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 2014  luglio 29 Martedì calendario

Notizie tratte da: Gianfranco Angelucci, Segreti e bugie di Federico Fellini. Il racconto dal vivo del più grande artista del ’900: misteri, illusioni e verità inconfessabili, Luigi Pellegrini Editore Cosenza 2013

Notizie tratte da: Gianfranco Angelucci, Segreti e bugie di Federico Fellini. Il racconto dal vivo del più grande artista del ’900: misteri, illusioni e verità inconfessabili, Luigi Pellegrini Editore Cosenza 2013.

• Federico Fellini, che a Roma e anche a Rimini quasi tutti chiamavano per nome. Un invito che egli stesso rivolgeva a chi gli veniva presentato: «Chiamami Federico». Motivo: «Se mi chiamano Fellini mi viene spontaneo guardarmi dietro le spalle, come se ci fosse mio padre da qualche parte e si rivolgessero a lui».

• Invece al telefono o in caso di incontri usava sempre il cognome: «Sono Fellini…», oppure: «Piacere, Fellini, come sta?».

• Pier Paolo Pasolini, che nel film La ricotta, mette in bocca a Orson Welles, intervistato su Fellini, la famosa definizione: «Egli danza…».

• Nell’ingresso dello studio del pittore Rinaldo Geleng, amico fraterno di Fellini, campeggiava un dipinto. Era un ritratto, serio, a mezzobusto, eseguito a carboncino, a cui un giorno Federico, prendendo il pennello, aveva aggiunto un gran fallo in erezione per tutta l’altezza della tela e in cima aveva scritto dentro un fumetto: «Ma quando mi fai fare qualcosa oltre la pipì?». Poi, da legittimo autore, aveva anche apposto in basso a sinistra la sua firma accanto a quella dell’artista.

• Federico Fellini viveva a Roma, in via Margutta 110.

• Quella volta che, scendendo lungo via Veneto, un giornalista gli si parò davanti con volto crucciato, perché da mesi non riusciva a ottenere un’intervista, rinviata dal regista ogni volta con una scusa diversa. Stavolta: «Ma Federico, mi avevi detto che stavi partendo per Hong Kong e invece sei qui a Roma?». E Fellini: «Ti sbagli: tu sei a Roma, io sono a Hong Kong».

• Tra il 1939 e il 1943 Fellini pubblicò sul Marc’Aurelio, testata satirica, più di 800 articoli e 300 vignette, senza contare la produzione di testi e disegni per altri giornali umoristici, come il fiorentino 420, le scenette, le gag, i monologhi per gli attori del varietà (da Macario a Fabrizi), i copioni per il teatro di rivista e gli sketch scritti per la radio.

• Alberto Sordi ricordava che il pubblico del Teatro Sistina, dove in quel momento era in cartellone un suo spettacolo, scoppiò in un applauso fragoroso e interminabile quando egli, a sorpresa, annunciò la presenza in sala di «Federico Fellini, la nota firma del Marc’Aurelio, che oggi s’è sposato». Era il 30 ottobre del 1943, Federico aveva 23 anni e Giulietta Masina 22.

• Quella volta che Giulietta, invitata finalmente a cena da Federico, al momento del conto lo vide tirar fuori dalla tasca dei calzoni un rotolo di banconote così grosso che non entrava quasi nella mano.

• Fellini si firmava Fellini, Fellas, Federico, o una semplice F. a seconda dei casi.

• Il giornalista Alvaro Zerboni: «Anche in redazione scherzava sempre. Anzi ho un ricordo preciso. Il giorno in cui gli arrivò una telefonata, lui andò a rispondere ed era Giulietta Masina che gli annunciava la nascita del figlio (Pier Federico detto Federichino, che vide la luce il 22 marzo 1945, destinato a spegnersi dopo pochi giorni). Improvvisamente lo vidi intenerirsi, commosso, e per cercare forse di arginare l’emozione, continuava a domandare: “E com’è: è racchio? È racchio?”. Usando un termine di moda fra i giovani; esisteva persino una rubrichetta intitolata Genoveffa la Racchia. Quando chiuse la comunicazione non si trattenne dall’esclamare, “Mi è nato un figlio!”, rivolgendosi più al suo amico Achille Panei che genericamente a noi della redazione. Però non lasciò subito l’ufficio, rientrò nella stanza della produzione per riprendere parte alla riunione in corso».

