Alessandra Arachi, Corriere della Sera 30/7/2014, 30 luglio 2014
«L’UNITÀ» SOSPENDE LE PUBBLICAZIONI NELL’ULTIMO NUMERO LE PAGINE IN BIANCO
ROMA — L’Unità sospende le pubblicazioni: «A far data dal primo agosto», recita un comunicato dei liquidatori. Ma la verità è che la redazione non ce la fa a scrivere anche il giornale del 30 luglio. E così quello di oggi è l’ultimo numero in edicola del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, novant’anni fa: «Hanno ucciso l’Unità», il titolo che non lascia spazio alla speranza, in un giornale dove le pagine saranno bianche, tranne la prima e la seconda, per pubblicare i comunicati e una vignetta di Staino, e l’ultima, dove saranno messe in fila tutte le firme dei redattori.
L’assemblea dei giornalisti ieri pomeriggio è stata, forse, la più triste della storia: un’ottantina di lavoratori rimarranno senza lavoro. Sono tre mesi che si andava trascinando l’agonia. Ieri pomeriggio l’assemblea dei soci ha fatto sperare in un colpo di reni. Ma nulla di fatto. Anche se in serata è stato il premier Matteo Renzi a mandare un segnale positivo, ritwittando le parole del tesoriere del Pd Francesco Bonifazi, per il quale il giornale fondato da Antonio Gramsci è stato sospeso «non per colpa del Pd ma di chi ha fatto debiti per 30 milioni ma noi manteniamo la promessa: riapriremo l’Unità». In un altro tweet Renzi ha risposto a un follower per il quale l’Unità non deve essere nella disponibilità del Pd e di Renzi. «Purtroppo non lo è — ha ribattuto Renzi — se lo fosse non chiuderebbe».
Il comitato di redazione nel pomeriggio era uscito con un comunicato laconico: «Continueremo a combattere guardandoci anche dal fuoco amico». Perché le voci su come si fosse svolta l’assemblea dei soci si sono rincorse con rimbalzi di accuse incrociate. La certezza è che a guidare l’assemblea sono stati Emanuele D’Innella e Franco Papa, i due liquidatori. L’altra certezza è che non si è trovato un accordo.
Il resto si può ricostruire dai verbali dell’assemblea. Era stato calcolato che con un milione e 600 mila euro si sarebbe tirato avanti con le pubblicazioni per un paio di mesi. Si chiedeva perciò un finanziamento da parte dei soci. Matteo Fago, l’azionista di maggioranza, avrebbe detto: «Io metto i soldi se li mettono gli altri soci». Ma la mano sul portafoglio non l’ha messa nessuno.
A questo punto i due liquidatori hanno portato una proposta: trasferire la società Nie (che edita l’Unità) su un’altra società costituita ad hoc e facente capo a Fago, una sorta di affitto di sei mesi rinnovabile per altri sei mesi con, alla fine, un’opzione di acquisto per una cifra non definita. Meglio, la cifra veniva definita soltanto per il limite superiore: «fino a 12 milioni».
«Un’offerta che non aveva i requisiti minimi per essere accolta: non un piano industriale, non un piano editoriale, nessuna indicava un valore certo di acquisto della testata. Un’azienda con 30 milioni di debiti non si salva con un affitto di 85 mila euro al mese», dice Bonifazi.
Intanto da domani l’Unità non sarà più in edicola. Nel pomeriggio si sono susseguiti a valanga i comunicati di solidarietà, da parte di diversi partiti. Il leader della Cgil Susanna Camusso ha fatto un appello affinché si occupino della questione dell’Unità i dirigenti del Pd. E Lorenzo Guerini, vicesegretario dei democratici ha dichiarato, con veemenza: «L’Unità è un patrimonio di tutto il paese che non va disperso».
Sempre dal Pd si sono levate altre voci. Massimo D’Alema, tra queste: «È una notizia scioccante. Voglio sperare che si tratti di una chiusura tecnica in vista della partenza del nuovo progetto». Anche le voci di Stefano Fassina, Gianni Cuperlo, Alfredo D’Attorre: «È grave la decisione dell’assemblea dei soci di sospendere le pubblicazioni dell’Unità. È un danno pesante al pluralismo dell’informazione e al dibattito culturale e politico. È una ferita profonda per il Pd».
Pure il governatore della Lombardia Roberto Maroni è intervenuto, con una frase su twitter: «L’annunciata chiusura dell’Unità è una brutta notizia per la libertà di stampa».