Leonard Berberi, Corriere della Sera 30/7/2014, 30 luglio 2014
LA DONNA CHE HA CREATO LA PRIMA PIANTA ROBOT PER RIPULIRE L’AMBIENTE
La «donna dei robot» è bionda, ha 46 anni, è nata a Livorno («ma sono originaria della provincia»), inizia come biologa marina, fa un master sulla gestione ambientale, quindi finisce a svolgere uno stage in un gigante delle assicurazioni, poi vira verso chip e sensori. E oltre a coordinare il Centro di micro bio-robotica dell’Istituto italiano di tecnologia, Barbara Mazzolai guida pure un team internazionale che ha realizzato la prima pianta-robot al mondo. Con possibili applicazioni che vanno dal monitoraggio dall’ambiente al corpo umano fino allo spazio, se è vero che anche l’Esa, l’ente spaziale europeo, ha chiesto informazioni in più sul progetto.
«Ma gli inizi non sono stati facili», premette. «Quando ho iniziato al laboratorio di robotica della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa ero l’unica biologa in mezzo a tanti ingegneri: non ci capivamo, usavamo linguaggi diversi sullo stesso argomento. Anche l’approccio era diverso». Poi le cose sono via via migliorate. «Era una sfida nuova per me, magari frustrante in alcuni momenti, però mi piaceva».
Il percorso di Mazzolai — questi giorni impegnata a Milano nella conferenza internazionale «Living machines» — parte dai sensori che rilevano l’inquinamento ambientale e arriva alla robotica. «Uno dei primi progetti è “Dustbot”», ricorda. Robot netturbini che si presentano davanti casa dopo aver ricevuto la telefonata. «E intanto, proprio perché vanno in giro ad altezza uomo, raccolgono pure campioni d’aria per capire cosa respirano gli abitanti del quartiere». Il lavoro le vale, nel 2010, il «Germoglio d’oro» del premio «Marisa Bellisario» con il titolo «Donne motore per lo sviluppo». Due anni dopo inizia il progetto «Plantoide» — finanziato anche dalla Commissione europea — dove guida un team internazionale (oltre all’Iit ci sono l’Università di Firenze, l’Istituto di bioingegneria della Catalogna di Barcellona e l’Epsl, il Politecnico federale di Losanna) che lavora alla creazione di «plantoidi»: «Per ora lavoriamo su due robot capaci di imitare il comportamento delle radici. Ci serve non solo per capire come “ragionano” le piante, ma anche per sfruttare gli aggeggi in contesti ambientali difficili».
I due esserini artificiali «vivono» come i vegetali. E crescono anche. «Se le piante aggiungono cellule alle estremità delle radici per non morire in ambienti difficili come il sottosuolo, allo stesso modo si comportano anche i nostri robot: solo che al posto delle cellule aggiungono materiale realizzato da una mini stampante 3D all’interno». Insomma, al limite della fantascienza.
Mai avuto difficoltà in quanto donna? Mazzolai ci pensa qualche secondo. «Nemmeno una. Forse sono stata fortunata. In Italia mi trovo bene, e anche se ho fatto esperienze all’estero il mio mondo è dove sono nata». Niente cervello in fuga. Però per molti qui è difficile lavorare. «Nel nostro Paese è possibile fare ricerca e nel campo della robotica siamo un’eccellenza», replica. «Ma forse non siamo bravi come gli altri a pubblicizzarlo».
Poi, per Mazzolai, c’è la vita fuori dal laboratorio. Dove l’aspetta un compagno. E un po’ di tempo libero. «Mi piace leggere, soprattutto i libri gialli», racconta. «In questo momento tra le mani ho Il caso Rembrandt di Daniel Silva». Non disdegna la tv, dove — nemmeno a dirlo — guarda i documentari naturalistici e Superquark . E siccome il suo lavoro è un continuo viaggio tra realtà e finzione, ama i film di fantascienza. Anche se, per una sorta di legge del contrappasso, dice di avere qualche problema con il telefonino. «Mi sembra viva di vita propria».