• Esiste un’opera di Fellini scomparsa nel nulla: Hallo Jeep!, un cortometraggio d’animazione. Il regista, scaramantico, non ne parlava quasi mai, perché si pensava portasse sfortuna. Il giornalista Alvaro Zerboni: «Luigi Giobbe, il primo direttore artistico del film, si era sparato per una delusione d’amore. Sopravvisse soltanto perché il proiettile gli rimase conficcato nel muscolo cardiaco senza ledere il funzionamento di quell’organo vitale. (…) L’amministratore della Nettunia Film, che era notoriamente il giovane amante della contessa Politi (ricordo benissimo un particolare, teneva appeso al muro dietro la sua scrivania un ritratto-caricatura che gli aveva fatto Federico, talmente somigliante che sembrava balbettasse, cioè che riproducesse perfino il suo difetto nel parlare), se ne scappò con la cassa. E Franco Coarelli, uno dei migliori illustratori, fece una fine orribile di cui ebbe a occuparsi la cronaca nera. Una notte andò insieme a un amico a casa di una prostituta, minacciandola con una pistola per farsi dare i soldi. Quella aveva urlato, qualcuno era accorso, i due erano fuggiti in strada, ma Coarelli era stato inseguito da un garzone di fornaio e, vedendosi braccato, aveva usato la pistola contro se stesso. Si era sparato alla testa ed era morto sul Lungotevere».

• Quella volta che Roberto Rossellini e Anna Magnani, in coppia anche nella vita, litigarono sul set. Il motivo: un giorno giunse dall’estero un telegramma indirizzato al regista, che per un disguido capitò nelle mani di Nannarella, e sopra c’era scritto: «Conosco una sola parola di italiano: amore». Firmato Ingrid Bergman. L’attrice, in America, aveva assistito alla presentazione di Roma città aperta e si era innamorata del regista. La Magnani non ne fece parola e all’ora di pranzo, come sempre faceva, richiamò tutti: «A tavola, è pronto!». E si presentò con una gigantesca terrina di pasta al sugo, condita con le melanzane e la ricotta. Rossellini, felice per la sorpresa: «C’hai messo anche la foglietta di basilico fresco! Brava!». Lei: «L’ho preparata come piace a te». Lui: «Lo so, lo so, come la fai tu non la sa fare nessuno». Allora lei, infuriata: «E allora, tie’! Magnatela tutta!» e gli rovesciò in testa la scodella di spaghetti e sugo di pomodoro, gettando sulla tavola il telegramma della rivale.

• Quando Anna Magnani morì, fu Roberto Rossellini a truccarla.

• Quella volta che Roberto Rossellini andò in India per un film e si innamorò di una donna, Sonali das Gupta, lasciando Aldo Tonti, il suo operatore, per settimane da solo nella jungla di Karapur a fare le riprese di ambientazione.

• Anna Magnani, nata nei pressi di Porta Pia a Roma, ma che amava fantasticare sulla sua nascita: diceva di essere venuta al mondo ad Alessandria d’Egitto, poi indicava come luogo di nascita un portoncino sulla salita di Monte Cenci nel ghetto ebraico; oppure un palazzone di Piazza Campitelli, vicino al Campidoglio.

• Paolo Stoppa, compagno di corso della Magnani alla scuola di recitazione, sosteneva che lei fosse una pied noir, cioè una maghrebina, nata nel nord Africa perché la madre era entrata a far parte dell’harem di qualche Pasha.

• Del padre di Anna Magnani non si è mai saputo nulla; sua madre, Marina, era una ragazza nubile e l’aveva partorita nel 1908. Il suo certificato anagrafico: È nato il 7 marzo il bambino di sesso femminile Magnani Anna.

• Anna Magnani, all’età di quattro anni, fu affidata alla nonna, perché la madre la abbandonò per seguire un austriaco, con cui formò una nuova famiglia.

