Ermanno Bencivenga, Domenicale – Il Sole 24 Ore 27/7/2014, 27 luglio 2014
STORIE DEL SOTTOSCALA INGLESE
«Più di due secoli fa, Voltaire osservò che "la comodità dei ricchi dipende da un’abbondante disponibilità di poveri"». La citazione proviene da Servants, di Lucy Lethbridge, un libro che ripercorre con rigore e con grazia oltre cento anni di economia domestica inglese, in base alle testimonianze di chi ha fatto quell’economia. Di persone, cioè, cui dovemmo risparmiare l’estremo insulto di un cauto eufemismo, il sarcasmo implicito in parole come "collaboratore" o "assistente", e che dovremmo invece chiamare con un nome che esprime tutta la dignità della loro sofferenza e umiliazione: servi, appunto.
Leggere questo libro illustra quanto la storia sia maestra di vita: quanto il passato ci insegni a leggere il presente. Nell’Inghilterra edwardiana di inizio Novecento, tutto è chiaro. «Ogni sorta di desideri viene elevata al rango di necessità quando c’è qualcuno che fa il duro lavoro di realizzarli per te». Nel rifare il letto con lenzuola pulite ogni mattina, Mrs. B. doveva evitare la più piccola piega nelle federe: la padrona non poteva dormire con una federa in quelle condizioni. Altrove molte sue colleghe avevano dovuto imparare l’arte del mescolare continuamente le uova mentre bollivano in modo che il tuorlo si posizionasse al centro dell’albume; se la geometria non era rispettata a perfezione, bisognava ricominciare da capo. E, quando una duchessa indagò svagata presso il suo maggiordomo «Non credi, George, che qualche pecora, con degli agnelli che saltellano intorno, farebbe sembrare i campi più arredati?», George si diede da fare perché pecore e agnelli fossero al loro posto la mattina dopo. Tanta sollecitudine richiedeva un impegno costante e inesausto, per lustrare pavimenti, pulire cucine e lavare e stirare le trine e i merletti di dame che, si capisce, non potevano indossare lo stesso abito per ognuna delle loro varie funzioni quotidiane. Il tutto muovendosi in assoluto silenzio, se possibile non facendosi neanche vedere, e rimanendo alla larga da quei pericolosi elettrodomestici che minacciavano la tradizionale operosità e potevano riscattare gli aspetti più degradanti (quindi anche più ambìti, per chi li apprezzava dall’alto) della servitù.
La situazione è ancora chiara in fasi successive: quando, durante le due guerre mondiali, la chiamata degli uomini al fronte e l’entrata delle donne in altri contesti lavorativi causano una scarsità di valletti e giardinieri, cuoche e sguattere, e gli sfruttati riescono a imporre le proprie condizioni, costringendo gli sfruttatori a pagare a prezzo più alto (e perfino con qualche sacrificio) il mantenimento del loro status sociale. O quando, al termine dei conflitti, con il ritorno dei reduci e un’economia che non vuol saperne di rifiorire, ci si rende conto che la pacchia è finita e il mercato è di nuovo favorevole a chi compra il sudore altrui. È la dialettica incessante del rapporto servo-padrone: quella che, spiega Hegel, esprime l’incontro con l’Altro, in prima battuta, come lotta, e quella che a tale sua forma primitiva e rudimentale ritorna ogniqualvolta si erodono le fragili pretese di ragione e umanità.
La chiarezza è preziosa, dicevo, per capire i confusi sviluppi che ci sono più vicini. Negli anni Cinquanta del secolo scorso, la crescente impopolarità di una "carriera" da servo riconfigura la servitù come un rapporto che attraversa la famiglia: tra un marito che lavora fuori casa e una moglie dedicata a soddisfarlo. Poi arriva il femminismo, le donne reclamano tempo per i propri interessi e questa loro libertà si fonda sull’asservimento di altre donne. Un esempio fra tanti: Naomi Mitchison, scrittrice, poetessa e saggista, aveva «una relazione complessa con le sue serve: ne desiderava l’amicizia, ma aveva bisogno della loro fatica per facilitare le libertà di cui godeva come donna pensante e di sinistra, e per lavorare ai suoi progetti letterari». Ultimo epiciclo (per ora) di questo sinistro processo sono le abitazioni contemporanee, in cui si affollano collaboratrici e badanti di paesi esotici ma in cui, anche, i compiti più umili sono espletati da milioni di partecipanti in un’economia "dei servizi", ignoti a chi ne fruisce, ora finalmente davvero invisibili. «Il lavoro è esternalizzato a cucine industriali dove si producono sacchetti d’insalata prelavata, purè da scaldare al microonde e involtini di pancetta al salmone pronti per essere consumati».
Una volta si combatteva a mani nude, mentre oggi per uccidere centinaia di nemici basta schiacciare un bottone; le nostre intuizioni morali, ci ha insegnato Konrad Lorenz, non possono reggere il passo di un simile progresso tecnologico. Lo stesso, potremmo aggiungere alla luce di questo bel libro, vale per la servitù. Una volta si poteva provare un sadico compiacimento alla vista di una donna curva per terra a pulire la nostra sporcizia, e si potevano anche prendere le distanze da tanto orrore. Oggi quella donna, perlopiù, non la vediamo; le cose certo sono cambiate. In meglio o in peggio?
Ermanno Bencivenga, Domenicale – Il Sole 24 Ore 27/7/2014