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 2014  luglio 28 Lunedì calendario

FELICE GIMONDI: «SE VUOI FARE IL CICLISTA LASCIA INCUBI E PAURE»

Prima di Merckx “Il Cannibale” era lui, poi arrivò Eddy. Arrancare dietro il belga nella Parigi-Roubaix, scavallare il Gavia, il Col du Galibier e l’Angliru era come fare un eroico viaggio nella speranza, ci voleva un bel fegato, una grande incoscienza e una inconscia vocazione al fallimento. Merckx era una scintilla, un’energia sospesa, forse un fantasma. Ma non ci fosse stato lui non ci sarebbe stato Felice Gimondi. Nonostante “Il Cannibale” tuttavia Gimondi è stato uno dei più grandi corridori di ogni tempo, uno dei sei (gli altri sono Anquetil, Merckx, Hinault, Contador e Nibali), a vincere almeno una volta le tre grandi corse a tappe, Giro, Tour e Vuelta.
Gimondi, sedici anni dopo Pantani, Nibali ha vinto il Tour.
Vincere in Francia non è una sciocchezza ma dominare il Tour, perché questo ha fatto Nibali, è un’impresa. Vincenzo è stato perfetto, nessuno è mai riuscito a metterlo in difficoltà, ha fatto sempre quello che ha vo-.
Cadendo Contador gli ha dato una mano.
Dia retta, non ce n’era per nessuno: Contador era già in difficoltà prima del ritiro. Nibali il Tour l’ha vinto sulla prima salita delle Alpi, la Grande Boucle è finita quel giorno.
Il modo di correre di Nibali le ricorda il suo?
Come me legge molto bene la corsa e sa far correre la squadra, è un tattico ma ha fiuto, sa quando è il momento di affidarsi alle gambe.
Cosa vuole dire questa vittoria per il ciclismo italiano?
Intanto che non siamo da buttare via, che la nostra è una grande scuola e che dietro a Nibali ci sono ragazzi in gamba, penso a De Marchi, Trentin, Aru.
Quando ha cominciato a correre?
Mio padre era un maniaco della bici, faceva il camionista e spesso, per non dire sempre, ci caricava sul camion e ci portava a vedere le corse, la tappa obbligata era il Giro di Lombardia. Su quel camion saliva un popolo, ci caricava in quaranta, una volta sul posto disponevamo le panchine su un prato di Isallo, in Val Maremola e aspettavamo il passaggio del gruppo.
Come si chiamava suo padre?
Gimondi Mosè.
Quindi il suo è stato un vero e proprio attraversamento del deserto...
Quando superai gli esami di quinta elementare mi regalò la mia prima bicicletta, un’Ardita rossa, bella, fiammante. Da quel giorno non rubai più quella della mamma, che faceva la postina.
La prima bicicletta da corsa?
Una roba con i fiocchi, una Mazzoletti color argento.
A scuola andava volentieri?
Per seguire le orme paterne dopo le elementari mi iscrissi a un corso di tecnica meccanica ma la meccanica non mi coinvolgeva molto, o forse non ero un genio.
Lei non è nato ciclista. Che lavoro faceva prima di dedicarsi anima e corpo alla bicicletta?
Prima il supplente postino e poi il postino, mamma serviva Sedrina, io le frazioni.
La sua prima gara?
A Treviglio, dove c’era la fabbrica della Bianchi, andammo lì con il solito motocarro, durante la gara finii a terra tre volte, al traguardo sembravo un reduce di guerra.
Chi la convinse a fare il ciclista?
Nessuno, e nessuno mi ha insegnato nulla. Ho imparato a correre sul libro di Ambrosini, l’allora direttore della Gazzetta, in quelle pagine c’erano i segreti per diventare un buon ciclista.
Un corso per corrispondenza. E Ambrosini cosa scriveva?
Che bisognava fare molta ginnastica. Finì che mi vennero due addominali così, non la smettevo più, di fare ginnastica, d’inverno, d’estate, sempre.
Le prime gare?
Cominciai a correre all’oratorio, ma con calma, lì non c’era lo sponsor che pretendeva risultati.
Come si diventa un buon discesista?
Io vivevo a Sedrina, in Val Bembrana, Sedrina è tutta un saliscendi, quando non lavoravo mi buttavo a pesce lungo i dirupi, ho imparato così.
Le salite hanno fatto la storia di questo sport, gli scalatori fanno una preparazione specifica?
Il passo del grimpeur è diverso, anche il fisico è diverso ma il ciclismo moderno fa meno distinzioni di una volta, in montagna puoi fare la corsa o pensare a difenderti, un buon passista può restare alla ruota di uno scalatore e evitare ritardi catastrofici, non è facile ma a volte succede.
Per un velocista lo Stelvio è l’inferno...
Il velocista è l’espressione della potenza, la velocità di punta di alcuni di loro è impressionante. Ma sprinter si nasce, difficilmente si diventa, non ho mai conosciuto un buon passista trasformarsi in un uomo da.
L’alimentazione e i regimi di vita quotidiana quanto contano?
Oggi le diete vegetali sono fondamentali, frutta, yogurt, riso, pane di farina integrale biologica, ma la sera bisogna nutrirsi di carne o pesce. La colazione del mattino è la più importante della giornata perché prepara l’atleta agli sforzi prolungati.
I discesisti hanno una tecnica particolare?
Ma no, è una questione d’istinto, e di dove nasci. Gli spagnoli fino a qualche anno fa erano negati perché correvano su strade sterrate, gli mancava il colpo d’occhio e l’abitudine alla velocità. Una cosa è scendere a 55 chilometri orari, un’altra a settanta.
L’incubo dei ciclisti è la caduta.
I ciclisti non hanno incubi e non hanno paura. Forse della pioggia, o del pavè. Se cadi alla Parigi-Roubeaux è un casino. Io però riuscii a superarmi a un Giro delle Regioni. Finii dentro a un tombino, diagnosi trauma cranico e una clavicola a pezzi.
L’episodio che ricorda di più?
A cinque o sei chilometri dal traguardo di Laigueglia trovai un passaggio a livello chiuso. Il dettaglio è che sui binari c’era il treno. Qualcuno di noi lo superò infilandosi sotto, io mi misi la bici in spalla e passai da una porta all’altra del vagone.
E passeggeri come presero
Provai a metterli a loro agio, sembrava un film di Monicelli.
C’è continuità tra il suo ciclismo e quello di oggi?
No, il problema del ciclismo di oggi è il tatticismo esasperato, i ragazzi sembrano marziani. Io dico che bisognerebbe lasciargli più libertà.
È vero che senza Merckx avrebbe vinto più di Coppi?
Non esageriamo, avrei vinto cinque Giri e tre Tour. Riesce a immaginare il condizionamento mentale che può trasmetterti una bestia così?
Eddy per strada non lasciava nulla. Eravate amici?
Lo siamo diventati, una volta gli dissi “Guarda Eddy che tu non sei “commerciale”, se ogni tanto perdi diventiamo più ricchi tutti e due”.
E lui?
Mi offrì un mezzo whisky. Il giorno dopo montò in bici e come gli capitava sempre si trasformò, gli venivano gli occhi piccoli come fessure, cambiava proprio connotati, dottor Jekyll e mister Hyde. Quando arrivò lui dovetti rinunciare al mio istinto e modificare il modo di correre. Però l’ho battuto tre volte, a cronometro, al Giro del ’76 e al Mondiale, in volata.
Elio Pirari