• Quella volta che la Magnani reagì male quando un garagista di La Spezia, dove aveva ricoverato la macchina, insistette per vedere la sua patente: «Allora, vuoi sape’ pe’ forza che so’ fija de ’na mignotta. Tiè, pìatela!».

• La Magnani aveva fatto eseguire un’indagine sul padre ignoto, di presunte origini calabresi, scoprendone forse il cognome: Del Duce. Così aveva preferito lasciar perdere, commentando: «Non m’andava d’esse chiamata la fija Der Duce».

• Fellini la domenica a pranzo era ospite a casa di Aldo Fabrizi, al n. 39 di via Sannio, quartiere San Giovanni, a Roma.

• Quando Roberto Rossellini pensò ad Aldo Fabrizi per interpretare il ruolo del prete partigiano fucilato dai nazisti in Roma città aperta, chiese a Fellini di fare da tramite.

• Fellini raccontava che quando andò a proporre a Fabrizi la parte del prete partigiano, il comico spaventato gli obiettò: «Ma che sei matto! E se poi quelli (cioè i tedeschi) ritorneno…?».

• Leopoldo Trieste era un erotomane. Fellini lo collocava nella categoria in cui trovava posto d’autorità Georges Simenon, suo amico e collezionista per propria ammissione di diecimila dame.

• Leopoldo Trieste, detto Poldino, che Fellini illustrava come un infaticabile dragueur che incrociava tutta la notte lungo le strade di Roma, soprattutto periferiche, blindato nella sua Citroën Ami 8, finché non riusciva a far salire una donna.

• Quella volta in cui Poldino Trieste ebbe una donna dal fisico poderoso e con un occhio solo: «Ma non le stava male, anzi la rendeva un tipo, come dire, ancora più singolare…».

• Quando Alberto Sordi, durante la lavorazione de I vitelloni, rubò per scherzo a Leopoldo Trieste un taccuino segreto su cui erano annotate le date dei cicli mestruali di tutte le sue concupite.

• Leopoldo Trieste, che portava i pantaloni legati in vita con lo spago.

• Quella volta che Leopoldo Trieste si trovò in un film a dover girare una sequenza a letto con Michèle Mercier, interprete della serie di Angelica. A fine lavorazione portò l’attrice in un appartamentino che teneva sulla via Tiburtina, comprò il cibo necessario, chiuse a chiave la porta, e per quattro giorni non la fece più uscire di casa. Dalla Francia giungevano telegrammi allarmati alla produzione italiana per il mancato rientro della diva a Parigi, dove il marito la aspettava.

• Leopoldo Trieste non si separava mai dal suo thermos di caffè ben carico. Versava il liquido caldo nel cappuccio a vite e lo beveva a sorsetti.

• Alberto Sordi raccontava di quando lui e Fellini si infilarono al cinema Manzoni di Milano per spiare le reazioni degli spettatori alla prima de Lo sceicco bianco: «Entrammo: tutto buio, tutto deserto, tutto silenzio. Barcollammo un po’, poi ci accorgemmo che le sedie erano vuote, non c’era nessuno. A un certo momento sentimmo ridere; allora un po’ confortati ci indirizzammo verso quella parte e ci sedemmo dietro quelli che ridevano: era una coppia anziana, lui le teneva il braccio attorno alle spalle. Stemmo lì a orecchie ritte, ma poi ci accorgemmo, con stupore, che quelli non ridevano mica, ma irridevano! Irridevano a me, allo Sceicco, e dicevano: “Ma chi l’è chel lì? Sel sa nanca parlà!”. “Guarda ti che roba!”. “L’è una roba da matti!”. Ci alzammo delusi e sgusciammo via nel buio, quatti quatti, come due ladri inseguiti».

• Sordi, che descrisse così Fellini: «Alto alto, secco secco, gracile, esile, ma ahò, con una capoccia grande così».

• Fellini negli ultimi anni indossava un cappello a cloche, di disegno inglese, che raccontava gli fosse stato materializzato dal mago Gustavo Rol una sera in cui arrivando a Torino aveva dimenticato in treno il proprio cappello.

