Simone Sapienza, Il Garantista 30/7/2014, 30 luglio 2014
IMMIGRAZIONE, MAI PIÙ MORTI
«Il dato reale nessuno lo conosce, quello documentato dalla stampa, dal 1988 a oggi, lungo le varie frontiere europee, dice che sono ormai 20mila i morti accertati, il che significa che il dato reale è molto più alto, perché nessuno è in grado di sapere quanti siano i naufragi di cui non si è mai avuta notizia». A parlare è Gabriele Del Grande, scrittore e fondatore del blog Fortress Europe, che dal 2006 raccoglie le cifre (e spesso conta i morti) del fenomeno migratorio che interessa il Mediterraneo, ma non solo. «Certo che 20mila morti sulle coste europee è un dato che fa rabbrividire – aggiunge Del Grande intervistato per Fainotizia-it da Gaetano Veninata – se pensiamo che in tempi di pace il Mediterraneo è diventata una grande fossa comune, sono i caduti di una guerra mai dichiarata che si combatte di fatto in frontiera, ogni giorno, per impedire a poche migliaia di persone di entrare a casa nostra». Una casa però, quella europea, che ha 28 legislazioni, procedure e tempi diversi. È questo uno dei principali motivi del fallimento delle politiche nazionali.
Secondo Francesco Cherubini, ricercatore di diritto dell’Unione europea all’università Luiss “Guido Carli”, ormai è divenuta inudibile la necessità di affidare all’Ue tutti i poteri in materia di immigrazione, ma questo può essere fatto solo con una revisione dei trattati. «D’altra parte – commenta – la renitenza degli Stati membri a cedere sovranità su questo tema rende la politica europea monca e le competenze degli Stati scoordinate».
IL SEMESTRE A GUIDA ITALIANA
A luglio si è aperto il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea. Tra le priorità che il Governo ha inoltrato, a Bruxelles; crescita e occupazione, clima e energia, immigrazione. Che l’immigrazione avrebbe rappresentato il focus del semestre italiano Renzi lo aveva anticipato lo scorso aprile al summit Ue-Africa e lo ha confermato di recente il vice ministro degli Esteri, Lapo Pistelli. Tuttavia sull’effettivo potenziale del semestre europeo aleggiano diversi dubbi. «Con il Parlamento europeo nato dalle ultime elezioni non credo che assisteremo a delle riforme importanti», osserva Del Grande. Il problema, però, non riguarda semplicemente la composizione dell’assemblea. La presidenza italiana non garantisce certo una piena autonomia d’azione, poiché le decisioni più importanti sono prese a livello di Consiglio europeo. Il rischio, dunque, è giocare una partita persa in partenza. A illustrare con chiarezza la questione è Emma Benino, ex-ministro degli Esteri intervistata per FaiNotizia.it da Daniela Sala: «Su questo fenomeno difficilmente nel semestre europeo avremo una svolta normativa, per il semplice motivo che nei prossimi sei mesi le istituzioni europee sono in ricostruzione. La nuova Commissione entra in funzione il primo novembre, ammesso che tutte queste procedure vadano in porto. Potrà essere però un importante periodo di semina di priorità politiche. A sud del Mediterraneo – prosegue la leader Radicale – sono in movimento milioni di persone. Il primo passo è quello di accettare questo fenomeno composito non più come una continua emergenza ma come un elemento strutturale che ha vari componenti: economiche, umanitarie, sociali e di sicurezza. Si deve fare un passo avanti sulla comunitarizzazione almeno di certi elementi della politica d’immigrazione, superando i veti tetragoni degli Stati membri».
UN MARE NOSTRUM EUROPEO
Alla vigilia del semestre di presidenza italiana, Amnesty International Italia ha presentato le proprie “Raccomandazioni”. Il documento contiene un giudizio positivo sull’operazione Mare Nostrum, la missione militare e umanitaria decisa dal Governo Letta, in seguito al tragico naufragio di Lampedusa, con l’obiettivo di prestare soccorso ai migranti prima che possano ripetersi altre tragedie nel Mediterraneo. Sull’operazione Mare Nostrum è favorevole anche il giudizio di Gabriele Del Grande: «A fronte di 60mila arrivi da gennaio ad oggi, contiamo un centinaio di morti in totale: numeri molto bassi rispetto al 2011, ad esempio, quando in conseguenza della guerra in Libia arrivarono più di 50mila persone e ne morirono oltre 2mila».
