Giordano Tedoldi, Libero 29/07/2014, 29 luglio 2014
L’ITALIA PERDE LA TESTA PER TRE TESTE DI MODI
In arte il falso è a sua volta un’arte. Basti pensare a Han Van Meegeren, il più grande falsario della storia, in grado di riprodurre alla perfezione i capolavori di Vermeer e di riuscire a venderli a collezionisti rapaci quali Himmler e Goering. Quando nel dopoguerra fu processato per collaborazionismo per aver venduto tele inestimabili ai gerarchi nazisti, Van Meegeren si discolpò dipingendo davanti ai giudici uno stupendo Gesù tra i dottori nello stile inconfondibile del maestro olandese. Nulla di strano dunque che a patacche più recenti, i clamorosi falsi Modigliani, le tre sculture di volti di donna rinvenute nell’estate del 1984 nel Fosso Reale di Livorno, venga dedicata una mostra in Fortezza Vecchia, aperta giovedì e in corso fino al 14 settembre, che sta riscuotendo un notevole successo. Le tre teste false di Modì ne fecero cadere una vera, metaforicamente parlando: quella di Vera Durbé, all’epoca conservatrice dei musei civici livornesi e direttrice del museo di Villa Maria, dove nel maggio dell’84 s’inaugurò la sensazionale mostra che avrebbe dovuto celebrare il centenario della nascita di Amedeo Modigliani. La storia della burla, per chi volesse approfondire, è stata analizzata fin nei minimi dettagli dallo studioso Francesco Mangiapane in un saggio del volume Falso e falsi. Prospettive teoriche e proposte di analisi (a cura di Luisa Scalabroni, ETS, 35 euro). A noi basta riassumerla e contare oltre alle teste cadute anche le facce perse, soprattutto di venerati critici d’arte che s’affrettarono a autenticare le grottesche sculture realizzate dai burloni. Innanzitutto chi erano quest’ultimi?
Come i tre moschettieri, erano quattro, tutti studenti universitari: Pietro Luridiana, Francesco Ferrucci, Michele Ghelarducci e Michele Genovesi, che però si smarcò presto dalla vicenda. Per inciso, alla mostra inaugurata dal neo sindaco di Livorno Nogarin c’erano quasi tutti i falsari, oggi affermati professionisti (Ferrucci, per dire è oncologo, vicedirettore del settore melanomi allo Ieo, con Umberto Veronesi).
L’idea venne loro quando nel luglio del centenario lessero sul diffusissimo settimanale Gente l’annuncio della curatrice della mostra, Vera Durbé, che si sarebbe proceduto a dragare i fossi livornesi all’inseguimento delle leggendarie quattro sculture che Modì, insoddisfatto quanto Michelangelo davanti al Mosè, avrebbe buttato in acqua. Una fola che la dottoressa Durbé aveva tirato fuori dal cilindro per risollevare le sorti della mostra, carente di opere: solo 4 sculture su 26 riconosciute di Modigliani. L’idea di setacciare i fossi avrebbe creato il giusto clamore per riaccendere l’attenzione del pubblico, oltre a fornire un thriller estivo a sfondo artistico. Naturalmente il diavolo, nella persona dei quattro burloni e di un quinto rincalzo, l’artista fallito (ma non senza talento) Angelo Froglia, ci mise la coda. Le ricerche godono addirittura della copertura televisiva, e dell’uso di una draga progettata appositamente. E un bel giorno, il 24 luglio per la precisione, Eureka!, sotto gli occhi dei livornesi e delle telecamere viene a galla la cosiddetta Modì 1, cioè la prima testa di donna. E l’entusiasmo cresce ancora quando la draga recupera altre due teste, Modì 2 e Modì 3. Tre sculture di Amedeo Modigliani recuperate dai fossi livornesi: la leggenda dunque era vera, un evento di portata storica per l’arte mondiale. Dalle stelle alle stalle: i primi a dichiararsi sono Luridiana, Ferrucci e Ghelarducci, che si presentano a Panorama con le foto di Modì 2 prima di gettarla nel fosso, uno scoop in cambio di dieci milioni di lire. Vera Durbé, pateticamente, ribatte ostinata che la loro affermazione non vale nulla: e quelli rifanno Modì 2 in diretta tv, col trapano Black&Decker (che sfrutterà la vicenda con uno slogan: «È facile essere bravi con Black&Decker»).
Poi il grande critico Federico Zeri, che a differenza degli svergognati Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi, aveva fin da principio screditato le teste, invita, sempre in tv, l’artefice di Modì 1 e Modì 3 a palesarsi. A settembre il quinto falsario esce allo scoperto: è Angelo Froglia, pittore povero in canna, un Modigliani in sedicesimo, donnaiolo, col vizietto dell’eroina, che spiega il suo gesto come un attacco alla società dei consumi e dei media che ha inquinato la purezza dei valori artistici. Nel mezzo della farsa, un evento luttuoso: la morte, tre giorni dopo il primo «ritrovamento», di Jeanne Modigliani, la figlia di Amedeo che era stata emarginata da Vera Durbé perché in disaccordo sull’attribuzione di alcune opere al padre. Ma la storia non è finita: a febbraio è cominciato a Roma il processo a carico di Christian Parisot, presidente dell’Archivio Modigliani, accusato di aver autenticato e venduto opere false. Dopo trent’anni, continuano a emergere patacche dai fossi.