• Giulietta Masina, che amava danzare.

• Giulietta Masina ha iniziato interpretando un personaggio secondario de Lo sceicco bianco, il primo film del marito; ma avrebbe voluto impersonare il ruolo della protagonista, la sposina in viaggio di nozze a Roma che in segreto lascia l’albergo in cui è arrivata con il neo marito (Leopoldo Trieste) per raggiungere nella redazione di un giornale di fotoromanzi l’idolo dei suoi sogni, lo Sceicco Bianco (impersonato da Alberto Sordi). «Brunella Bovo è stata bravissima, ma io l’avrei fatto meglio!».

• In Spagna, in occasione di una festa in suo onore, Giulietta aveva incantato gli ospiti con le sue improvvisazioni di flamenco, eseguite a orecchio.

• Quella volta che Giulietta Masina, dopo aver ritirato il premio Oscar per Le notti di Cabiria, durante la serata di gala chiese l’autografo a Clark Gable, il suo idolo di sempre («con quelle orecchie a sventola!» diceva Fellini). E l’attore scoppiò a ridere: «Ma sono io che debbo chiederlo a te, sei tu la festeggiata e mi stai onorando con la tua amicizia!».

• Il giorno prima della morte di Fellini, ricorrenza del loro cinquantesimo anniversario di nozze, Giulietta si fece portare nella camera asettica in cui il marito respirava attaccato alle macchine e recitò il rosario accanto a lui.

• All’età di 4 anni, la piccola Giulia Masina venne mandata dai genitori a casa dello zio materno Eugenio Pasqualin, sposato con Giulia Sardi, discendente da un’ottima famiglia lombarda proprietaria del calzaturificio Varese. I coniugi non avevano figli e vivevano a Roma, in un grande appartamento al piano nobile di via Lutezia, a un passo da piazza Ungheria nel prestigioso quartiere umbertino ai piedi dei Parioli.

• Giulietta Masina che, secondo i bene informati, ebbe una liaison con l’attore Richard Basehart.

• La tata di Giulietta Masina si chiamava Ermelinda Montanari.

• «La compagna di una vita, l’attrice dei miei film, mia moglie Giulietta Masina» (così Federico Fellini, alla fine di marzo del 1993, dal palco del Dorothy Chandler Pavillion, di fronte a un pubblico televisivo di due miliardi di spettatori, dedicando il suo quinto premio Oscar alla moglie).

• Giulia, la zia di Giulietta Masina, si muoveva a Roma solo in carrozza.

• In Giappone, quando Fellini nel 1990 andò a ricevere il Premio dell’Imperatore (il Nobel d’Oriente), tornando a Roma raccontava che in strada i passanti riconoscevano non lui ma Giulietta.

• Giulietta era una bravissima cuoca, cucinava le polpette e la pasta e fagioli, alla romana, con i borlotti rossi.

• Lea, l’amante di Fellini, «una donna focosa, temperamentosa, difficile da soddisfare sul piano sessuale perché non le bastava mai; ed era proprio la sua accesa passione a renderla desiderabile fino alla furia» (Gianfranco Angelucci).

• Quella volta che Fellini, stanco delle continue scenate di Lea, si fermò in uno spiazzo a bordo della strada e la costrinse a scendere, accanto a un cantiere stradale con cumuli di materiale a portata di mano. Così Lea prese a bombardare a colpi di sampietrini la Lancia Flaminia Sport del regista appena ritirata dal concessionario, distruggendola. Vincenzo Malagò, il proprietario dell’autosalone romano, quando andò a recuperare l’auto con il carro attrezzi lungo la via Flaminia tra Terni e Spoleto: «Ah Federì, ma che t’è caduta addosso la montagna?».

• Lea morì nel manicomio regionale di Imola.

• Amedeo Nazzari, uomo generosissimo.

• Nazzari aveva un armadio pieno di vestiti, giacche, capi interi, spezzati, completi da mattino, da pomeriggio, da campagna, da cocktail, da golf, da cerimonia; tagli impeccabili e tessuti finissimi, per ogni occasione e stagione.

