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 2014  luglio 30 Mercoledì calendario

LE RELAZIONI PERICOLOSE


«Miei cari genitori, oggi non desidero altro se non dirvi quanto siete presenti nei miei pensieri e quanto vi voglio bene». Sembra la lettera di un figlio sereno, ma non lo è. Quando la scrive, nell’estate 1878, Robert Louis Stevenson si trova in Francia, non ha ancora 28 anni e nubi nere si affollano sempre più sul rapporto con suo padre Thomas. L’ombra lugubre del vecchio ingegnere e costruttore di fari, rigido seguace del presbiterianesimo scozzese, si proietta sulla non lunga esistenza del figlio fino a diventare un’ossessione. Thomas Stevenson vuole un erede ingegnere secondo la tradizione familiare e alla fine accetta che faccia lo scrittore, non prima di avergli imposto di studiare legge. Vuole un figlio osservante e però non si rassegna a un figlio che considera un ateo «miscredente» e per di più «senza cuore». Anche la madre, Margaret Isabella Balfour, figlia di un reverendo, fragile di nervi, «alta, sottile, aquilina, elegante», non gli risparmia i sensi di colpa, anche se delega al marito e alla governante l’educazione del figlio unico, a cui ha regalato i suoi stessi occhi azzurri e la sua
stessa malattia ai polmoni, eredità di famiglia. A nulla serviranno le difese di Louis, che crede in una religione laica, senza dogmi, divieti, castighi. Louis è un inquieto perennemente in preda alla malinconia, aggravata dalla tisi precoce: a diciott’anni — scrive Luciana Pirè nella bella prefazione all’edizione italiana delle lettere di Stevenson (Archinto) — «ha disputato diverse partite amichevoli con la morte, “l’abitudine a questo gioco” fa già parte della sua natura». Fatto sta che saranno la salute e il padre i rovelli di cui non riuscirà a liberarsi. Nelle lettere lo troviamo sempre in bilico tra l’attaccamento malgré tout alla famiglia d’origine, accessi liberatori («Amore alle fantesche! All’inferno il Papa»), voglia di fuga e di trasgressione, piaceri basici, le taverne, il fumo, i bordelli, gli amori faticosamente sottratti all’ostilità della famiglia. Due donne in particolare, più anziane di lui, presenze quasi materne. A Frances Sitwell, conosciuta nel 1873, 34 anni, bellissima, colta, in crisi matrimoniale, provata dalla morte di un figlio, scrive lunghe lettere di autocoscienza: su di lei rovescia per tre anni le sue ansie. La chiama «cara amica», «madonna», persino «madre», mentre chiama «Madame» mamma Margaret. Alla stessa Frances comunica nel ’75 di aver conosciuto, in Francia, Fanny Osbourne, un’americana trentaseienne in attesa di divorzio e con due figli. La sposerà, la raggiungerà negli Stati Uniti e lì sarà raggiunto a sua volta dagli strali del costruttore di fari.
Quando trova varchi nella lugubre intransigenza paterna, Louis respira. Gli basta una camminata con lui per illudersi che qualcosa possa cambiare: «È stata una giornata incantevole... Dopo pranzo siamo scesi sulla costa per passeggiare un po’ lungo la riva tra Granton e Gramont (...). Ce ne siamo rimasti stesi a lungo sulla spiaggia, con lo sciabordio del mare tra i sassi (...). Sono lieto di poter dire che la pace di questa giornata e lo scenario non sono stati turbati da malumori; credo che le cose tra noi vadano meglio». Si sbaglia. Passano pochi giorni e confessa che conversare con suo padre è «come urlare a un mare sordo o al diavolo in persona». È un «inferno sconfinato» a dividerli: Thomas gli rinfaccia che non avrebbe mai dovuto sposarsi per evitare di mettere al mondo un nemico di Gesù, un essere ingrato a chi si è fatto in quattro per garantirgli una vita in grazia di Dio. Poi tutta la rabbia converge verso Bob, un amico di Louis che diventa il
capro espiatorio, la «gramigna» da estirpare. La scena madre che scatena l’invettiva è la scoperta di una «Società segreta» dissidente e antireligiosa che, più a scopo burlesco che con intenzioni serie, il figlio ha messo su con alcuni compagni, tra cui Bob. Pittore bohémien e spirito sovversivo, sarà lui a spingere il futuro scrittore a fuggire: fuggiranno insieme dalla claustrofobica Edimburgo prima a Parigi e poi verso le colonie artistiche di Barbizon e Grez. Ne verranno altri anatemi.
Nemmeno i primi guadagni e i primi successi, L’isola del tesoro è del 1883, allentano il risentimento del capofamiglia, che si dice costretto alla rassegnazione. Altro che rassegnazione, gli scrive Louis, dopo tanta diffidenza dovrebbe «suonare il piffero con quanto fiato ha in gola». Scrivendo alla madre, il «miscredente» Louis ironizza: «Con grande dispiacere stamattina mio padre mi ha propinato un’abbondante dose di Hyde». Poi le cose cambiano di colpo, quando il «Signor Avvilimento» comincia a morire, nel 1887. La morte, l’8 maggio, porterà ripensamenti e persino rimorsi. A distanza di tre mesi Stevenson si imbarcherà su una nave in rotta verso le isole Samoa. Lasciando per sempre quel «purgatorio meteorologico» che è stata Edimburgo.