Filippo Facci, Libero 29/07/2014, 29 luglio 2014
LA FABBRICA DEI REATI
Prepariamoci al Ruby-ter, il primo maxi-processo per falsa testimonianza della storia d’Italia: serve a stabilire se chi è andato in aula a difendere Berlusconi l’abbia fatto mentendo, e non importa se alla fine c’è stata un’assoluzione. Ormai la giustizia si nutre di se stessa, si fanno dei processi per dei reati legati ad altri processi. È come per le perizie mediche del caso Galan: non importa se alla fine il parlamentare è stato incarcerato regolarmente, vogliono comunque stabilire se i medici abbian fatto tutto per benino: come se le indagini, anziché accertare i reati, li creassero. Poi c’è il caso di Nicola Mancino al processo sulla presuntissima trattativa: non sono riusciti a coinvolgerlo direttamente e allora è andato a processo per una testimonianza resa durante l’indagine stessa. Formalmente non fa una piega, ma è l’utilità di fondo che tende a sfuggire. La fabbrica degli indagati non è certo un problema esclusivo della casta: ricordate i due romeni ingiustamente incarcerati per lo stupro di Guidonia, due anni fa? Alla fine, non sapendo che pesci pigliare, li tennero in galera per dei presunti reati conseguenti al loro arresto, illeciti che avrebbero commesso durante l’interrogatorio. Entri sano ed esci malato, come quelli che diventano i pazzi perché li hanno chiusi in manicomio. Al processo Ruby dei testimoni sono entrati liberi e ora escono da processati, anche se Berlusconi è stato assolto. Sarà anche giusto. Ma come si dice: spiegatelo a uno straniero.