• Nella villa dell’attore, la tavola era sempre imbandita per amici, colleghi e compagni di set. Chiunque poteva presentarsi e sedere a pranzo e a cena servito da camerieri in guanti bianchi.

• Durante la lavorazione di un film, Nazzari era solito avere a disposizione un camion-sartoria appositamente adibito ai cambi d’abito e la sua sarta personale doveva tenere sempre pronta una camicia candida e stirata di fresco da porgere all’attore anche tra un ciak e l’altro.

• Nazzari, il primo attore italiano ad essere pagato con una percentuale sugli incassi, dal momento che il cachet sarebbe stato troppo alto per qualsiasi produzione.

• Angelo Arpa, gesuita, amico e padre spirituale di Fellini. La Curia non gli aveva più perdonato di aver preso partito, pubblicamente, con articoli e dibattiti, in difesa de La dolce vita, condannata dall’Osservatore Romano con un titolo a piena pagina: “VERGOGNA!”.

• Nel 1967 padre Arpa inciampò nell’accusa di illeciti amministrativi, fu arrestato e trasferito direttamente al carcere giudiziario di Regina Coeli. Fellini ottenne che gli venisse risparmiata la cella e fosse assegnato all’infermeria della prigione.

• Fellini era debitore a padre Arpa dell’esistenza materiale del suo film Le notti di Cabiria, a cui la censura amministrativa aveva negato il visto di circolazione nelle sale nel marzo 1957. Arpa, a Genova, aveva avuto modo di guadagnarsi la stima e l’amicizia del cardinale Giuseppe Siri e si era offerto di intervenire. Per consentire al prelato di visionare privatamente il film, era stata organizzata una proiezione in una sala cinematografica appartata, nei vicoli del porto. La berlina nera del cardinale era giunta a mezzanotte, in segretezza. In platea era stato piazzato una specie di trono, in foglia d’oro e velluti cremisi, che Fellini stesso si era premurato di scovare presso un antiquario della città. Non erano stati ammessi altri spettatori all’infuori di Arpa, al quale era stato assegnato il compito di tener desta l’attenzione del cardinale. Il regista era restato in attesa fuori, seduto sul gradino in pietra dell’ingresso. E tutte le luci, anche dell’atrio, erano state spente. Alla fine della proiezione, Siri disse: «Bisogna fare qualcosa per la nostra povera Cabiria».

• Anna G., l’amante di Fellini, che lui chiamava la “Paciocca”.

• «Non poteva star lontano da me, e mi raccontava che quando ci separavamo, tornando a casa abbracciava le tende e le baciava, tanto gli mancavo. Però non sapeva baciare. Lo faceva a labbra strette, come avrebbe fatto Andreotti. Io glielo avevo detto e lui aveva risposto che forse non aveva le labbra adatte. “Non è vero – gli ho spiegato – basta saperle adoperare”. E alla fine era diventato più bravo di me. Mi desiderava molto, rappresentavo per lui il tipo di donna di cui era appassionato, alta, vita stretta, e seni grandi senza reggiseno, perché allora per farli risaltare si indossava il bustier. Ma non era un campione nel fare l’amore, come tutti coloro che vanno con tante donne. Per fare l’amore bene bisogna sapersi dedicare a una sola donna e non disperdersi fra tante avventure fugaci che non ti permettono di conoscere a fondo e di apprezzare la creatura che hai accanto» (Anna G.).

• Di Anna Fellini era gelosissimo. Un giorno, arrivando nella casa di lei, aveva visto un grosso fascio di rose rosse sul tavolo del soggiorno, omaggio di un ammiratore, e dalla collera aveva preso il vaso gettandolo insieme ai fiori fuori dalla finestra.

• Fellini descriveva Anita Ekberg come una creatura mitologica del Walhalla, dal corpo fastoso e scultoreo, la carnagione tersa e bianca che «emette luce anche al buio, una bellezza fosforescente». Una semidea inarrivabile, per possederla bisognava disporre dei muscoli di un gladiatore. «Ci vorrebbe una schiena possente, da atleta, come quella di Gassman».

• La Ekberg, che quando entrava in un locale, per vincere il disagio, stringeva talmente i pugni da ferire con le unghie il palmo della mano.

