Gianni Barbacetto, il Fatto Quotidiano 27/7/2014, 27 luglio 2014
INGROIA, ESPOSITO E LA “SECONDA VITA” DI UN CSM SCADUTO
La scena è surreale, per chi non ha pratica delle raffinatezze della pubblica amministrazione. Il Consiglio superiore della magistratura discute per ore – spaccando il capello in quattro e dividendosi nel voto dopo aspre polemiche – la “promozione” di un magistrato che non c’è più. Trattasi di Antonio Ingroia, ex procuratore aggiunto a Palermo, che ha lasciato la magistratura da oltre un anno. Ma surreale appare, suo malgrado, quasi tutta l’attività del Csm in queste ultime settimane di vita. “Promuove” un magistrato che se n’è andato da tempo, e per di più dopo averlo sottoposto per ben due volte a procedimento disciplinare. È chiamato a nominare in fretta decine di magistrati che devono andare a occupare posti vacanti in tutta Italia, ma non può nominare il procuratore di Palermo, perché così gli è stato imposto dal Quirinale anche con la motivazione che il Consiglio è in scadenza. Vero. Anzi: è già scaduto, ma in compenso è prorogato non si sa fino a quando, perché i magistrati hanno eletto i loro rappresentanti, ma il Parlamento non è ancora riuscito a nominare i componenti laici (cioè non magistrati) del Consiglio.
Intanto il Csm “processa” un altro giudice, Antonio Esposito, rigettando il certificato medico che prova il suo ricovero in clinica e imponendogli un difensore d’ufficio.
La paradossale vicenda Ingroia si comprende soltanto se si capisce che il Consiglio deve comunque pronunciarsi sulle carriere dei magistrati, anche quelli usciti di ruolo, per determinare liquidazione e pensione. Così nei giorni scorsi ha emesso un parere favorevole nei confronti dell’ex pubblico ministero palermitano, riconoscendogli la sesta valutazione di professionalità, per il quadriennio 2007-2011. Uno scatto in più. Questo non avrà effetti sulla carriera futura, perché intanto Ingroia è uscito dalla magistratura. Ma influirà (positivamente) su liquidazione e pensione.
Per arrivare alla sua decisione, il Consiglio si è diviso: otto contro sette, più quatto astenuti. Decisione sofferta, maggioranza per un voto. La delibera segnala comunque un’ombra nera: il magistrato ha tenuto comportamenti “connotati da oggettiva gravità”. Il riferimento è ai due procedimenti disciplinari subiti da Ingroia per aver rilasciato alcune interviste quando era pm a Palermo ed era caldissima la polemica a proposito delle indagini sulla trattativa Stato-mafia e sul conflitto d’attribuzione sollevato dal capo dello Stato contro la procura di Palermo davanti alla Corte costituzionale, che diede ragione a Giorgio Napolitano. Ingroia sostenne in alcune interviste che la Consulta aveva “mortificato” le ragioni del diritto, prendendo una decisione politica.
Da quei procedimenti, Ingroia è uscito con un non luogo a procedere, perché intanto aveva abbandonato la toga. Ma allora: perché segnalare note negative, per poi concludere con un parere positivo? Perché il parere positivo per l’avanzamento di carriera riguarda il periodo 2007-2011, mentre le interviste e i procedimenti disciplinari riguardano il periodo successivo.
La vicenda Esposito appare ancor più paradossale. Il giudice che presiedette il collegio della Cassazione che condannò definitivamente Silvio Berlusconi nel processo Mediaset è sotto procedimento disciplinare per l’intervista (manipolata) al quotidiano Il Mattino. Con l’ipotesi che possa avere anticipato le motivazioni della sentenza. Giovedì era fissata un’udienza, ma Esposito aveva chiesto un rinvio perché in questi giorni è ricoverato in clinica per problemi di salute. Assente anche il suo difensore, il giudice di Cassazione Piercamillo Davigo, ex pm di Mani pulite. La sezione disciplinare del Csm non gli ha creduto: non ha ritenuto che il certificato medico documentasse “un assoluto impedimento” a essere presente e ha dunque continuato l’udienza. Ha nominato, al posto di Davigo, un difensore d’ufficio: un magistrato dell’ufficio studi del Csm, dipendente del Consiglio. Ha rigettato la ricusazione, avanzata da Esposito con la motivazione di non voler essere “processato” da un Csm manifestamente “ostile”, come dimostrato dal fatto che alcuni membri si sono già pronunciati contro di lui. Ha ammesso solo uno dei sei testimoni chiesti dall’“incolpato”. Poi ha rinviato al 19 settembre, su richiesta del difensore d’ufficio che ha domandato di poter prendere visione delle carte del procedimento. A settembre: quando sarà insediato il nuovo Csm, se i partiti riusciranno a mettersi d’accordo per votare i “laici”. Sulla vicenda Esposito, il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, ha commentato, sibillino: “Non potevamo fare di più”. In effetti: che cosa potevano fare, più di così?
Gianni Barbacetto, il Fatto Quotidiano 27/7/2014