Angelo De Mattia, MilanoFinanza 29/7/2014, 29 luglio 2014
COL PIL A ZERO VIRGOLA IL DEF È UN LIBRO DEI SOGNI OCCORRONO MISURE DRASTICHE. E IL TAGLIADEBITO
L’ipotesi di crescita zero nel 2014 non è molto lontana dal verificarsi. Comunque zero o +0,2 o +0,3% dovrebbero essere motivo d’allarme perché, se è vero che i cittadini possono reagire male alle lungaggini sulla riforma costituzionale, non è altrettanto vero ciò che Matteo Renzi ha detto, e cioè che +0,2, +0,3 e anche +1,5% del Pil per gli italiani sarebbero ininfluenti. Nell’immediato, e per i meno addetti ai lavori, forse sarebbe così. Poi però tutti ne subirebbero gli impatti sul reddito, sul lavoro, gli investimenti. Il prossimo 5 agosto ricorre l’anniversario della famosa lettera Trichet-Draghi sulla necessità di una dura manovra di politica economica e di finanza pubblica quale presupposto, di fatto, perché la Bce potesse continuare ad acquistare titoli pubblici italiani sul mercato secondario. Sappiamo come quella vicenda di tre anni fa si concluse ed è inutile ripercorrere gli sviluppi successivi. Oggi c’è persino chi ipotizza una nuova lettera della Banca centrale. Tale eventualità dovrebbe essere lontana, ma ciò non significa che possiamo ritenerci al sicuro. Il giorno successivo all’anniversario l’Istat rilascerà, il 6 agosto, il dato del pil nel secondo trimestre. Si potranno allora stimare meglio i probabili sviluppi nell’anno e, quasi certamente, si dovrà confermare la necessità di rivedere nettamente al ribasso la previsione di aumento (ora a +0,8%) alla base del Def, il cui aggiornamento è previsto a settembre insieme con l’esame del percorso verso gli obiettivi di medio termine fissati in sede europea. È discutibile se un drastico abbassamento delle stime di crescita debba comportare un mero aggiornamento oppure la revisione dell’intera struttura del Def. Certo, dovrà essere un’attenta riconsiderazione. E non basterà affermare che l’incertezza e la debolezza della crescita caratterizzano l’intera zona-euro. Anche perché ogni volta che si verifica un quadro abbastanza omogeneo, l’Italia si colloca in una zona in cui sono più accentuati i dati insoddisfacenti. Non basta continuare a negare a ogni pie’ sospinto che non si vareranno manovre correttive, pur in presenza del previsto peggioramento, a meno che non si pensi di trasferire, attraverso meccanismi contabili, il maggior onere al 2015. Si ipotizza da alcuni che, a seguito della contrazione del denominatore, il rapporto deficit/pil non potrà essere il 2,6% indicato nel Def, ma arriverà al 3 o al 3,1%. I parametri sarebbero comunque rispettati, ma si dovrebbe dire addio a tutti i discorsi finora fatti, innanzitutto in ambito governativo, sull’impiego delle possibilità derivanti dalla differenza tra il 2,6 e il 3% con il ricorso alla clausola di flessibilità per investimenti. Altri ipotizzano che a compensare il maggiore onere derivante dal dato della crescita valga il minore peso per interessi sul debito pubblico conseguente al calo dello spread. Siamo, comunque, di fronte a interventi tappabuchi, mentre occorrerebbero, per l’anno in corso e per la preparazione della legge di Stabilità entro il prossimo 15 ottobre, un approccio organico e una manovra incisiva (che non significa correttiva). Soprattutto per la legge di Stabilità sarà necessario reperire risorse tra i 20 e i 23 miliardi e risulterà non poco difficile fare leva principalmente sul taglio della spesa. La sensazione è che a una parte del governo, tutta concentrata sulla riforma della Costituzione, sfugga in questa fase la delicatezza della situazione e degli impegni che si prospettano, a cominciare dal pareggio strutturale di bilancio, rinviato al 2016 - ma ancora sub iudice a livello europeo – e dall’ottemperanza, pure in funzione di quell’anno, al Fiscal compact. Con un debito pubblico che marciasse verso il 135% del pil, il rischio di sanzioni comunitarie sarebbe fondato, pur dovendosi tener conto del ciclo. Per l’osservanza della regola del debito, occorrerebbe una crescita nominale del 3%, al fine di evitare una pesante manovra di decine di miliardi. Ma il conseguimento di tale crescita, con un’inflazione allo 0,3%, è illusorio. Il peso dei previsti fattori attenuanti – debito e risparmio privati, sostenibilità previdenziale, in particolare – non può riequilibrare la parte mancante per la conformità alla regola. L’introito programmato delle privatizzazioni – fissato nello 0,7% del pil – è destinato a ridimensionarsi in considerazione del rinvio della quotazione in Borsa di Poste spa quale passaggio necessario per il collocamento sul mercato del 40% del capitale. Insomma, vista dai diversi angoli visuali, la situazione richiederebbe misure straordinarie, interne ed europee. Alcune di queste dovrebbero riguardare l’intera Unione. Dovrebbe poter valere la ricorrenza di circostanze eccezionali previste dall’art.122 del Trattato Ue. Ma poi è all’interno che con misure incisive bisogna aggredire i problemi della produttività totale dei fattori, della competitività, dell’innovazione e dell’occupazione. Occorre raccordare il medio-lungo termine con misure urgenti, con effetti a breve. È altresì importante affrontare una buona volta il tema del taglio del debito. Non ci si può, per tutto, affidare ancora una volta a misure straordinarie della Bce, che è chiamata a continuare a fare la propria parte, ma non può proseguire in una azione di supplenza. Occorre fare presto. Serve molto poco predisporre una squadra di economisti per Palazzo Chigi che, magari, litigheranno con il Tesoro. È ora di agire. La campana suona anche per chi può vantare un consenso elettorale del 41% circa.
Angelo De Mattia, MilanoFinanza 29/7/2014