• Fellini aveva visto la fotografia della Ekberg su una rivista e l’aveva convocata per il suo nuovo film, in cui Anita avrebbe dovuto interpretare null’altro che se stessa.

• I cronisti avevano ribattezzato Anita Ekberg «ghiaccio bollente».

• «È l’unico attore americano che abbiamo, possiede quello stesso magnetismo animale, che riempie l’obiettivo appena ce l’hai davanti» (così Fellini di Marcello Mastroianni).

• Quella volta che, durante una cena della produzione de La dolce vita, cominciò a circolare un bigliettino tra le mani dei commensali, scritto da Anita: «No, Marcello, io non fare pompetto».

• «Quando ci incontrammo, Federico mi disse che mi aveva scelto perché aveva bisogno di una faccia qualunque. Bel complimento!» (Marcello Mastroianni).

• Nei primi anni Sessanta, Angelo Rizzoli e Federico Fellini fondarono la Federiz, una casa cinematografica pronta a lanciare nuovi autori. Pier Paolo Pasolini, che aveva collaborato in qualità di “consulente linguistico” a Le notti di Cabiria, propose il suo Accattone. L’organizzatore Clemente Fracassi mise insieme una troupe per realizzare alcune sequenze di prova, ma il materiale girato fu giudicato poco convincente da Fellini il quale sembra lo avesse liquidato infastidito come «la peggiore ripresa di un operatore di telegiornale».

• «In genere non sono molto attratto dai grandi attori di teatro. Tranne Rossella Falk, un’attrice che ha la statura, la gestualità e la voce di un’eroina tragica, ma che comunica una tale gioia di stare sulla scena che ti fa venire voglia di saltare sul palco e farle compagnia» (così Fellini di Rossella Falk).

• Durante la programmazione de La dolce vita, le sale cinematografiche erano state costrette a restare aperte giorno e notte senza interruzioni.

• Ugo Gregoretti in un suo film raccontò che l’apparizione di Anita Ekberg nella fontana di Trevi aveva indotto i ragazzi siciliani durante la proiezione ad addentare furiosamente la spalliera dei sedili che avevano davanti.

• Ennio Flaiano, che scriveva su una IBM a testina rotante e ascoltava sottofondo la musica di Mozart, che amava incondizionatamente.

• Il set di Fellini era spesso rifugio di molti sensitivi che affluivano nella capitale. Tra loro c’era Vincenzo Caldarola, un piccolo elfo deforme, che viveva di elemosina nei pressi di piazza del Popolo, dormendo sotto i ponti e aggirandosi come un clochard carico di buste di plastica, con in mano un bastone ricurvo da pastore. Federico gli fece interpretare l’emiro di Amarcord, che arriva al Grand Hotel con la scorta di giannizzeri e il codazzo del suo harem.

• Fellini incontrava tante maghe, tra cui una certa Pasqualina Pezzola, che viveva a Porto Civitanova, nelle basse Marche; e Luciana, che viveva sulla via Tiburtina e aveva il genero carabiniere che minacciava spesso di arrestarla per ciarlataneria.

• Quando Fellini fu colpito da ictus cerebrale al Grand Hotel di Rimini, disse che a salvarlo era stato un angelo apparso sotto forma di un bambino vestito da marinaretto. Aveva un calzettone su e uno giù, un cono gelato in mano e sembrava uno straniero, forse figlio di ricchi inglesi o tedeschi.

• Fellini, che durante la sua esistenza non smise mai di frequentare maghi, libri sapienziali, oracoli, medium e spiritisti.

• Ernst Bernhard, lo psicoterapeuta di Fellini. Tra i quaderni raccolti sulle sedute con i propri pazienti, non si sono trovati quelli relativi al regista. Le notizie su Fellini emergono dagli appunti di Dora, la seconda moglie di Bernhard, psicanalista anche lei, la quale trascriveva in privato il contenuto dei colloqui confidenziali scambiati la sera a letto con il marito, prima di addormentarsi.

