, con le sue ombre nette e spigolute, acute come voci in falsetto, è definitivamente tramontato e amen.
Wallace, a differenza di Conan Doyle, che mise al mondo Sherlock Holmes, un testimonial della modernità, non ha mai creato personaggi significativi e, a differenza (per dire) di Rafael Sabatini, ultimo rappresentante su questa terra della classica storia di cappa e spada, non reinventò e neppure rinfrescò un genere. Wallace e il suo plumbeo museo delle cere sono fenomeni strettamente legati al loro tempo. Come la svastica, i dischi a 78 giri, la falce e martello, i film di Erroll Flynn, i salti nel cerchio di fuoco. E come King Kong, mostro ed eroe romantico, il rospo che non si trasformò in principe ma che l’avrebbe meritato: l’unica creatura destinata all’immortalità tra quelle partorite dall’immaginazione di Wallace, autore di straordinari romanzi cubisti.
Diego Gabutti, ItaliaOggi 30/7/2014