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 2014  luglio 29 Martedì calendario

TUTTE LE ARMI PER ABBATTERE IL MOSTRO DEL DEBITO


Le possibili scosse con cui rianimare l’economia europea e soprattutto quella italiana sono state analizzate ieri sul Messaggero da vari rappresentanti di associazioni di categoria ed economisti: sburocratizzazione e semplificazione delle regole per le imprese, riduzione di Irap e imposte, rilancio dell’edilizia, favorire la ripresa del clima di fiducia, un programma europeo di nuovi investimenti, più flessibilità nella applicazione delle regole di bilancio. Sullo sfondo resta un convitato di pietra, a cui dedichiamo oggi una analisi: il debito pubblico, che limita le possibilità di manovra dei decisori europei.
Il nostro debito è indubbiamente un “mostro”, che da oltre due decenni ci perseguita e che andrebbe aggredito con maggiore determinazione. Come? Attraverso una decisa riduzione degli sprechi della spesa, un drastico sfoltimento delle numerose ed inutili partecipazioni parassitarie degli enti pubblici, un’applicazione rigorosa dei costi standard e tagli agli eccessivi stipendi dei politici a tutti i livelli.
Ciò detto, anche i debiti pubblici degli Usa, del Giappone, della Germania, della Gran Bretagna, della Francia e della Spagna, per limitarci ai soli Paesi avanzati più grandi e senza considerare i piccoli “periferici”, in questi anni sono diventati dei “mostri” in tutto e per tutto simili al debito pubblico italiano. Ciò non deve essere una giustificazione a non intervenire nella stabilizzazione del nostro debito.
Ma deve spingere il governo e le istituzioni di maggior prestigio del Paese, a cominciare da Banca d’Italia, Istat e Confindustria, a dare una migliore rappresentazione della reale situazione comparata dei conti pubblici. Perché non è più ammissibile che l’Italia, solo in virtù del sempre più scarsamente rappresentativo rapporto debito/Pil, venga additata come il secondo vaso di coccio dell’Ue dopo la Grecia; non è accettabile che il nostro Paese venga continuamente bacchettato dai “maestrini” finlandesi; né ha alcuna logica che agenzie di rating e mercati trattino i nostri titoli sovrani come fossero dei parenti stretti dei bond spazzatura argentini, penalizzando anche i valori patrimoniali e borsistici delle nostre banche e società assicuratrici che ne detengono rilevanti quantitativi. Tanto per cominciare, i fondamentali del nostro debito a medio-lungo termine sono di gran lunga migliori di quelli dei debiti della maggior parte degli altri Paesi avanzati, che avranno un impatto delle spese pensionistiche e sanitarie tremendo nei prossimi anni, a differenza di quanto accadrà in Italia, dove tale impatto sarà quasi nullo a causa delle riforme che noi abbiamo già fatto. Lo dicono gli stessi indicatori di rischio finanziario dell’Ue e del Fmi, ma pochi lo sanno.
