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 2014  luglio 29 Martedì calendario

ATTACCAVA LA MAFIA IN TV. VIVEVA IN UNA ZONA MAFIOSA. LO AMMAZZANO IL PM INDAGA LA MAFIA? NO, LA MOGLIE E L’AMICO. CHE NON C’ENTRAVANO

Mauro Rostagno, assassinato dalla mafia nel 1988, è un ex leader del sessantotto all’Università di Trento. Amico del giovane Renato Curcio, è tra i dirigenti di Lotta continua nei primi settanta e poi, col riflusso, fonda il centro culturale Macondo a Milano e s’unisce in India agli «arancioni» di Bhagwan Shree Rajneesh, quindi passa a Saman, una comunità per il recupero dei tossicodipendenti governata con stile santonesco da Vincenzo Cardella, ex editore e direttore del settimanale ABC e della rivista cochon Le Ore, grande amico di Bettino Craxi, uno dei pochissimi che continuano a dichiararsi tali anche dopo il fattaccio.
Volto pubblico di quella che ha tutta l’aria d’essere una setta, Rostagno si occupa della comunità in Sicilia, a Valderice, nei pressi di Trapani, dove conduce anche un programma televisivo per conto d’una temeraria emittente locale. Ogni giorno, in tv, non solo attacca frontalmente la mafia ma la prende anche un po’ per il naso (com’è inevitabile che sia, dati i personaggi). Quando un brutto giorno, il 26 settembre 1988, Rostagno viene ucciso a colpi di pistola e di fucile mentre sta rincasando alla guida della sua automobile, quale pista pensate che seguano magistrati e poliziotti? Quella mafiosa? No, sbagliato. Sono accusati dell’omicidio prima un ex ospite di Saman che aveva avuto una liaison con la moglie di Rostagno, poi Vincenzo Cardella al quale viene imputato un traffico d’armi internazionale di cui l’ex leader di Lotta continua avrebbe avuto sentore, quindi sono accusati dell’omicidio altri ex di Lotta continua (che l’avrebbero ucciso, si disse, affinché non rivelasse la verità sull’assassinio del Commissario Calabresi nel 1972) e infine viene accusata la sua stessa signora, che in combutta col perfido Nardella avrebbe liquidato il marito.
Sembra di sognare, ma la mafia non viene mai indagata, i boss locali che Rostagno attaccava pubblicamente nel suo programma televisivo non vengono neanche nominati, quando naturalmente è stata proprio la mafia, com’è stato stabilito da un processo concluso 26 anni dopo l’omicidio, a uccidere Rostagno, per i suoi ripetuti sgarbi e perché il mafioso è quello che è. Adriano Sofri, che di Mauro Rostagno fu amico e compagno d’armi, racconta in un libro molto bello e commovente, Reagì Mauro Rostagno sorridendo, Sellerio 2014, pp. 168, 12,00 euro, ebook 8,49 euro, la storia di questa tipica (purtroppo per noi) avventura giudiziaria italiana.
Un pentito, scattando sull’attenti: «Sì, con tutti quelli che mi vogliono chiamare io vado. [_] Per me è normale che quando una P.G. costituita, lo Stato costituito mi chiama, io rispondo». Un imputato, serafico: «Quando mi hanno arrestato io ci avevo una Smith Wesson 38 e la pistola era pulita, nel senso andavamo in giro diciamo per emergenza, se in quel momento magari ci capitava sotto tiro qualcuno di persone che dovevano essere eliminate». Ancora un collaboratore di giustizia: «Dodici giorni prima di Mauro era stato assassinato dalla mafia trapanese un giudice in pensione, Alberto Giacomelli: perché, raccontò il collaboratore Milazzo, «era arrivato l’ordine d’uccidere un giudice qualsiasi».
Mauro Rostagno, un sovversivo naturale, devoto alle culture degli anni sessanta e all’ironia, raccontava la mafia, ricorda Adriano Sofri, con un sorriso. Non è il modo in cui di solito si racconta la mafia, benché un tempo fosse il solo modo plausibile ed efficace di raccontarla, come sa chiunque abbia visto anche un solo film di Franco e Ciccio. Immagino che il sorriso di Rostagno fosse un sorriso leggermente inquieto, come quando s’assiste con allegria e con orrore a uno spettacolo tragico e grottesco insieme: il Male, e contemporaneamente la sua parodia.
Diego Gabutti, ItaliaOggi 29/7/2014