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 2014  luglio 29 Martedì calendario

L’EQUILIBRIO TRA POLITICA E PROCURE

L’Italia ha digerito l’assoluzione di Berlusconi un po’ troppo in fretta. Non solo se n’è parlato per uno o due giorni e poi si è passati oltre. Ma quando se n’è parlato molti commenti si sono rivolti più al futuro che al passato: la sentenza milanese come momento conclusivo di una stagione catastrofica, la «guerra civile» fra berlusconiani e antiberlusconiani, e come occasione straordinaria per aprire finalmente una nuova fase che – si spera – sarà di rinnovamento istituzionale e politico.
Per carità: date le condizioni dell’Italia, guardare al futuro è più che ragionevole. I passaggi storici rimossi troppo velocemente, però, quasi sempre non è che scompaiano davvero – piuttosto finiscono nel «subconscio pubblico», per così dire, di un Paese. Ed è proprio in quel subconscio che la devastante crisi di governo dell’autunno del 2011 rischia ora di sprofondare.
Vi si troverebbe in ottima compagnia, del resto: i nostri seminterrati sono fittamente popolati di ipocrisie e capri espiatori, esagerazioni e reticenze. Basti solo pensare alla stagione di Tangentopoli, con la quale non abbiamo ancora neppure cominciato a fare i conti, e a cui del resto la crisi del berlusconismo è per tanti versi affine. Proprio perché il «rimosso della Repubblica» è così robusto, tuttavia, forse sarebbe meglio evitare di arricchirlo ulteriormente. Anche perché i seminterrati storici talvolta rigurgitano il proprio contenuto in superficie. E quando capita, è raro che sia un bello spettacolo.
Il collasso del quarto governo Berlusconi, a oggi il nostro ultimo esecutivo eletto, è stato dovuto in primo luogo al fallimento politico del centro destra. Le tesi complottiste che circolano nell’entourage berlusconiano e lo spingono a chiedere un’inchiesta parlamentare cercano invano di rimuovere questo dato di fatto, occultandolo sotto l’ombra di tre capri espiatori – uno a Roma, uno a Milano e uno a Bruxelles. Allo stesso modo, non si può negare che il fallimento del centro destra sia dipeso anche dal progressivo ed evidente logorarsi della sua leadership. E che quel logoramento, a sua volta, si sia intrecciato strettamente con i comportamenti personali di Berlusconi – che, se non altro per la scala sulla quale si sono prodotti, hanno acquistato rilevanza politica.
Una volta che tutto questo sia stato detto chiaramente, però – e pure al netto delle «rivelazioni» dell’ex segretario del Tesoro Usa Timothy Geithner sulla parte brussellese del «complotto», che qualche riflessione in più sulla nostra sovranità l’avrebbero meritata –, resta anche vero che il fallimento del centro destra e del suo leader è stato per lo meno agevolato, sebbene non determinato, da un’iniziativa giudiziaria. Che quell’iniziativa ha consentito di rendere pubbliche conversazioni private e dettagli minuziosi sui comportamenti personali del presidente del Consiglio – conversazioni e dettagli che, concesso pure il valore politico di quei comportamenti, è indegno di un Paese civile siano stati resi pubblici. Che la diffusione di queste notizie ha non poco danneggiato l’Italia in un momento delicatissimo. E che infine – anche se attendiamo ancora le motivazioni della sentenza e poi la decisione della Cassazione – quell’iniziativa giudiziaria è stata fatta a pezzi dalla corte d’appello di Milano.
Se manchiamo di riflettere compiutamente su questo nodo storico finiamo per rinchiudere ancora una volta nel seminterrato della Repubblica due questioni che, se desideriamo diventare un «Paese normale», non possiamo proprio fare a meno di affrontare. L’azione giudiziaria, innanzitutto, non può esercitarsi sulla politica così come si esercita sugli uomini qualunque. Non perché fare politica dia diritto a privilegi, ma perché la politica rappresenta il Paese, e chi colpisce la politica maldestramente può danneggiare il Paese. Sia chiaro: questo non significa in alcun modo invocare l’impunità. Significa però ritenere necessario che sia ripristinato un equilibrio che da più di vent’anni si è modificato a vantaggio della magistratura, e che nelle condizioni attuali dello spirito pubblico – giustificate ma non per questo meno pericolose – rischia di sbilanciarsi ancora di più.
In secondo luogo, è esiziale che una parte del Paese consideri l’azione giudiziaria «strabica» – occhiuta a destra, disattenta a sinistra – e asimmetrici, di conseguenza, gli effetti politici che essa produce. L’assoluzione di Berlusconi non pare aver prodotto grandi effetti sull’opinione pubblica, che anche a destra è più interessata a ritrovare un futuro che a rivangare il passato. Fra gli elettori moderati, però, la sgradevole sensazione che per la seconda volta in vent’anni, così com’era accaduto nel 1992-94, la magistratura abbia colpito più dalla parte loro che dall’altra è stata magari spinta in cantina, ma non è affatto scomparsa. Così come il sospetto, conseguente da quella sensazione, che l’attuale divario di forze fra la sinistra di Renzi e quel che resta della destra berlusconiana non sia del tutto equo, appunto perché non dovuto a ragioni solamente politiche. E quando le cantine rigurgitano – lo si è già detto –, in genere non è cosa buona.
Giovanni Orsina, La Stampa 29/7/2014