Antonio Galdo, Il Messaggero 29/07/2014, 29 luglio 2014
L’ITALIA CHE DÀ UNA MANO
IL CASO
Parli di Terzo settore e pensi al welfare. Cioè a quelle forme di supplenza o di integrazione che stanno consentendo all’Italia di reggere l’urto della Grande Crisi senza particolare rinunce dal punto di vista dei servizi offerti dallo Stato sociale. Prendiamo il caso dell’Alzheimer che già oggi coinvolge quasi un milione di famiglie: potrebbero raddoppiare nel giro di qualche decennio e non ci sarebbe risposta a una vera malattia di massa senza l’intervento sul campo delle reti delle stesse famiglie e delle associazioni.
Ancora: attualmente in Italia le persone che vivono sole sono oltre 7,5 milioni di persone, pari al 14,5 per cento della popolazione, con un aumento del 36 per cento rispetto a 13 anni fa. Senza l’attività del Terzo settore non ci sarebbe garanzia di assistenza per tutti, con un vero buco nero nel cuore della società. Dice Stefano Zamagni, uno degli studiosi più attenti a questi fenomeni: «La crisi fiscale dello Stato e l’allargamento della forbice tra le risorse disponibili e l’ampliamento della gamma dei bisogni hanno reso palese a tutti la crisi entropica, e non congiunturale, del welfare. A questo punto non solo l’ente pubblico, ma tutta la società deve farsi carico del welfare, tenendo conto che l’Italia è stata la culla dell’economia civile, e dunque da qui possiamo ripartire alla ricerca di un nuovo Umanesimo». E secondo i calcoli di Zamagni una onlus che opera al servizio dello Stato consente un risparmio del 40 per cento rispetto a un intervento diretto della mano pubblica.
LE NOVITÀ
Chissà se Matteo Renzi e il suo governo si siano ispirati a queste teorie nella riforma, appena annunciata, del Terzo settore, che per diventare operativa avrà poi bisogno dei soliti decreti delegati (speriamo presto). Le novità ci sono, bisogna riconoscerlo, anche se in qualche caso piuttosto generiche e non tutte a costo zero come annunciato. Si prevede una nuova forma di finanza sociale, nella fattispecie dei bond di solidarietà; viene modificata, con nuove incentivazioni, la fiscalità, e stabilizzato il meccanismo del 5 per mille; si allarga il perimetro delle imprese sociali e l’orizzonte del servizio civile con la possibilità di farlo anche all’estero e con l’idea di considerarlo curriculum nel percorso formativo; si accelera l’assegnazione a enti e associazioni del Terzo settore di immobili pubblici inutilizzati o confiscati ai clan della malavita, e oggi sprecati. Si prevede un’Authority del settore.
Uno spaccato significativo, e anche un interessante punto di vista di chi ci lavora sul campo, arriva da un libro appena pubblicato (La Terza Italia, il manifesto di un Paese che non si tira indietro, Edizioni Mondadori) scritto da Vincenzo Spadafora, Garante per l’infanzia e l’adolescenza ed ex presidente dell’Unicef. Spadafora mescola la sua biografia, la sua storia di ragazzo del Sud, «figlio della Terra dei fuochi», con l’analisi di un Paese fatto di associazioni, onlus, operatori sociali, volontari: più di 5 milioni di italiani chiamati, in silenzio e spesso, a esercitare funzioni di supplenza rispetto alle istituzioni ed al loro cattivo funzionamento. Al netto della retorica, che in questi casi non manca mai, il libro di Spadafora aiuta ad esplorare l’universo del Terzo settore, con alcune scoperte che dovrebbero farci arrossire come italiani. Avete presente tutte le belle intenzioni sul Paese che cura i suoi figli? Sulla famiglia che protegge e cura sotto l’ombrello dello Stato? Bene: l’Italia è al posto numero 22 su 29 paesi industrializzati nella classifica per tasso di benessere di bambini e adolescenti. Un primato che dovrebbe fare riflettere quando si parla di politiche per l’infanzia.
Il libro di Spadafora presenta anche un altro risvolto di stretta attualità: il rapporto tra l’universo del volontariato, nelle sue diverse pieghe, e la politica. Un rapporto che si è spento, con l’otturazione dei vari canali di collegamento, in un Paese dove invece il passaggio dal volontariato alla vita pubblica diretta, cioè alla politica, era molto diffuso. Spadafora, giustamente, non mitizza la società civile, come il luogo della virtù in contrapposizione con la casta della politica, il regno del vizio, dello sperpero e della corruzione. Ma certo lui stesso, sulla base di un’esperienza diretta, ha vissuto la difficoltà di un passaggio. È stato assessore comunale, ha collaborato con assessori regionali in Campania e ministri a Roma, e non nasconde anche in questo libro le sue ambizioni politiche: eppure si è fermato, e oggi è quasi riparato nell’Autorità che presiede. Perché? La risposta è semplice, e non ha bisogno di particolari decifrazioni sociologiche. La politica ha smesso di attingere, per i suoi quadri, i suoi dirigenti e perfino i suoi militanti, al bacino vitale del Terzo settore. È andata per la sua strada, creando altre forme di reclutamento, pensiamo ai teatrini televisivi o al carrierismo nel mondo della rappresentanza, quasi ignorando la risorsa del volontariato. E ha così ulteriormente rotto il suo rapporto con la società.