Sergio Romano, Corriere della Sera 29/7/2014, 29 luglio 2014
Israele ha tutto il diritto di difendersi. Una frase ripetuta da molti: ma di norma la legittima difesa deve essere proporzionata all’offesa (non posso sparare contro chi sta per assestarmi uno schiaffo), e ovviamente deve essere rivolta contro l’ingiusto aggressore
Israele ha tutto il diritto di difendersi. Una frase ripetuta da molti: ma di norma la legittima difesa deve essere proporzionata all’offesa (non posso sparare contro chi sta per assestarmi uno schiaffo), e ovviamente deve essere rivolta contro l’ingiusto aggressore. Se la mia difesa comporta anche involontariamente la morte d’innocenti, non è giusta. Israele non può fare una strage di bambini per difendersi da Hamas. Detto questo, bisognerebbe appurare se anche quella di Hamas non sia legittima difesa. Non c’è forse un popolo potentissimo che opprime un popolo debolissimo? Non c’è un popolo oppressore e un popolo oppresso? Elisa Merlo lisamer@tiscali.it Cara Signora, I l portavoce del governo israeliano le risponderebbe che Hamas si fa scudo della popolazione e si serve di luoghi civili (un ospedale, una scuola, una moschea) per nascondervi i propri razzi o farne rampe di lancio; e aggiungerebbe che le vittime civili sono la inevitabile ricaduta di questa strategia. È probabilmente vero. Ma non è meno vero che l’uso militare della popolazione civile appartiene alla storia dei rapporti arabo-israeliani sin dal 1948, se non addirittura dai tempi della Palestina mandataria. Quando reagirono all’aggressione degli eserciti arabi, dopo la fondazione dello Stato, e passarono al contrattacco, le forze israeliane completarono la vittoria, in parecchi casi, costringendo gli abitanti ad abbandonare i loro villaggi. Era il modo più efficace per rendere la conquista permanente. Quando la massa degli esuli palestinesi fu raccolta nei campi, grazie all’intervento dell’Onu e di alcune organizzazioni umanitarie, gli Stati arabi si astennero deliberatamente da interventi che avrebbero facilitato la loro integrazione nella società dei Paesi in cui avevano trovato rifugio. Temevano che un così alto numero di profughi avrebbe alterato gli equilibri etnico-religiosi della loro popolazione e vollero che la questione del ritorno restasse un problema insoluto, una spina nel fianco dello Stato d’Israele. Quando hanno cominciato a installare coloni nel territori occupati, i governi israeliani hanno creato fatti compiuti. Ogni insediamento esige distaccamenti militari, posti di blocco, una continua perlustrazione del territorio. Non è sorprendente che quei coloni, spesso armati, sembrino agli occhi dei palestinesi una sorta di milizia territoriale e vengano considerati come altrettanti nemici. Quando Israele scatena una offensiva militare, come nelle scorse settimane, i militanti di Hamas si nascondono fra la popolazione per meglio colpire le forze israeliane e non hanno alcun interesse a limitare le proprie perdite. Come in tutte le guerre asimmetriche, anche in quella di Gaza la parte meno armata e organizzata ha un’arma — la propria vita — di cui il nemico, meglio armato e organizzato, cerca di fare, per i propri combattenti, il minore uso possibile. Il tragico paradosso di Gaza, cara Signora, è questo: quanto più numerose sono le vittime nel campo palestinese, tanto più la vittoria degli israeliani è destinata a essere effimera .