• Nel suo studio di Corso d’Italia, Fellini teneva la fotografia di Bernhard sulla parete alle spalle della scrivania e sosteneva di essere entrato in contatto con lui per caso: aveva trovato nella tasca della giacca un biglietto con sopra scritto un numero di telefono e credendo appartenesse a una signora, aveva chiamato. All’altro capo del filo gli aveva risposto lo psicoterapeuta, che lo aveva invitato ad andarlo a trovare.

• Roman Polanski, che visitò il set di Satyricon con la moglie Sharon Tate, sposata da poco, che tornata in America incontrerà la morte, incinta al nono mese, per mano di una setta satanica dominata da Charles Manson.

• Un aneddoto sul periodo di riprese di Satyricon: Fellini incaricò il capogruppo napoletano di procurargli un albino di 8/10 anni per interpretare il personaggio dell’Ermafrodita. Il mediatore partì, ma passarono i giorni, le settimane, e di lui non si ebbe più notizia. Inutili le telefonate degli assistenti, non si faceva trovare, oppure prendeva scuse e rimandava. Alla fine il regista, stizzito, lo mise con le spalle al muro e lo convocò d’autorità nel suo ufficio. Quello si presentò, mortificato: «Maestro, mi dovete credere, ve lo giuro sui figli miei, io l’ho cercato dappertutto, in ogni caserma di Napoli e anche della Campania, ma un alpino di otto anni non c’è da nessuna parte, fatemi fede, non esiste, sennò ve l’avrei portato per le orecchie!».

• Per realizzare il grande ritratto a mosaico di Trimalcione che si vede nella sequenza del banchetto di Satyricon, Danilo Donati, il costumista promosso scenografo sul campo, visto il pochissimo tempo a disposizione, ebbe un’idea. Si telefonò alla Perfetti di Milano e venne ordinato un intero autotreno di caramelle Charms, di tutti i sapori e di tutti i colori disponibili. Le caramelle, scartate dal classico pacchetto a parallelepipedo, avevano la misura giusta e anche la trasparenza “fotografica” delle tessere invetriate. Il reparto di scenografia lavorò tutta la notte a scartare, selezionare e incollare i quadratini zuccherosi e la mattina successiva il ritratto era pronto.

• Federico Fellini, che da ragazzo, arrivando a Roma a diciannove anni, aveva voluto sperimentare la bohème, adattandosi a dormire sulle panchine di Villa Borghese come un clochard.

• Federico Fellini scritturò per primo apertamente gli omosessuali e ne La dolce vita mise in scena dei travestiti quando ancora in Italia non si sapeva letteralmente cosa fossero.

• Quella volta che Fellini decise di festeggiare al circo una notte di Capodanno.

• Era la moglie Giulietta che al mattino controllava la mise di Fellini prima che uscisse: «Mariona (la domestica, ndr) ti ha preparato il fazzoletto pulito?».

• I completi che indossava Federico erano confezionati su misura da Piattelli, il sarto romano da cui si serviva anche Marcello Mastroianni. Le tonalità estive erano il blu profondo, il grigio ardesia brillante, il beige luminoso. Solo per la cravatta sceglieva colori più vivaci, come il rosso o il bordeaux, soprattutto nei capi invernali, il gilè di lana e la sciarpa abbondante.

• Fellini ebbe la sua prima esperienza sessuale con una giovane prostituta napoletana in un casino di lusso di Roma. Era una “casa” piena di specchi e divani di velluto rosso.

• Fellini usava sempre nei suoi film la lingua napoletana.

• Quella volta che Fellini entrò nella trattoria della Cesarina, senza una lira in tasca, e mangiò senza pagare. Venne cacciato fuori dal locale a improperi, ma una mattina la Cesarina lo vide infreddolito, impaurito, e da lontano gli fece cenno con la mano di avvicinarsi, invitandolo ad entrare. Lo fece sedere a tavola, gli servì il pranzo e non gli portò il conto. Da quel momento lo sfamò per un’intera stagione. Passarono gli anni e quando Fellini diventò famoso, al momento del lancio della Dolce Vita, scelse la trattoria della Cesarina come luogo in cui indire la conferenza stampa.

• Sandra Milo dovette ingrassare più di dieci chili per interpretare la signora Carla di 8 ?.