LA SOSTENIBILITÀ
Inoltre, pur considerando l’accelerazione nell’ultimo anno del nostro rapporto debito/Pil conseguente al pagamento dei debiti arretrati della Pa e alla caduta del Pil stesso causata dalle misure di austerità, il debito pubblico italiano, raffrontato all’Ue, agli Usa e al Giappone, è tuttora quello cresciuto percentualmente di meno in termini monetari. Di ciò l’Italia deve dare ampia risonanza ai propri cittadini e agli stranieri, la maggior parte dei quali pensano invece che i nostri conti pubblici facciano acqua da tutte le parti. Non solo. Anche per ciò che riguarda la sostenibilità del debito a breve-medio termine la situazione italiana è di gran lunga più rassicurante di quella delle altre principali economie e non molto dissimile persino da quella della “solida” Germania, Paese che dovrebbe perciò portarci maggiore rispetto anziché perseverare nelle continue e stucchevoli reprimende dei propri politici e media sull’Italia eterna “spendacciona”. Già più volte abbiamo ricordato su queste colonne che l’Italia è stata il Paese che, rispetto all’Ue, agli Usa e al Giappone, ha presentato negli ultimi 22 anni il maggior numero di esercizi in avanzo statale primario: ben 21 anni su 22, un record mondiale. E l’Italia sarà in cospicuo surplus primario anche nel periodo 2014-2019, secondo le proiezioni sia dell’Ue sia del Fmi. Il bilancio dello Stato si divide in due grandi componenti: il bilancio primario (cioè la differenza tra entrate ed uscite statali prima del pagamento degli interessi) e gli interessi sullo stock del debito pubblico in circolazione. Poter vantare un avanzo primario, come è il caso dell’Italia, significa una cosa molto importante. Cioè che un governo è in grado di avere a disposizione del denaro contante con cui pagare “cash” almeno una parte degli interessi che deve agli investitori, anziché mediante l’emissione di nuovo debito. Da ciò deriva la indiscutibile sostenibilità del debito pubblico italiano rispetto ai debiti di molti altri Paesi che pure vantano una “reputazione”, e un rating, migliore dell’Italia. Ciò appare evidente se si considera che oggi solo una quota minima del debito italiano è detenuta da investitori stranieri, cioè da non residenti: un ammontare pari a circa il 37% del totale secondo il Fmi, pari al 48,6% del nostro Pil. Una cifra non dissimile da quella del debito pubblico estero della Germania (47,7% del Pil) ed anche dei “maestrini” finlandesi (47,6%); molto più bassa di quella del debito pubblico francese (59,9%) e di gran lunga inferiore a quella dei Paesi “periferici” come il Portogallo (81,9%), l’Irlanda (80,2%) o la Grecia (149,3%). Non si capisce perciò perché gli stranieri dovrebbero avere paura del debito pubblico italiano o perché i commissari europei debbano continuamente rappresentare l’Italia come il “tallone d’Achille” della finanza pubblica dell’Ue. Infatti, avendo l’Italia un carico di interessi annuo sul debito pari a circa il 5% del Pil ma anche un cospicuo avanzo primario pari al 2% del Pil stesso (dati del 2013), ciò significa che se il nostro Paese desse l’ipotetica priorità del pagamento “cash” degli interessi agli investitori stranieri, questi sarebbero totalmente rimborsati in contanti dal nostro avanzo primario, mentre il nostro Paese dovrebbe emettere nuovo debito pari a circa il 3% del Pil solo per pagare gli interessi ai più “remissivi” e comunque capienti investitori italiani.
I CONTI DEGLI ALTRI
Solo la Germania farebbe meglio di noi, essendo essa attualmente in pareggio di bilancio, e quindi in grado di rimborsare “cash” gli interessi agli investitori sia stranieri sia tedeschi. Mentre Stati Uniti, Giappone, Gran Bretagna, Francia e Spagna, non avendo avanzi statali primari, continueranno incessantemente a pagare gli interessi a chi investe nei loro debiti pubblici, residente o straniero che sia, solo con emissione di nuovo debito. Non è casuale che l’Italia sia in grado di generare un avanzo primario con cui potenzialmente poter pagare in toto “cash” gli interessi agli stranieri in via privilegiata. Negli ultimi 22 anni il nostro Paese ha avuto un surplus primario superiore al 2% del Pil in ben 14 anni. La Francia mai, il Giappone un solo anno, la Gran Bretagna 4 anni, la Germania 5 e gli Usa 6. Ciò dovrebbe rassicurare tutti, dalla Merkel a Katainen sino a S&P, che il debito pubblico italiano è, sì, un problema grosso, ma assai meglio gestibile di quello dei debiti ormai altrettanto grandi ma meno sostenibili di molti altri Paesi. Spiegato chiaramente questo, sarà anche più facile per il governo argomentare le mosse con cui cercherà comunque di aggredire il debito. In un giusto equilibrio, però, tra rigore e crescita, senza la quale stabilizzare i conti, comunque la pensi la Bundesbank, è pura utopia.