Maria Laura Rodotà, Corriere della Sera 29/7/2014, 29 luglio 2014
CHE TE NE FAI DELLO YACHT DA 70 METRI SE TI PERDI IL BLU?
Intendiamoci. Se una rifonda la Spectre, uno yacht ipertecnologico da 100 milioni, non è solo utile ma necessario. Se una è invece legalitaria, sobria un po’ per celia e un po’ per spending review, e soprattutto pragmatica — e non nemica di James Bond — certe mega navi non le capisce. Per capirci: il «Preferirei di No» di oggi va alla barchetta del compianto Steve Jobs, ora in uso alla vedova, attraccata al porto di Brindisi. Sì, quello. Quello affollato e operoso dove molti di noi, seduti per terra con lo zaino come schienale, chiusi in macchina sacramentando, hanno tante volte atteso di salire sui traghetti per la Grecia. Chi si è così temprato, finisce a pensare: «Ma a cosa ti serve una nave da 70 metri con in plancia 7 iMac da 27 pollici, ponti in tek e pavimenti in vetro se può attraccare solo in megaporti e devi attrezzarti altrimenti per trovare del mare decente?». Così ha fatto la famiglia Jobs. Così fa chi va in Salento. Chi in ferro da stiro, chi in gozzetto, chi con un’utilitaria e un paio di piedi. Perché a qualcuno è capitato di navigare a scrocco su quelle coste su belle barche. È emozionante. Al netto del rumore dello yacht, dell’assoggettamento ai capricci dei padroni del vapore, dei maltrattamenti subiti dall’eventuale marinaio precario (quando gli urlano contro durante una manovra o si lamentano di come ha cucinato gli spaghetti smetti di trovare antifemminista Travolti da un insolito destino e solidarizzi col marinaio Gennarino che mena la milanese), dei bagni contingentati perché si deve sempre andare altrove. Che poi: tornando negli stessi luoghi, si scopre che le calette inaccessibili per cui «ci vuole la barca» sono raggiungibilissime, camminando. Poi gli eventuali soldi risparmiati una finisce a spenderli in gadget digitali della Mela e non; vabbé.