Aldo Grasso, Corriere della Sera 29/07/2014, 29 luglio 2014
IL CICLISMO È RACCONTO NEL TOUR DELLO SQUALO
Il Tour e la televisione. Le tappe del Tour de France sono uno spettacolo televisivo. Si vede che la corsa è un evento cui il Paese tiene molto, è parte viva del suo lungo processo identitario. Rispetto al Giro d’Italia, il Tour sembra più «scritto». Spiego meglio. Ogni tappa è un racconto che sembra seguire, in molte parti, una sceneggiatura: stacchi perfetti sul paesaggio, appuntamenti descrittivi ben programmati, un racconto vivido per esaltare le bellezze della Francia. È evidente che la regia del Tour ha fatto scrupolosi sopralluoghi, ha deciso in anticipo il punto in cui fare gli stacchi più significativi, senza per questo dover perdere di vista quanto l’imprevedibilità della corsa propone. Al Giro spesso manca questo lavoro di scrittura.
Uno squalo solo al comando. E qui lo sciovinismo fa la sua parte. Come ha cantato una volte per tutte Paolo Conte in «Bartali»: «E i francesi ci rispettano che le balle ancora gli girano». Rispettano mica tanto. La regia francese è stata molto avara nei confronti dello «squalo dello Stretto». Non si capisce il motivo.
Per esempio, nella 10ª tappa da Mulhouse a La Planche des Belles Filles, c’è stata una scena da film: Scarponi vola fuori strada e Vincenzo resta solo in un gruppetto di corridori. Poi, quasi miracolosamente, Scarponi riesce a rimettersi in sella e raggiungere il suo capitano. Un momento particolarmente intenso ignorato dalla regia. Anche sulle tappe di montagna, dominate dallo «squalo» la regia era più interessati alla sfida fra i due galletti francesi, Peraud e Pinot. Il vero «scandalo» è successo nella cronometro di sabato: a Nibali è stata dedicata solo una manciata di minuti.
Per fortuna c’è stata la premiazione di domenica sui Champs-Élysées: i signori di France Télévisions si sono dovuti inchinare allo «squalo». Anche se le balle ancora gli girano.