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 2014  luglio 29 Martedì calendario

NEW YORK

SCURRILE .
Arrogante. Cinico. Paranoico. Omofobico. Ossessionato dallo «strapotere degli ebrei». E pronto a bombardare il Nord Vietnam fino a trasformarlo in «un inferno» solo per spaventare cinesi e sovietici. Questa è l’immagine di Richard Nixon — ancora meno lusinghiera di quel che si pensasse — che emerge da nuove trascrizioni dei nastri registrati segretamente alla Casa Bianca tra il 16 febbraio 1971 e il 18 luglio 1973. Destinati a infierire sulle valutazioni del trentasettesimo presidente degli Stati Uniti, questi documenti sono stati appena pubblicati in un libro di 758 pagine, curato da due professori di storia, Douglas Brinkley dell’università Rice e Luke Nichter della Texas A&M University, e intitolato The Nixon
Tapes .
Proprio nel luglio di 41 anni fa, attraverso la deposizione sotto giuramento nelle aule del Congresso
di Alexander Butterfield,
stretto collaboratore del presidente, l’America e il mondo vennero a conoscenza della bizzarra decisione di Nixon di registrare tutto quello che accadeva attorno a lui, e in particolare le conversazioni telefoniche. In precedenza anche altri presidenti si erano serviti di registratori, ma in modo molto selettivo: perché rimanesse una traccia di momenti politici particolarmente complessi, come nel caso di Kennedy per la crisi cubana e di Johnson nelle ore di svolta sui diritti civili. Ma l’approccio di Nixon fu molto più sistematico.
Ordinò ai servizi segreti di installare microfoni che si attivavano da soli, al primo rumore, nascondendoli nello Studio Ovale e nella stanza delle riunioni dei ministri alla Casa Bianca, e in un secondo momento anche nel suo ufficio privato e a Camp David. Registrati
da nove apparecchi Sony TC-800, che oggi sembrano antidiluviani, i nastri venivano conservati nel sottosuolo del palazzo. E solo pochi collaboratori fedelissimi ne erano al corrente: tra questi non figurava neanche l’allora
segretario di Stato Henry Kissinger, nei confronti del quale — come viene oggi confermato — Nixon nutriva una certa diffidenza. «La sua gente ha crocifisso Gesù Cristo e 5 milioni di loro sono scoppiettati nei forni», disse l’ex
presidente nel marzo 1971, parlando di Kissinger al capo di gabinetto Bob Hadelman. Un anno più tardi si lanciò in un’altra invettiva: «La vita è totalmente dominata dagli ebrei. Newsweek è posseduto dagli ebrei, che ne influenzano
gli editoriali. Anche il
New York Times e il Washington Post appartengono agli ebrei». Altrettanto colorite furono le sue espressioni a proposito degli omosessuali: «Quelli hanno un problema. Ci sono nati in quel modo,
lo sapete. Li portano a essere così i capi dei boy scout, quelli della YMCA, gli insegnanti (...) Una volta che la società si muove in quella direzione, perde tutta la sua vitalità».
Proprio quei nastri, acquisiti dopo una epica battaglia giudiziaria, inchiodarono Nixon sul caso Watergate e lo costrinsero a dare le dimissioni nell’agosto di 40 anni fa. Resta un dubbio, che gli storici non hanno mai risolto: come spiegare l’ossessione di Nixon per quelle registrazioni segrete che avrebbero offuscato per sempre il ruolo della sua presidenza nella Storia, a cui peraltro teneva così tanto? Forse perché pensava che lo potessero aiutare a scrivere le sue memorie? Forse per ricattare gli avversari? I nastri di Nixon coprono 3700 ore di conversazioni e sono gelosamente conservati all’Archivio nazionale di Washington. Settecento ore non sono pubbliche, perché riguardano segreti di Stato o fatti personali. Tutte le parti sul Watergate erano state rese note a suo tempo, ma il resto rimane di difficile consultazione: l’audio è di pessima qualità. Il libro appena pubblicato colma in parte questo
buco. Nichter ha impiegato dieci anni a trascrivere pazientemente i nastri, scegliendo le parti di maggiori valore storico e politico, dal Vietnam all’apertura delle relazioni con la Cina di Mao.
Nixon, morto nel 1994, avrebbe voluto essere ricordato proprio per aver ridato una dignità “imperiale” agli Stati Uniti e per i suoi successi di politica estera. Ma ancora oggi l’opinione pubblica americana lo considera il peggior presidente del dopoguerra. Le nuove rivelazioni non miglioreranno la sua immagine di uomo chiuso nelle sue follie, volgare fino all’estremo e pronto a tutto: «Anche a uccidere e mutilare milioni di vietnamiti — dice Nichter — anche a mettere a rischio la vita dei soldati americani, pur di mostrare i muscoli con Mosca o Pechino».