• Francesco Rosi, autore di un cinema austero e spesso privo di presenze femminili. Quando girò La Sfida, scelse come protagonista Rosanna Schiaffino, una mora tutta curve di vent’anni. La troupe la ammirava a ogni sequenza, ma Rosi non mostrava alcun turbamento. Solo alla fine della lavorazione, in una scena in cui la Schiaffino veniva inquadrata da dietro mentre si inerpicava su una scala a pioli, si era sentito il regista partenopeo commentare: «Però, tiene ’nu bello culo ’sta guagliona...».

• Quella volta che Fellini fece causa a Silvio Berlusconi perché le sue pellicole, acquistate dalla Fininvest e trasmesse sulle sue reti, erano interrotte da troppi spot pubblicitari. Il regista perse, ma quando Berlusconi tentò lo sbarco in Francia con “La Cinq”, Federico, forte dell’amicizia con Jack Lang, il ministro della cultura francese che lo aveva insignito della Legion d’Onore, utilizzò tutta la sua influenza per mettere in guardia i francesi contro il «pericoloso avventuriero». Al punto che l’impresa si arenò e Berlusconi fu costretto a scegliere la Spagna, dichiarando alla prima occasione che «Fellini da solo gli aveva causato più guai di tutta la sinistra messa insieme».

• Fellini portava l’immagine di padre Pio nel portafoglio. Più volte ha raccontato di averlo incontrato percependo quel profumo di rose che si dice emanasse dal frate in particolari momenti di grazia.

• «Quando il cinema non ci sarà più, mi metterò a fare il madonnaro sui marciapiedi, con i gessetti colorati» (Federico Fellini).

• Federico Fellini, appassionato di spy stories e di Ian Fleming, aveva letto tutte le avventure dell’Agente Segreto 007.

• Fellini e la politica: aveva scambi cordiali con Enrico Berlinguer. Il segretario del Partito comunista lo prendeva da parte e gli raccontava la barzelletta: «Sai come si riconosce se un socialista è morto oppure no? Dalle dita, perché pollice e indice (faceva il noto gesto di chi chiede soldi) continuano a sfregarsi fino all’ultimo respiro». Giulio Andreotti, da presidente della Società Dante Alighieri lo invitava, senza successo, a tenere conversazioni sulla Divina Commedia. Su Ciriaco De Mita, sollecitato dall’Espresso, aveva scritto una nota per dire che gli ricordava un preside di scuola, affidabile e capace. Era molto stimato da Ugo La Malfa. Detestava alcuni social democratici perché sosteneva che tramite Luigi Preti, ministro delle Finanze, l’avevano perseguitato per una vendetta trasversale. Negli anni Ottanta non aveva negato il suo appoggio all’avventura di Mariotto Segni, il figlio del Presidente della Repubblica Antonio Segni; e neppure a Giorgio La Malfa, con cui s’era lasciato fotografare a spasso per i viali di Cinecittà in occasione di una tornata elettorale. Gli piacevano i vecchi socialisti, idealisti e umanitari, sempre dalla parte della libertà, come Sandro Pertini, di cui era amico, e che diventato Presidente della Repubblica lo invitava spesso a colazione con tono perentorio, da zio protettivo e bisbetico: «Fellini! Ti aspetto a pranzo, oggi c’è riso in bianco, lo so che ti piace!». Dopo Pertini, Francesco Cossiga aveva continuato la tradizione di presentare i suoi film al Quirinale e andavano d’accordo. Giudicava pericoloso Bettino Craxi: «La nostra fortuna è che non sia romagnolo; i milanesi non sono simpatici agli italiani, altrimenti avremmo presto un altro Duce».

• Fellini non era un collezionista, non conservava nulla. Non ha mai avuto una borsa tra le mani, una busta di pelle, o una ventiquattrore. Portava soltanto un minuscolo taccuino, scritto a penna, di numeri telefonici, che però consultava di rado, possedendo una memoria formidabile per i nomi e per i numeri.

• Fellini, che se un libro gli era piaciuto comperava copie su copie per regalarlo a tutti coloro che frequentava.