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 2014  luglio 25 Venerdì calendario

QUANDO LIVORNO PERSE LA TESTA PER TRE TESTE (FALSE)


Livorno. Ci sono volute affinché Livorno facesse pace con se stessa, con la propria natura goliardica, irriverente e dissacratoria. Dopo anni di oblio e imbarazzo, le false teste di Modigliani buttate nei fossi della città da quattro studenti e da un portuale verranno esposte in una mostra nella Fortezza Vecchia, dal 25 luglio al 3 agosto.
Di quella storia, capace di creare un corto circuito mediatico di proporzioni planetarie, Livorno non se ne vergogna più. «Fu una provocazione e, quasi a nostra insaputa, si è trasformata in un’opera d’arte». Pier Francesco Ferrucci, oggi vicedirettore del settore melanomi dello Ieo fondato da Umberto Veronesi, va fiero dell’impresa. L’idea venne a lui, insieme a Michele Ghelarducci, Piero Luridiana e Michele Genovesi. Tutti livornesi. Era l’estate del 1984, cento anni dalla nascita di Modigliani: le ruspe dragavano i canali, alla ricerca di alcune sculture dell’artista. Leggenda narrava, infatti, che una sera del novembre 1909, stufo di essere preso in giro dai suoi concittadini, Amedeo ne buttò alcune nei fossi. La ricerca è infruttuosa e allora i quattro amici decidono di armarsi di trapano e improvvisarsi artisti.
Il giorno dopo il ritrovamento della scultura è salutato dai critici e dagli storici dell’arte come una scoperta fantastica capace di gettare una nuova luce sul lavoro del maestro livornese. Non basta. Nelle settimane successive vengono scoperte altre due sculture, stavolta opera di Angelo Froglia, anche lui in vena di scherzi. La notizia richiama troupe televisive da tutto il mondo. Solo che a settembre l’estasi collettiva finisce di colpo. I quattro ragazzi confessano la burla. All’inizio, però, non vengono creduti e sono costretti ad andare in tv a mostrare come hanno scolpito l’opera. Ci riescono benissimo, tra lo sbigottimento generale.
Ricorda oggi Pier Francesco Ferrucci: «Mi è capitato spesso che alcuni pazienti, dopo le visite, mi abbiano fatto i complimenti per lo scherzo. Pensi che l’ho lasciato anche nel curriculum vitae. È una storia che spiega bene anche la natura della nostra città, anche se è stata capita più fuori da Livorno che da noi. Dove, per molti anni, è stata vissuta con fastidio. Per me era e resta arte, perché ha suscitato emozioni e discussione».