Giuliano Aluffi, Il Venerdì 25/07/2014, 25 luglio 2014
NON CI RESTA CHE RIDERE
Ridere è una cosa seria: connessa all’attività più importante per l’uomo – respirare – e alla parola. La risata umana è, in sostanza, lo spezzettamento ripetuto di un’espirazione che, quando si scatena, si impone sulla parola, scippandole il controllo del diaframma e dei muscoli del torace, fino a renderla impossibile. Non potrebbe aver raggiunto tutto questo potere sul nostro corpo, se non avesse qualche profonda utilità in termini evolutivi. «Capire perché ridiamo e che cosa succede mentre lo facciamo può dirci molto sulla nostra natura» sostiene Scott Weems, neuroscienziato cognitivo americano autore di Ha! The Science of When We Laugh and Why (Ha! La scienza di quando ridiamo e perché, Basic Books). «E per fare un po’ di chiarezza dobbiamo liberarci di alcuni preconcetti molto diffusi. Il primo dei quali è che ridere sia sempre, o quasi, la reazione allo humour o a una situazione intrinsecamente comica. Non è così: lo psicologo Robert Provine ha trovato che ridiamo in media 18 volte al giorno, e che solo il 20 per cento delle risate sono sincere, ossia prorompono spontaneamente, provocate da uno stimolo davvero divertente». Distinguerle è possibile: le risate di ogni tipo azionano il muscolo zigomatico maggiore, ma solo quelle sincere coinvolgono anche il muscolo orbicolare dell’occhio, che provoca le rughette chiamate «zampe di gallina». Tutte le altre sono risate strategiche, che usiamo per accattivarci gli altri e, soprattutto, per farli ridere: «Provine ha registrato oltre 1.200 conversazioni casuali e ha trovato che chi parla ride il 46 per cento in più di chi lo sta ascoltando. E siccome chi sta parlando non può essere sorpreso dalle sue stesse battute, ridere deve evidentemente avere più a che fare con le relazioni sociali che con lo humour».
Del resto la risata è contagiosa persino in assenza di contenuti: «Si è visto che chi, chiuso in una stanza, sente ridere nella stanza a fianco, tende ad unirsi alla risata». Come si dice: ridi, e il mondo riderà con te. A renderci perfetti «ripetitori» è un meccanismo neurologico «dedicato» che, subito dopo aver rilevato una risata, aziona i circuiti neurali che coordinano i muscoli del torace e del volto e ci fa ridere a nostra volta.
Ma quali benefici ci offre questa predisposizione? Ridendo disinneschiamo situazioni rischiose, stringiamo alleanze o, all’opposto, rimarchiamo differenze e biasimo. Come nel caso della, spesso, conflittuale dialettica marito-moglie. Dice Weems: «Lo psicologo Richard Wiseman ha verificato come solo il 10 per cento degli uomini ride a una battuta dove il marito viene messo alla berlina dalla moglie («Un uomo sale su una bilancia che fa anche gli oroscopi, prende il biglietto e dice orgoglioso alla moglie: “Senti qui: la bilancia dice che sono energico, pieno di risorse e una grande persona”. E la moglie, guardando il biglietto: “E non ha indovinato nemmeno il peso”». D’altra parte, continua Weems, solo il 15 per cento delle donne ride quando ascolta la barzelletta maschilista: “Accosti. Patente e libretto. Senta, ma non si è accorto di aver lasciato moglie e figlio all’autogrill?”. “Oh Dio, meno male! Temevo di essere diventato sordo!”».
Perfetta per rivelare le diverse visioni del mondo, la risata è anche discreta cartina tornasole per affinità: «Se ridi alle mie battute, significa che hai capito ciò che volevo dire, quindi condividi con me un contesto culturale, un iceberg di conoscenze e valori di cui la mia barzelletta e la tua risata sono solo la punta, insomma “sei dei miei” e perciò, dal punto di vista dell’evoluzione, sei prezioso perché hai più probabilità, rispetto a un estraneo totale, di aiutarmi oggi o di contraccambiarmi domani se ti aiuto io» spiega Scott Weems. «Il ragionamento vale anche per le relazioni di coppia: ridere insieme implica l’esistenza di un’intesa culturale, morale ed emotiva. Ecco perché tra i requisiti del partner ideale non manca mai quello primario anche per Jessica Rabbit: “Voglio qualcuno che sappia farmi ridere”».
La socialità del ridere è nel nostro Dna. «Per poter cogliere una battuta o il comico di una situazione dobbiamo avere intatto l’emisfero destro del cervello. Chi subisce un danno in quell’area cerebrale può ancora parlare e capire i discorsi, ma diventa refrattario all’umorismo» spiega Weems. «E l’emisfero destro è proprio quello che si ritiene fondamentale per gestire le nostre relazioni con gli altri. D’altra parte la probabilità che uno stesso stimolo ci faccia ridere aumentano di molto (fino a 30 volte, l’ha misurato Robert Provine) se siamo in presenza di altre persone rispetto a quando siamo da soli».
Del resto è proprio il confronto con gli altri che ci mette a contatto con il nuovo e l’inaspettato, facendoci acquisire nuove prospettive e punti di vista inusitati. E qui entra in gioco un altro importante aspetto del ridere: la sua funzione cognitiva. «Il nostro cervello incamera a tempo pieno informazioni sul mondo, tra cui molte inutili o incongruenti, ma non può permettersi il lusso di operare una selezione troppo stretta a monte» osserva Weems. «Servono quindi un sistema che valuti in fretta la sensatezza di ciò che ci arriva attraverso i sensi e un altro che ci gratifichi ogni volta che riusciamo a dare un senso a informazioni contraddittorie. Bene: il sistema cerebrale che risolve i conflitti informativi, e dipana calembour e doppi sensi, è la corteccia cingolata anteriore. La ricompensa che ci dà è invece la dopamina, il neurotrasmettitore che ci inonda di piacere quando scopriamo il nesso tra le informazioni contraddittorie che abbiamo assorbito ascoltando una barzelletta e scoppiamo a ridere». Sollevati per aver trovato la «chiave» di una situazione all’apparenza incongrua. Ovvio che la cascata inebriante di dopamina si verifica solo quando ridiamo per uno stimolo effettivamente divertente, e non durante le risate di circostanza, quelle che abbozziamo per ingraziarci il capufficio.
Ridere per le sorprese e le incongruità, e per la loro risoluzione, viene considerata una peculiarità umana. Come fa notare il filosofo americano John Morreall, fondatore dell’International Society for Humor Studies, tutti gli altri animali vedono le incongruità come minacce potenziali, e questo limite cognitivo rende loro impossibile il pensiero astratto, e quindi sia l’arte che la scienza. I Leonardo e i Newton, insomma, hanno la stessa matrice dei Checco Zalone di tutti i tempi. Le prime risate dell’umanità, che il biologo inglese David Sloan Wilson colloca tra due e quattro milioni di anni fa, ancora prima della comparsa del linguaggio, avrebbero però avuto una causa fisica e non intellettuale: sarebbero state infatti causate dal solletico. Oggi che l’umorismo è decisamente più cognitivo, si è arrivati invece al meta-umorismo, ossia l’umorismo che prende in giro i suoi stessi cliché. L’esempio classico? Un inglese, un francese e un tedesco entrano in un bar. Il barista strabuzza gli occhi e sbotta: «Cos’è questa, una barzelletta?».