In queste settimane il Governo italiano ha dichiarato che chiederà all’Ue di inserire Mare Nostrum nella dinamica di Frontex plus. Cioè la sostituzione della missione italiana attraverso il potenziamento dell’Agenzia europea nata nel 2005 per coordinare il pattugliamento delle frontiere degli Stati Ue. Sempre ammesso che si trovino le risorse necessarie. «Sarebbe meglio il contrario», obietta Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty Italia, «inserirei Frontex dentro l’operazione Mare Nostrum. L’ipotesi militare si è dimostrata fallimentare, se l’Ue e Frontex intendono applicare una politica che ponga la preoccupazione umanitaria al centro delle scelte delle forze di polizia – prosegue Rufini – sarebbe certamente un grosso passo in avanti».
UN SISTEMA DI ASILO UNICO
Ma, oltre al soccorso in mare, è l’intera gestione dei profughi a mostrare l’enorme arretratezza delle norme comunitarie. «Abbiamo delle convenzioni che non aiutano e che vanno riviste», spiega Emma Bonino, «In Italia, per esempio, in pochi chiedono l’asilo politico a causa dei vincoli imposti dalla Convenzione di Dublino». Quest’ultima stabilisce infatti che lo Stato membro competente all’esame della domanda d’asilo sia quello in cui il richiedente ha messo piede per la prima volta: poco importa che l’interessato abbia la famiglia a Berlino, a Stoccolma o Parigi. È una lotteria. Diritti e servizi cambiano a seconda della terra di approdo, ma non solo, A cambiare da paese a paese, infatti, sono le stesse chance di vedersi riconosciuto l’asilo politico.
Alcuni principi della Convenzione di Dublino sono stati rivisti di recente, ma solo parzialmente. Il semestre europeo potrebbe gettare le basi per un’ulteriore revisione, impossibile al momento. Questo del resto è uno dei punti di partenza di tutte le proposte avanzate dalle organizzazioni internazionali. «In questo momento – spiega ancora Del Grande – il ministro dell’Interno Alfano sta ponendo la questione in un modo che ha un po’ il sapore della commedia all’italiana. Da mesi ormai la polizia non identifica le persone che sbarcano in Sicilia e il copione è sempre uguale: centinaia siriani o eritrei arrivano e nel giro di 24 ore scappano dai centri di accoglienza, vanno a Catania, salgono sul primo treno per Milano e lì bastano poche ore intorno alla stazione centrale per trovare un passaggio in macchina a mille euro per la Germania o la Svezia». E i dati di Eurostat lo confermano, se è vero che nel 2013 il più alto numero di richiedenti asilo è stato registrato in Germania (127mila), seguita da Francia (65mila), Svezia (54mila), Regno Unito (30mila) e, infine, Italia (28mila),
Il primo obiettivo per molti dunque è riformare Dublino e ottenere dall’Europa una condivisione della responsabilità, in pratica un sistema di asilo unico, che preveda la possibilità di fare domanda direttamente all’Unione europea.
PRESIDI UE NEI PAESI DI PARTENZA
La seconda proposta di difficilissima realizzazione ma che prende sempre più quota all’interno del dibattito europeo è avanzata da varie organizzazioni di frontiera, come l’Unhcr e l’Oim, e in Italia dal presidente della Commissione diritti umani del Senato, Luigi Manconi. L’idea è quella di creare dei corridoi umanitari insieme all’istituzione di screening centers di controllo e smistamento delle domande di asilo e immigrazione, già nei paesi di partenza o di transito.
«Potrebbero farlo le ambasciate dei paesi dell’Unione o nelle delegazioni dell’Ue negli Stati terzi» spiega Gianni Rufini. «È assurdo che un cittadino siriano debba rischiare la vita in mare per arrivare in Europa, dovrebbe avere una corsia preferenziale dentro le ambasciate di qualsiasi Paese del mondo, in particolare di quelli europei», conferma Del Grande. Sulla proposta interviene anche Emma Benino: «Potrebbe partire come progetto pilota in alcuni paesi, ma non esistono soluzioni miracolose, che valgono in tutte le situazioni. C’è anche un problema di sicurezza in diverse realtà, come ad esempio quella libica, che rimane uno dei punti principali di partenza, dove non senza difficoltà vedrei file di persone davanti a degli uffici, esposte a milizie e ai trafficanti di esseri umani che da questa “legalizzazione” verrebbero duramente colpiti».
@simonesapienza