Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 30/7/2014, 30 luglio 2014
«SETTEMILA EURO PER 100 MILA DI SCONTO» FISCO, ECCO IL TARIFFARIO DELLE TANGENTI
ROMA — Loro lo chiamavano il «sistema Costantini» dal nome dell’ispettore incaricato di chiedere le «mazzette». E tanto basta per comprendere come l’episodio di concussione che li ha fatti finire in carcere possa essere soltanto il primo di una lunga serie di illeciti. Perché in realtà Giuseppe Costantini e Gian Piero Giliberti, i due «verificatori» dell’Agenzia dell’Entrate arrestati ieri per ordine del giudice di Roma Simonetta D’Alessandro, sarebbero riusciti a tenere in scacco imprenditori e commercianti applicando un metodo sperimentato e adottato in moltissimi altri casi. Una prassi che potrebbe riguardare anche altre città. La percentuale del 7 per cento valeva per tutti: vuol dire 7.000 euro di tangente ogni 100 mila euro di sconto applicato al contribuente. E adesso le indagini del Nucleo di polizia tributaria guidato dal colonnello Cosimo Di Gesù si concentrano su tutte le pratiche acquisite non soltanto presso le case dei due indagati, ma anche negli uffici dell’Agenzia esplorando legami e contatti dei dipendenti. Lo scrive chiaramente il Gip nell’ordinanza di custodia quando evidenzia come i fatti contestati «sembrano rappresentare soltanto la “punta di un iceberg”. Le condotte tenute dagli agenti, le loro comunicazioni percepite all’esito di intercettazioni telefoniche e ambientali, nonché la documentazione rinvenuta nelle rispettive abitazioni lasciano infatti trasparire la natura sistematica e collaudata del loro agire illecito che, lungi dall’essere circoscritta alla vicenda odierna, sembra reiterare un modulo già sperimentato in relazione a diversi esercenti commerciali». Nell’elenco già figurano alcune società titolari di ristoranti come «Capo Boi» e «Gallura» e punti di ritrovo come il «Parnaso» ai Parioli. Le verifiche sono tuttora in corso e riguardano numerosi imprenditori, ma anche la «rete» di altri complici interni all’Agenzia che potrebbero aver utilizzato identico sistema di accertamento patrimoniale e fiscale.
La catena di ristoranti
Le indagini affidate al Gico durano appena un mese. Tanto è infatti il periodo di tempo trascorso da quando Marco Pica, titolare di una catena di ristoranti della Capitale — da Dolce a Mezzo passando per altri locali alla moda — presenta una denuncia alla Guardia di Finanza spiegando di aver subito minacce relative a una presunta violazione fiscale che in realtà non è mai stata commessa. Analoga segnalazione arriva alla Procura di Roma da parte del vertice dell’Agenzia e il pubblico ministero Mario Palazzi avvia subito i controlli ottenendo anche l’autorizzazione a intercettare telefoni e uffici dei due ispettori. L’imprenditore racconta infatti che la prima contestazione ammontava a un milione e 132 mila euro, poi era stata ridotta a 560 mila euro «se avessi versato sette, ottomila euro a fronte di ogni 100 mila euro di sconto, anche se in un successivo incontro mi veniva chiarito che con una dazione di 24 mila euro si poteva giungere alla notifica di un verbale conclusivo di 140 mila euro per ricavi non dichiarati al fisco» .
La grammatura di pasta
Incredibile appare il «metodo» applicato per stabilire il danno erariale. Spiega Pica: «Mi dissero che avrebbero applicato il “metodo Costantini” basato sul rilevamento del totale della pasta acquistata nell’anno, rapportata ai pasti somministrati. In base ai grammi avrebbero ricostruito i ricavi del ristorante spiegandomi che le tabelle da loro utilizzate prevedevano per un primo piatto 70 grammi di riso, 90 di pasta secca e 100 di pasta all’uovo e quando replicavo che le porzioni non corrispondevano alla nostra realtà, rispondevano di essersi basati sulle foto dei primi pubblicate sulla pagina internet di un mio ristorante sul motore di ricerca “Tripadvisor”». È soltanto il primo approccio. In realtà i due ispettori chiedono di poter avere contatti con il commercialista che cura gli interessi della società. L’incontro avviene il 21 giugno scorso presso il Circolo Canottieri Roma. Gli uomini del Gico sono appostati registrano ogni passaggio. La trattativa è avviata, si negozia sul prezzo delle tangenti da versare e alla fine si fissa anche la data per la consegna. Durante le telefonate, chiariscono i due agenti del Fisco, non si deve parlare di soldi e così nelle comunicazioni si fa generico riferimento a «documenti» da consegnare.
Il doppio verbale
Il 24 giugno scattano le perquisizioni. Mentre sono ancora nella caserma della Guardia di Finanza i due parlano al telefono e Giliberti rassicura l’amico: «È annata bene, meno male che i soldi non l’ho presi. Quello me li voleva da’ per forza». In realtà le verifiche hanno consentito di accertare che il «sistema» prevedeva — nel momento in cui ci fosse il rischio di essere denunciati — la firma di un verbale fasullo di accertamento che potesse dimostrare lo svolgimento dell’attività regolare. Una precauzione che evidentemente non è stata sufficiente.