Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  luglio 30 Mercoledì calendario

LO STIPENDIO DEI TOP MANAGER? È 36 VOLTE QUELLO DEI LORO DIPENDENTI

Privato «batte» pubblico, ma soprattutto il primato va alla manifattura: l’Italia dei grandi gruppi conferma che la ripresa del Paese deve affidarsi alla fabbrica. Lo illustra l’ultima analisi di R&S-Mediobanca sui 50 big quotati. Dal rapporto arriva poi un’altra conferma significative: nelle imprese è maxi la distanza fra le remunerazioni, in media quelle delle figure di vertice sono pari a 36,4 volte il costo del lavoro, in pratica una vita professionale. L’«utopia» di Adriano Olivetti («nessuno guadagni più di 10 volte il salario minimo») è certo molto lontana: il divario massimo in aziende industriali fra i compensi cash (senza stock option) di figure apicali e il costo medio per dipendente è pari a 278 volte. Per un presidente e amministratore delegato il multiplo medio è 82, il «semplice» consigliere delegato guadagna 45,7 volte di più e un direttore generale 21,1.
Il fatturato dei superbig è calato del 5% nel 2013 e del 2,8% nei primi tre mesi di quest’anno. La frenata sarebbe però stata più ampia senza il contributo della manifattura privata. L’anno scorso il calo dei ricavi per i maggiori gruppi pubblici, soprattutto energia e utility, è stato del 7,7% mentre i big privati hanno limitato la contrazione all’1,9% grazie al manifatturiero, che ha registrato una ripresa dell’1,5%. Molto è dovuto all’effetto Fiat-Chrysler: «senza» le private avrebbero registrato una flessione dello 0,3%. Nella prima parte 2014 il pubblico cala del 7,6% mentre il fatturato dei privati sale del 5,7%.
La manifattura esporta quasi tutto — per quella privata il 90,7% del giro d’affari è all’estero — e cambia la geografia dei mercati: l’Italia ha perso il 27%, il resto dell’Europa è cresciuto del 14%. Sempre per effetto Fiat-Chrysler sono quadruplicate le vendite negli Usa, mentre sono lievitate del 70% in Asia e resto del mondo. Ciò significa che nel 2013 i nostri big industriali hanno realizzato il 49% del fatturato nelle Americhe, il 35% in Europa, e meno del 10% è venuto dall’Italia. Asia e resto del mondo valgono il 16%.
L’occupazione è ferma. E, da notare, nel pubblico poco meno di un dipendente su due lavora all’estero mentre nella manifattura pubblica si sale a tre su quattro.
Anche se rallentano il passo, i campioni per utili e dividendi restano i big pubblici: fra il 2009 e il 2013 l’Eni ha cumulato un risultato di 30,5 miliardi e ne ha «consegnati» allo Stato 5,7, l’Enel ha guadagnato 18,2 miliardi e ne ha versati 3,1 all’azionista statale: il rapporto dividendo-prezzo medio è stato rispettivamente del 6,6 e 6,5% (per Terna e Snam è stato del 7 e del 6,7%).
Infine nell’annuario dei primi 50 big vengono registrate le cariche cumulate nei board dai super-manager. Al top ci sono Sergio Marchionne con sette, tutte nel gruppo Exor; Monica Mondardini sei, di cui cinque in Cir e una in Atlantia; Gilberto Benetton ne cumula quattro interne a Edizione e un posto in Mediobanca; cinque cariche anche per Francesco Caltagirone, quattro nel suo gruppo e una in Acea.